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Referendum: se cade il Porcellum addio alle coalizioni a tutti i costi

di Emiliano Condò |29 Settembre 2011 19:41

ROMA –  Un milione di firme, comodamente raccolte in 199 scatoloni. Forse qualcuna di più, ma è un dettaglio visto che ne sarebbero bastate la metà. Antonio Di Pietro annuncia trionfante che i numeri per fare il referendum che deve mandare in pensione l’attuale legge elettorale ci sono. La consegna delle firme è prevista per venerdì a mezzogiorno. Poi ci sarà un doppio scoglio che però, viste le premesse sembra più formale che altro.

Entro dicembre toccherà alla Cassazione fare i conti e le verifiche: si tratta di stabilire se le firme sono abbastanza e sono autentiche. Poi palla alla Corte Costituzionale che dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità dei quesiti. Anche in questo caso, però, si tratta più che altro di un passaggio tecnico visto che il via libera appare scontato. Per saperlo in modo definitivo, in ogni caso, occorrerà attendere fino a metà gennaio.

Passaggi tecnici a parte, però, la sostanza di quello che accade con il referendum è tutta politica. Un milione di firme significa che il Porcellum ha nauseato una buona parte degli italiani e quindi, anche il raggiugimento del quorum, appare un obiettivo possibile. Ma se passa il referendum cambia completamente il mazzo delle carte della politica italiana e cambia, in modo profondo, la logica delle alleanze politiche. Il perché è presto detto: il referendum, tra le altre cose, cancellerebbe il premio di maggioranza, ovvero quel meccanismo che garantisce alla coalizione che ha vinto 340 seggi alla Camera, ovvero il 55% del totale a prescindere dalla percentuale reale.

Se salta il meccanismo, però, viene meno la ragione ultima delle alleanze a tutti i costi, soprattutto se ritorna il vecchio sistema, quello con il 75% di seggi attribuiti con i collegi uninominali e il restante 25% con la proporzionale. Ad esempio un partito come la Lega Nord potrebbe puntare a “sganciarsi” dal Pdl senza perdere deputati. Come? Correndo da sola in quei collegi del nord dove è in grado di far eleggere i suoi senza passare per gli alleati.

Effetti analoghi di spinta centrifuga potrebbero esserci anche a sinistra. Con lo sbarramento al 4% partiti come Idv e Sel sono, con i numeri di oggi, sicuri di entrare almeno alla Camera grazie alla quota proporzionale. Tutto senza trascurare la capacità di vincere collegi territorialmente favorevoli. L’alleanza con il Pd non sarebbe più questione di vita o di morte politica.

Prevedere tutto, è ovvio, non si può. Certo un salto simile cambierebbe la mappa politica del Paese. E non a caso prima ancora che le firme arrivino in Cassazione c’è già chi studia i rimedi. Il referendum, tecnicamente, potrebbe arrivare a primavera 2012. Per evitarlo ci sono due possibilità: fare una legge elettorale o far cadere il governo in tempo in modo da andare a votare ancora con il vecchio Porcellum. Non a caso ancora oggi Berlusconi ha detto durante il vertice di maggioranza che sulla legge elettorale bisogna accelerare e Angelino Alfano ne ha fatto uno dei sui temi cardine da quando è segretario del Pdl.

La via, però, rischia di essere troppo lunga. E allora ecco il piano di riserva, piano che a Berlusconi non piace visto che, non è un mistero, il premier vuole arrivare al 2013. Il piano è presto detto: cadere per non farsi male. Cadere un attimo prima del referendum, giusto in tempo per fare un’altra tornata elettorale con il sistema attuale. Poi ci sarebbero cinque anni per pensare al che fare. Soprattutto, una volta votato, il tema del referendum perderebbe appeal per gli italiani. A chi giova? A chi vuole continuare a giocare col mazzo che conosce bene, senza rischiare.

 

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