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Oltre Fiorito e Polverini. Regioni elefanti divoratori. Storia di un fallimento

di Warsamé Dini Casali |24 Settembre 2012 20:17

Renata Polverini

ROMA – Mentre Renata Polverini va direttamente da Monti e resiste ostinata rivendicando di aver avviato la bonifica in Regione, i consiglieri del Pd si dimettono in massa per accelerare la fine della legislatura del parlamentino laziale. [Solo in serata la Polverini non resisterà alle pressioni e alla vergogna è stata costretta a dimettersi].

Quel “parlamentino”, solo nominalmente di grado inferiore a quello nazionale, è in realtà un pachiderma, come lucidamente ha notato Michele Ainis nel suo editoriale di sabato 22 settembre sul Corriere della Sera. Ora che infuria la bufera, siamo abbagliati (e disgustati) dalle cene trimalcioniche, dalle caciotte di partito, dalle mascherate, dai bonifici all’estero, dallo scandalo tutto ruotante sulla figura ingombrante del capogruppo e tesoriere Fiorito, dalla crisi irreversibile di un sistema di potere che investe il Pdl ma che riguarda tutti i partiti se è vero come è vero che tutti insieme appassionatamente si assegnarono 14 milioni di euro dall’unico milione che era (e tutti votarono, nessuno alzò un ciglio, Pd e Idv compresi).

Il disgusto non deve però far velo al riconoscimento di una realtà che parte da lontano. Le Regioni servono ai partiti più di quanto servano alla comunità. “C’è allora una lezione che ci impartiscono gli scandali da cui veniamo sommersi a giorni alterni. Vale per le Regioni, vale per i partiti. Perché viaggiamo a cavalcioni d’un elefante, ecco il problema. E l’elefante mangia in proporzione alla sua stazza. Quindi, o mettiamo a dieta il pachiderma o montiamo in sella a un animale più leggero”, sostiene Ainis al termine di un ragionamento che ricostruisce nascita, sviluppo e agonia di un decentramento amministrativo che negli ultimi 10 anni ha aumentato la spesa regionale di 90 miliardi.

Tutti, nel senso di tutti i partiti, hanno bisogno delle Regioni, per impiegare in qualche modo l’enorme e famelica schiera di personale politico che affolla “consulte, comitati, consorzi, commissioni, osservatori”. I costituenti, con il decisivo apporto dei comunisti interessati a ritagliarsi spazi di agibilità governativa altrimenti interdetti, introdussero nel ’47 la novità assoluta degli enti regionali. Per più di vent’anni le disposizioni costituenti restarono lettera morta, i democristiani ostacolandone l’attuazione in funzione anticomunista. Quando all’inizio degli anni ’70 furono infine istituite, le Regioni nacquero monche, depotenziate, con poca autonomia politica e nulla o residua competenza legislativa.

Nel 2001 cambia tutto con la riforma del Titolo V della Costituzione, centrosinistra regnante, Lega benedicente. Dal troppo poco al troppo, il salto è incredibile. Le Regioni legiferano in competizione con il Parlamento, aprono rappresentanze all’estero, sono trasformate in “soggetti politici ben più potenti dello Stato”. A parte il capitolo della spesa sanitaria nazionale che viene loro affidata, intralciano il lavoro di un governo. Il presidente del Consiglio Monti aveva deciso di chiudere gli ospedali piccoli: il ministro Balduzzi prima e la Corte Costituzionale poi gli dovettero spiegare che non poteva scavalcare le leggi regionali  né porre misure permanenti sulla finanza regionale. Semplicemente la Costituzione lo esclude.

Gli eccessi del decentramento amministrativo, di un federalismo vorace ma amputato degli strumenti di cui si dotano, per dire, gli Stati in Usa o i Landêr tedeschi, della proliferazione degli incarichi e di una burocrazia tentacolare, queste sono le vere ragioni del decadimento di una istituzione politica pachidermica e incontrollabile. Come sostiene Luca Ricolfi “se il federalismo è vero federalismo non può piacere al ceto politico. E se piace al ceto politico è perché non è vero federalismo, ma federalismo nominale”. Le feste, le teste di maiale, le case in centro e il caviale appartengono al grottesco implicito che si accompagna a ogni fase terminale. Vale per i Fiorito e Polverini oggi nell’occhio del ciclone, come per il Pd laziale che per bocca del suo capogruppo Esterino Montino sostiene che quel denaro era troppo, “abbiamo sbagliato a prenderlo”. Roma non è stata distrutta in un giorno. Occhio ai forconi.

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