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Comunione ai divorziati: spiragli, dal vangelo di Matteo al concilio di Trento

di admin |8 Ottobre 2014 19:42

La messa di Papa Francesco durante il Sinodo (Ansa)

ROMA – Sulla questione della comunione ai divorziati interviene Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti, che trova addirittura nel Concilio di Trento del 1545-63 uno spiraglio aperto per consentire la comunione ai risposati.

Con il Sinodo sulla famiglia in corso, con un dibattito vivace fra conservatori (il divorziato non può fare la comunione) e progressisti (alcuni divorziati possono essere riammessi al sacramento della comunione), non può passare inosservato un lungo articolo, scritto da Giancarlo Pani, “Matrimonio e seconde nozze nel Concilio di Trento”. Perché Civiltà Cattolica, oltre a essere la voce dei gesuiti, è una pubblicazione le cui bozze vengono corrette dalla segreteria di Stato vaticana.

Il canone settimo del Concilio di Trento sul divorzio per adulterio recita così:

«Se qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato e insegna, secondo la dottrina del Vangelo e degli apostoli, che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto per l’adulterio di uno dei coniugi; che nessuno dei due, nemmeno l’innocente, che non ha dato motivo all’adulterio, può contrarre un altro matrimonio, vivente l’altro coniuge; che commette adulterio il marito che, cacciata l’adultera, ne sposi un’altra, e la moglie che, cacciato l’adultero, ne sposi un altro, sia anatema»

Formulazione che lascia spazio a molteplici interpretazioni. Quella di Pani su Civiltà Cattolica è che il canone tridentino, condannando chi professa che il vincolo del matrimonio possa essere sciolto per adulterio, lasci la porta aperta al rito in uso nelle chiese orientali, quello cioè di celebrare con un rito apposito le seconde nozze del coniuge “innocente” (quello che non ha commesso adulterio ma lo ha subito), e di riammetterlo nella comunità ecclesiale. Ecco cosa scrive Pani:

“La formulazione è singolare, in quanto da un lato condanna la dottrina di Lutero e dei riformatori che disprezzavano la prassi della Chiesa sul matrimonio, dall’altro lascia impregiudicate le tradizioni dei greci che, nel caso specifico, tollerano le nuove nozze. Qui appare una correzione importante rispetto alla precedente stesura: non si dice «il matrimonio», ma «il vincolo del matrimonio». Il canone tratta solo della indissolubilità interna del matrimonio, cioè del fatto che il matrimonio non si scioglie ipso facto, né per l’adulterio di uno dei coniugi, e nemmeno quando i coniugi decidono in merito a questo, secondo la propria coscienza. Inoltre, il Concilio non dice nulla circa la questione se la Chiesa abbia o meno la possibilità di pronunciare una sentenza di scioglimento del vincolo (si tratterebbe della «indissolubilità esterna» del matrimonio). In tal modo il canone rispetta la prassi degli orientali, i quali, pur affermando e riconoscendo l’indissolubilità del matrimonio, non ammettono che siano i coniugi a decidere personalmente del loro vincolo matrimoniale; gli orientali, tuttavia, dopo un discernimento da parte della Chiesa e una pratica penitenziale, consentono le nuove nozze”.

Incomprensibili questioni dottrinali? Facciamo un passo indietro per capire perché per la Chiesa il divorziato, al pari dell’omicida, vive “in peccato mortale” e non possa più ricevere la comunione. Una condizione che riguarda non pochi cattolici e sulla quale c’è un’attenzione che va oltre le pareti della sala dove si sta svolgendo il Sinodo dei vescovi (vi partecipano 191 padri sinodali).

Il discorso parte dai vangeli, dai passi in cui si parla di matrimonio e adulterio. A cominciare dal Vangelo di Marco (10,1-12)

In quel tempo, Gesù, partito da Cafarnao, si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l’ammaestrava, come era solito fare. E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?” Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?” Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”.
Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto“.
Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.

Più o meno le stesse parole che si trovano nel Vangelo di Luca (16,16-18)

“Chiunque ripudia la propria moglie e sposa un’altra donna commette adulterio, e chi sposa una donna ripudiata dal marito commette adulterio”.

È nel Vangelo di Matteo che si apre una finestrella alla possibilità di seconde nozze (5,31-32)

“Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

E ancora di più in questo passo (19,3-9)

Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
Gli domandarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?». Rispose loro: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio».

Quella parola “unione illegittima” nella versione greca dei vangeli è espressa con la parola porneia (che significa anche fornicazione, prostituzione, lussuria) e nella versione ebraico-aramaica è z’nut, che ha più o meno lo stesso significato. È una parola dai molteplici significati, di difficile traduzione, e che, inserita in un contesto che – come abbiamo visto – non è del tutto chiaro, originò più interpretazioni.

Quella dei padri della Chiesa orientale fu che una persona sposata, che subisce il tradimento del coniuge e che quindi non abbia commesso il peccato di adulterio, possa, dopo penitenze, risposarsi e – dopo altre penitenze – possa essere riammesso nel gregge dei fedeli.

Scrive Franca Giansoldati sul Messaggero:

Per i cattolici orientali era usuale, nel caso di adulterio della moglie, sciogliere il matrimonio e risposarsi, anche perchè esisteva un rito antichissimo dei loro Padri per la celebrazione delle nuove nozze. «Tale consuetudine – ricorda l’articolo di Civiltà Cattolica – non è stata mai condannata da nessun Concilio ecumenico, né essi sono stati colpiti da alcun anatema, benché quel rito sia stato sempre ben noto alla Chiesa cattolica romana».

I Padri della Chiesa tra cui Cirillo di Alessandria, a proposito delle cause di divorzio, affermava che «non sono le lettere di divorzio che sciolgono il matrimonio di fronte a Dio, ma la cattiva condotta dell’uomo». Giovanni Crisostomo, invece, giudicava l’adulterio la ragione della morte reale del matrimonio. Infine Basilio, quando parlava del marito abbandonato dalla moglie, riconosceva che egli può essere in comunione con la Chiesa (il testo presupponeva che il marito si fosse risposato).

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