Impeachment, l’ambasciatore Sondland inguaia Trump: “Abbiamo eseguito i suoi ordini. Chiaro qui pro quo”

di redazione Blitz
Pubblicato il 21 Novembre 2019 - 00:01 OLTRE 6 MESI FA
Impeachment, l'ambasciatore Sonland inguaia Trump: "Abbiamo eseguito i suoi ordini. Chiaro quid pro quo"

L’ambasciatore Sonland (Foto Ansa)

WASHINGTON  –  “Abbiamo seguito gli ordini del presidente (…). C’è stato un chiaro qui pro quo (…). Tutti erano nella cerchia (…) Il presidente Trump non mi ha mai detto chiaramente che gli aiuti all’Ucraina fossero legati alle indagini sui Democratici”: sono le frasi chiave pronunciate dall’ambasciatore americano all’Unione Europea, Gordon Sondland, chiamato a deporre davanti al Congresso nell’inchiesta di impeachment del presidente americano sul presunto scambio di favori con Kiev ai danni di Joe Biden.

L’ambasciatore ha chiamato per la prima volta in causa tutti, dal presidente al segretario di Stato, Mike Pompeo, al vicepresidente Mike Pence, dichiarando come fossero tutti a conoscenza delle pressioni sull’Ucraina perché il presidente Volodymyr Zelensky avviasse un’inchiesta sull’ex vicepresidente americano e il figlio Hunter. Ma allo stesso tempo ha ribadito come Trump non gli abbia mai “detto chiaramente” che gli aiuti destinati all’Ucraina fossero legati alle indagini.

Sondland si è confermato una mina vagante nelle oltre tre ore di deposizione, che ha affrontato in modo diverso rispetto ai diplomatici che lo hanno preceduto: spavaldo, ironico, sorridente. Nessuno è rimasto sorpreso, conoscendo la sua storia: figlio di una tedesca fuggita dalla Germania e di un ex legionario, Sondland è un uomo d’affari diventato ambasciatore, nonostante non avesse alcuna esperienza, dopo essere stato tra i maggiori donatori della campagna di Trump.

La sua vita è trascorsa lontana dai palazzi della politica, investendo su alberghi chiusi per bancarotta e rilanciandoli, per arrivare ad aprire una catena di hotel da Nashville a Los Angeles. Una volta approdato nel mondo della diplomazia, Sondland ha rotto il protocollo.

Il dipartimento di Stato gli aveva chiesto inutilmente di non usare whatsapp, email e messaggi al cellulare per non lasciare “traccia”, ma lui ha fatto sempre di testa sua. Ora quei messaggi gli sono tornati utili nel dare validità al suo racconto, che, per sua stessa ammissione, non è stato accurato sulle date avendo “una memoria insufficiente”.

“Ognuno sapeva della pressione sull’Ucraina, non era un segreto”, ha ammesso. Sondland ha detto di averne parlato, a fine agosto, con il vicepresidente Pence, e di aver tenuto aggiornato il segretario di Stato, Pompeo. Della “cerchia” facevano parte anche il capo dello staff presidenziale, Mick Mulvaney e il segretario all’Energia Rick Perry.

L’ambasciatore ha confermato anche la telefonata del 26 luglio con Trump, fatta da un ristorante di Kiev, usando il suo cellulare personale. “Ero consapevole che la linea non fosse protetta”, ha ammesso Sondland.

Nel corso della telefonata aveva usato un’espressione colorita, “lui ama il tuo c…”, per testimoniare a Trump la totale disponibilità di Zelensky a “fare tutto ciò che serviva” agli Stati Uniti, pur di strappare un incontro ufficiale alla Casa Bianca. L’episodio della telefonata è stato rivelato dall’ambasciatore a Kiev, Bill Taylor, durante l’udienza della settimana scorsa. Trump ha negato l’episodio, dicendo di non ricordare. (Fonte: Agi)