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Il conduttore Rai? Un salame in studio, anzi due. E i “panni sporchi” in onda una volta ogni otto giorni

di Alberto Francavilla |11 Febbraio 2011 16:14

Santoro ad "Annozero"

ROMA –Il conduttore? Un salame appeso in studio, gelido come un baccalà. Anzi due conduttori invece di uno: un prosciutto affumicato di sinistra e uno di destra a marcarsi e annullarsi nell’area di rigore del talk-show. E i “panni sporchi”, cioè le brutte notizie, in trasmissione una volta ogni otto giorni. E nel caso le brutte notizie parlino di sesso? Talk-show in seconda e terza serata, per non turbare i bambini. E gli ospiti politici? Sempre tutti insieme in studio ma “proporzionali” ai voti ottenuti, quindi a star cauti nei conti almeno una decina per volta. E se la “proporzione” non torna, ne taglieranno uno a metà? La realtà, come spesso accade, supera di gran lunga la fantasia. Questo è il primo pensiero che si affaccia alla mente di chi si cimenta nella lettura della bozza d’indirizzo vergata da Alessio Butti del Pdl e consegnata sul tavolo del presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai, Sergio Zavoli. Un documento ancora da votare che mira a stabilire le future regole per i programmi della tv pubblica. Un documento nato dall’incesto tra nobilissimo fine: trovare l’intesa tra maggioranza e opposizione sul pluralismo nell’informazione, e da finissima ipocrisia: far finta che sia informazione. Un documento che, al di là di qualsiasi analisi politica o di parte, farebbe ridere amaro qualsivoglia addetto ai lavori, almeno fino a quando non gli venisse detto che è realtà e non fantasia.

Alessio Butti

Prima di analizzare il contenuto del testo spendiamo due parole per capire chi è Alessio Butti, anche questo aiuterà a capire come possa partorire determinate idee. Butti inizia la sua carriera politica giovanissimo, iscrivendosi e successivamente diventando dirigente del Fronte della Gioventù. Nel 1985 viene eletto consigliere comunale del comune di Como nelle file del Movimento Sociale Italiano. Nel 1990 viene eletto consigliere provinciale della Provincia di Como, riconfermato successivamente nel 1994 e nel 1998. Nel 1992 viene eletto alla Camera dei deputati. Dal 1994 al 1996 è vicesindaco del comune di Como, con deleghe ai lavori pubblici, all’edilizia privata, al commercio, all’industria e alle politiche giovanili. Nel 1996 viene rieletto alla Camera dei deputati per Alleanza Nazionale. È membro della Commissione Parlamentare di Vigilanza. Nel 2001 è confermato alla Camera dei deputati. È membro della Commissione Cultura e della Commissione di Vigilanza Rai. Nel 2006 è stato eletto al Senato della Repubblica. È membro della 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali), della commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. È segretario della 8ª Commissione permanente: Lavori pubblici, comunicazioni. In seguito alle nuove elezioni, nelle quali viene rieletto per il Popolo della Libertà, dal 6 maggio 2008 è segretario d’aula del Senato della Repubblica. (fonte wikipedia).

Butti è un politico dunque di carriera e di professione, nulla ha a che fare con il mondo della televisione nè con quello del giornalismo, anche se la sua scheda di parlamentare dice che è pubblicista, per i non addetti ai lavori il pubblicista è una sorta di “pre giornalista”, cioè è un soggetto che può fare l’esame di Stato per diventare giornalista professionista ma che ancora non l’ha fatto. Naturale dunque che le sue idee tengano in scarso o nessun conto quelle che sono le esigenze di una televisione o del mercato in genere per focalizzarsi di contro su esigenze meramente politiche. Fatta questa premessa diviene più facile leggere l’”atto di indirizzo” della maggioranza.

Il documento recita: “tutti i partiti presenti in Parlamento devono trovare, in proporzione al loro consenso, opportuni spazi nelle trasmissioni di approfondimento giornalistico”, il che significa che a ogni puntata di Annozero o Porta a Porta, Ballarò o quant’altro debbano esserci in studio più o meno alcune decine di parlamentari e persino frazioni di parlamentari visto che, se il Pd ne ha due l’Idv a quanti ne avrà diritto? Un tre/quarti, o magari ad uno intero che però se ne va dopo una mezz’ora di trasmissione? Ma il meglio deve venire. I conduttori devono essere non uno ma “due, di diversa estrazione culturale”, e allora perché non tre o quattro, mica tutte le idee sono riassumibili in due posizioni e poi, se mai i due conduttori si trovassero d’accordo, cosa accadrebbe, si sospende la trasmissione e la si recupera la settimana successiva con altri due conduttori?

Butti non dimentica di regolare anche il pubblico a cui saranno vietate “manifestazioni di consenso (applausi) o di dissenso (comunque espresso)”. La nota “comunque espresso” è una delizia intellettuale, non si possono ovviamente  “tirare scarpe” verso chi dice cose non condivise, ma non si possono evidentemente nemmeno alzare gli occhi al cielo o sbuffare. Verrà quindi probabilmente istituita la figura dell’arbitro negli studi televisivi, cartellino giallo per un “no”, rosso diretto per i fischi. Oppure pubblico scelto e selezionato come quei cinquanta militanti Pdl che il Pdl aveva mandato da Santoro. Bloccati all’ingresso, ma, se passa “l’indirizzo”, avranno diritto al posto in studio e al caffè. Quello che resta da chiarire è se sarà adottata la moviola in campo e se ci sarà un giudice che squalifica il pubblico che viene sanzionato. Ma non è tutto: secondo Butti è “necessario coniugare” il diritto di cronaca “con il rispetto per il pubblico, in particolare nei programmi normalmente in onda nella cosiddetta fascia protetta in cui è indispensabile evitare morbosità”, per cui nel caso (facciamo un’ipotesi assurda, fantascientifica) ci fosse un sexgate che coinvolge politici, ne parliamo dopo mezzanotte quando i bimbi sono a letto.

Ed eccoci al pezzo migliore in cui si esibisce Butti a nome della maggioranza che chiede che si “razionalizzi l’offerta delle trasmissioni di approfondimento giornalistico… allo scopo di evitare ridondanze e sovrapposizioni che possono rendere confusa l’offerta Rai”. Sentite bene: “È opportuno, in linea generale, che i temi prevalenti – di attualità, politica o cronaca – trattati da un programma non costituiscano oggetto di approfondimento di altri programmi, anche di altre Reti, almeno nell’arco degli otto giorni successivi alla loro messa in onda”. Vuol dire che se ad esempio in un talk show si parla (sempre facendo ipotesi di fantasia) di un’inchiesta giudiziaria sul presidente del Consiglio, negli altri – per otto giorni – ci sarà libertà di parlare di un’inchiesta sul presidente della Camera, della crisi in Egitto, del festival di Sanremo, di che cosa è rimasto di Lady Diana a quattordici anni dalla scomparsa. A parte il commento giustamente sarcastico che ne fa Michele Brambilla su “La Stampa”, tocca ora capire cosa se ne fa la Rai dei suoi circa dieci canali con 24 ore di trasmissioni se solo un programma può parlare di un dato tema e poi silenzio per una settimana. E, notazione sottile, RadioRai come si pone? Vale come la tv visto che è la stessa azienda?

Milena Gabanelli

Ma non finisce, naturalmente, qui perché il Pdl non dimentica certo Milena Gabanelli. Via la “manleva legale” nei servizi d’inchiesta, perché “il conduttore è sempre responsabile della qualità delle notizie, sollevando la Rai da responsabilità civili o penali” e stop alle inchieste di giornalisti esterni alla Rai, cioè tutti quelli di Report e molti di Annozero. Come da tradizione non manca, infine, l’immancabile norma ad personam contro Santoro. Se “l’editto bulgaro” non è bastato, se Masi ha tentato invano di “chiuderlo”, se Berlusconi non è riuscito a farlo tacere in nessun modo, si faccia un bel regolamento che stabilisce che: “Non può essere consentita la conduzione di programmi di approfondimento o la direzione di Rete o testata a chiunque abbia interrotto la professione giornalistica per assumere ruoli politici”. Ciao Santoro. Quest’ultimo punto, che sembra, anzi di certo è il meno risibile, è però il più “significativo” di tutti “l’indirizzo”. Quasi tremila anni fa gli ateniesi stabilirono che i politici dovessero avere uno stipendio in modo da aprire l’accesso al mondo della politica anche a chi per vivere aveva bisogno di lavorare e ora Butti vuole stabilire che chi ha fatto politica non lavora più, almeno non in Rai. Scrive Aldo Grasso sul Corriere della Sera a commento: “Abolizione della Commissione di Vigilanza sulla Rai”. L’unico commento possibile. Anche se non tutto è “vigilanza” e prepotenza politica sulla tv pubblica. Sulla Rai si abbatte come nemesi la conseguenza di un “equivoco” nel quale anche i giornalisti Rai si sono adattati, fino a farne una cuccia e una bandiera: l’equivoco dell’equazione tra lottizzazione, spartizione dei posti e degli incarichi con il “pluralismo”. Equivoco coltivato dalla sinistra, dai sindacati interni, dali stessi conduttori che oggi la politica vuole ridurre a salami appesi. La Rai tutta ha accettato che i partiti facessero della Rai “casa e cosa propria”. E “l’indirizzo” di Butti in fondo altro non è che un regolamento di condominio ottuso sì, ma rivolto a inquilini che hanno avuto l’appartamento in “comodato d’uso” dai partiti di riferimento.

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