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Matteo Renzi appeso a 40 voti al Senato. Spavaldo, chiede harakiri ai senatori

di Alberto Francavilla |1 Aprile 2014 9:56

Matteo Renzi e Maria Elena Boschi presentano la riforma del Senato (foto Ansa)

ROMA – Matteo Renzi fa lo spavaldo ma al Senato, chiamato a votare la propria eutanasia, o meglio la propria condanna a morte per decreto, il percorso è difficile e i numeri dei voti disponibili sono “da brivido”, come scrive Tommaso Ciriaco su Repubblica:

“Il Senato alla prova delle riforme [è] una specie di matrioska, una terra di mezzo dove spadroneggiano gruppi, gruppetti e manipoli di senatori. Sono pronti a tutto pur di pesare (e pesarsi)”.

Questo è il Senato

“di fronte alla sfida delle riforme: più che un’Aula parlamentare, un rompicapo: abolire la Camera alta, depotenziarla o semplicemente ritoccarla, sentieri che si dividono, inesorabilmente, inseguendo maggioranze variabili”.

Matteo Renzi, però, nel racconto di Tommaso Ciriaco,

“ha in mente solo un numero magico: 160. È l’asticella da scavalcare per cancellare il bicameralismo perfetto. Per riuscire nell’impresa, deve conquistare una quarantina di voti a rischio. Al netto della propaganda e dei distinguo di maniera, Renzi può contare su un pacchetto di circa 120 voti certi. In larga parte sono democratici (almeno una novantina dei 107 senatori Pd). E poi ancora gli 8 di Scelta civica, i 12 delle Autonomie e una decina fra senatori a vita (quattro, oltre a Monti) e gruppo Misto. Per il resto, è caccia all’indeciso.

“Nel caos spicca lui, Berlusconi. Decaduto, con la libertà personale che gli sfugge dalle mani. A Palazzo Madama, però, Silvio Berlusconi resta ancora centrale. Determinante, forse: «Non porteremo le patatine al party di Renzi — sibila Maurizio Gasparri — Bisogna ragionare, su tutto». I berlusconiani brandiscono bastone e carota. Non vogliono mostrarsi ostili alle riforme, hanno disperato bisogno di tenere in vita la stagione costituente per non finire ai margini. «La contabilità del Senato è complicata. Se il ddl non cambia — avverte Gasparri — meglio allora abolire del tutto il Senato. Io, comunque, proporrò l’elezione diretta del Presidente della Repubblica».

Dovesse reggere il patto tra il premier e Berlusconi, i 60 azzurri basterebbero a garantire una navigazione tranquilla. «Ma figuriamoci — protesta Augusto Minzolini — questo testo è una follia! E ricordate: l’ultima fiducia ha preso giusto 160 voti, mentre stavolta diversi dem voteranno contro, me l’hanno assicurato… «. Il senatore, nel dubbio, si prepara a presentare una nuova proposta: «Quattrocento deputati, duecento senatori. E in seduta comune votano la fiducia».

“Se Berlusconi rassicura — «saremo leali» — i pretoriani lasciano che l’accordo scricchioli. Traballi. «Quale patto? », domanda Deborah Bergamini. Quello siglato dai due leader, insistono i berlusconiani, va aggiornato. Reclamano un nuovo faccia a faccia, sperano che si tenga la prossima settimana. Tutto bene — è già accaduto — se non fosse che intorno al 10 aprile il Cavaliere finirà ai domiciliari o ai servizi sociali.”

“In realtà, il Pd preoccupa addirittura di più. Venticinque senatori dem hanno appena firmato un documento molto critico sulla riforma. Almeno una quindicina non torneranno indietro, comunque vada”.

Matteo Renzi non potrà contare nemmeno sui voti dei 41 senatori del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Come dice Nicola Morra:

“I numeri non ci sono. Noi, comunque, non riteniamo che il problema sia il bicameralismo perfetto. Riduciamo il numero dei parlamentari, piuttosto. La proposta del signor Renzi, invece, è funzionale a quanto proposto da un tal Licio Gelli… “.

Poi c’è il Nuovo centrodestra con i suoi 32 senatori, che

“basterebbero ad avvicinare di molto la quota magica”.

Ma se Gaetano Quagliariello “porge la mano”, su alcuni ritocchi, però, avverte Tommaso Ciriaco, gli uomini di Angelino Alfano non cederanno.

Poi Tommaso Ciriaco si addentra nella contabilità al dettaglio di gruppetti e “microgruppi”, dove

“aumentano i rischi”

per Matteo Renzi, dai popolari di Mauro Mauro e Pierferdinando Casini (Mauro — già impallinato da Renzi) — ha in mente di consumare tremenda vendetta) agli 11 autonomisti di Gal ai 15 della Lega al microgruppo Gap, sulla carta i meno distanti da Renzi. E poi c’è l’ala sinistra, quella composta dagli altri dieci epurati cinquestelle come Orellana e Battista, Campanella e Bocchino, che mai ha negato la voglia di confrontarsi con le altre forze. I sette di Sel, invece, difficilmente si convinceranno. Un rompicapo, appunto”.

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