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In un ascensore di belle ragazze a palazzo Grazioli addio di Berlusconi a Musso, ribelle che si vede sindaco di Genova

di fmanzitti |7 Novembre 2010 9:55

Non vorrete non far posto a un senatore così bello”, ammicca il presidente Silvio Berlusconi, pigiando il bottone del suo ascensore, pieno di belle ragazze, un po’ intimidite dalla comparsa del premier sul pianerottolo del piano nobile di Palazzo Grazioli. Le ragazze sorridono timide e fanno posto in mezzo a loro a Enrico Musso, il senatore ribelle, l’undicesimo che sta per lasciare la Pdl a Palazzo Madama e che si sta congedando dal Cavaliere “ a le nueve de la tarde”, dopo un lungo, affabile ma definitivo colloquio con il “suo” premier.

Finisce così la storia del quarantottenne senatore genovese, scelto da Berlusconi & Scajola, nell’inverno del 2007 per dare l’assalto al Comune di Genova, perso per poco, poi senatore nel 2008 e oggi gran dissidente e finisce la storia del suo rapporto con quel partito che si chiamava Forza Italia, poi è diventato il Popolo delle Libertà , dopo il salto sul predellino e ora chissà cosa sarà. Finisce con l’ascensore che scende verso il grande atrio del palazzo ombelicale del potere berlusconiano, le ragazze un po’ squittenti ed eccitate per avere visto da un metro di distanza il Cavaliere, loro augusto inquilino e Enrico Musso che torna a Genova, di corsa verso Fiumicino, poi il volo di 45 minuti in cui matura la sua decisione. Addio Berlusconi, addio PDL, mi iscrivo al Gruppo misto, resto in Senato per non provocare il pandemonio di una discussione lacerante e di un voto segreto sulle  dimissioni che sconsigliano gli stessi uomini del Cavaliere, il vice capogruppo Quagliarello in testa.

La decisione dell’undicesimo ribelle di Palazzo Madama avrà il suo peso frazionato tra i 37 deputati e gli undici senatori in uscita, in una Roma ribollente degli umori bassi di un impero che si sbriciola, ma a Genova quel peso diventa come un macigno che piomba nel lago di una politica scajolata a Destra dal blak out del ministro di Imperia, che lui altro che tradirlo o lasciarlo sulla porta di un ascensore con quattro belle ragazze, a Genova e Imperia Scajola lo stanno colpendo forse in modo definitivo e anche gli atti di vigliaccheria pura di cui è vittima sono sintomi di un potere che fu.

Tempesta a destra e, a sinistra, la bandiera calante di una alleanza blindata, che, a due anni dalle prossime elezioni comunali, è solo terrorizzata da un problema : ricandidare o no la sindaco Marta Vincenzi, che naviga sulla onda di una schiuma esibizionistica oramai travolgente, niente affatto controbbilanciata dai fatti, dalle realizzazioni.


La città è immobile, affogata in progetti che non si realizzano, chiude perfino il Mercato del pesce nel cuore del porto vecchio, interdetto dai Nas, rischia di chiudere il teatro lirico Carlo Felice, che costa 30 milioni di euro all’anno e ne incassa tre e che ha un’orchestra strapagata e musicisti che si possono paragonare ai camalli dei tempi che bastava una goccia di pioggia per non lavorare, salta per aria l’azienda dei trasporti Amt, travolta da un deficit epocale e un giorno ogni quattro il traffico è ko per gli scioperi. La regia del Comune non riesce a decidere nulla, neppure se, come dove e quando costruire la Moschea e il sindaco sposta il luogo di costruzione ogni tot mesi, scatenando la guerra dei quartieri, nessuna la vuole…… e si alzano barricate ovunque.

Non trovano, i registi genovesi, neppure 25 mila metri quadrati di banchina da concedere all’azienda dell’uomo più ricco di Genova, Vittorio Malacalza, socio di Tronchetti Provera nella cassaforte Pirelli, che ha bisogno di una briciola di spazio in un grande porto ultraincasinato, uno spazio per caricare le grandi apparecchiature della sua fabbrica di superconduttori di energia.

Eppure in quel porto la politica locale, infiocchettata dai partiti di sinistra, ha concesso al grande industriale dell’acciaio, Emilio Riva, di restare per altri 99 anni nei suoi spazi di altoforni e linee di produzione, tenendosi in tasca gli approdi più ambiti del Mediterraneo, anche se la produzione scende e gli operai rimasti stanno a galla con contratti di solidarietà.

Che c’entra tutto questo con il senatore ribelle Enrico Musso, che torna a Genova con in tasca il comunicato di addio alla Pdl e che saluta sulla porta del palazzo Grazioli le belle ragazze ammaliate del Cavaliere? C’entra perchè le dimissioni dalla Pdl dell’undicesimo ribelle gli liberano le mani da ogni vincolo tattico e diplomatico nei confronti della politica di Berlusconi e lo scatenano in quella che viene già chiamata “la battaglia di Genova”, l’assalto del senatore “civico” alla roccaforte della sinistra, governata ininterrottamente fin dal 1974 da maggioranze nelle quali il Pci, Pds, Ds e Pd la facevano da padrone.

Ci provò il povero ex pretore d’assalto Adriano Sansa, tra il 1993 e il 1997 a toccare quel monopolio. Quelli del Pci lo licenziarono in tronco e il boccone al magistrato, che ora è presidente del Tribunale dei Minori, non è mai andato giù.

Musso vola leggero verso Genova perchè sa che adesso lo scontro potrà essere frontale e lui potrà suonare un’adunata generale alla quale risponderanno non solo i già prenotati o prenotabili Udc, Partito della Nazione, magari una Lega più evoluta e tattica e, ovviamente, i finiani che già lo aspettano a braccia aperte, ma anche larghi strati della sinistra targata Pd, stufi delle intemerate di Supermarta Vincenzi e del blocco di potere organizzato nei decenni da Claudio Burlando, oggi presidente della Regione, ieri deputato, ministro nel primo governo Prodi, sindaco, vicesindaco, assessore, segretario di partito, un immortale della politica locale ed extra con due soli incidenti superati brillantemente, il contromano al casello dell’aeroporto quando la Stradale lo fermò con il muso dell’auto a rovescio e senza patente e il sotto passo delle Opere Colombiane per cui fu arrestato, detenuto e poi totalmente prosciolto.


Il senatore ribelle e Berlusconi non si sono lasciati male, prima del divorzio. A Blitzquotidiano Musso ha raccontato il dialogo corretto e franco prima della gag dell’ascensore: Berlusconi lo ha ascoltato per una mezz’ora, gli ha anche lasciato dire: “Presidente la tua vita privata sta diventando troppo pesante sulla politica, ci condiziona troppo, incide sull’azione di governo. Dopo Ruby chissà quante ne tireranno ancora fuori . E tu cosa farai e noi cosa faremo”.

Berlusconi aveva incassato con grande disponibilità, accettando di ascoltare il suggerimento del giovane senatore ribelle: “Vai in Parlamento, fai un grande discorso, spiega che la crisi mondiale è micidiale, che hai fatto il possibile, magari anche qualche errore, ma che ora bisona fare un patto di unità nazionale. Che Fini la smetta, che l’opposizione, che ha i cavoli suoi, capisca e si adegui. Facciamo un bel programma di salvezza nazionale e poi tra due anni riparleremo di tutto…”

E’ stato tanto convincente il giovane senatore-professore che Berlusconi lo ha non solo ascoltato e accompagnato all’ascensore, ma poi, il giorno dopo, ha accettato di ricevere quel programmino di “discorso alla nazione” inviatogli per motociclista nero su bianco dal senatore ribelle e gli ha fatto chiedere anche una edizione elettronica via e mail. Salvo poi non tenerne conto in alcuna misura nella sua perorazione alla Camera.

Ma Musso e Berlusconi non si sono lasciati male, non è stato un addio amaro tra il cavaliere sotto attacco e il professore lanciato verso la sua missione “civica”. Anche Claudio Scajola, dal suo fortilizio sulle alture di Imperia-Oneglia ha mandato un messaggino sms al ribelle che gli annunciava l’addio, rinnovando, comunque, stima e amicizia. Non era stato, in fondo, lui, l’ex ministro a scegliere Musso a proporlo a Berlusconi come candidato sindaco, a offrirgli sul piatto d’argento una candidatura europea e poi a piazzarlo capolista per il Senato, tra l’ira mascherata di molti colonnelli genovesi della Pdl? E chissà che i due ora non si ritrovino insieme da qualche altra parte, nel magma di una nuova partitocrazia ribollente a Imperia, come a Genova, come a Roma?

Intanto il chiarimento di Musso, le dimissioni, il gruppo misto scelto anche nel Comune genovese, nel quale il professore è ancora consigliere di opposizione, è come una miccia che brucia sempre più rapidamente. C’è chi gli allarga già le braccia platealmente, come i finiani di ogni estrazione, dall’ex rampollo dorato dell’imprenditoria genovese, Gianfranco Gadolla, trasvolato da Fini a Berlusconi, di nuovo a Fini, all’ex picchiatore fascista Bornacin oggi senatore, ieri duro e puro del Msi, come le truppe in allineamento dei centristi Udc, Api e che muovono le mai scomparse ex legioni democristiane, polverizzate nelle galassie della seconda Repubblica, ora ricompattate da vecchi colonnelli, capitani e marescialli dai nomi riemersi come dal nulla dell’annichilimento post tangentopoli.

C’è chi gli spara alzo zero come, ovviamente, la guardia del re Berlusconi, che subisce non solo la descajolizzazione, ma ora anche la demussizzazione: il coordinatore regionale Michele Scandroglio, il deputato ex amico del cuore di Musso, Robero Cassinelli, vedovo due volte, il vice presidente della potentissima Fondazione Carige, Pierluigi Vinai, Opus Dei, amico del cardinale Bertone e lui stesso autocandidato in pectore per fare il sindaco.


C’è chi si avvicina come i delusi Pd e i maltrattati dalla sindaco Vincenzi, come l’ex sindaco Giuseppe Pericu, forse uno dei migliori primi cittadini mai eletti nella Superba, quello che affrontava i no global e i blak bloc del micidiale G8 del 2001 in maniche di camicia e megafono sul confine della “zona Rossa”.

Insomma, uscito da quell’ascensore, Enrico Musso, incomincia a contare le sue truppe dalla tolda della sua Fondazione, chiamata, non a caso OltreMare, grande agglomerato già ampiamente trasversale. I conti veri si faranno alla vigilia di Natale. Intanto il senatore ribelle numero undici parte per un lungo viaggio, in una delegazione del Senato, verso la Cina, a Pechino e Shangai.

E già gli prude la lingua perchè vorrebbe fulminare il totalitarsimo anti dissenso della politica cinese, come in Italia ha fulminato il lodo Alfano, il processo breve, i tagli selvaggi del Governo all’Università. Ma gli hanno già raccomandato di tenere la bocca chiusa in Cina. I leader cinesi non sono come Berlusconi che, dopo, ti spinge in un ascensore pieno di belle ragazze. Se li censuri, quelli ti murano nella loro “Città proibita”.

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