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Libia, i veti di Cina e Russia e i dubbi Usa allontanano l’ipotesi di una no-fly zone

di Maria Elena Perrero |3 Marzo 2011 13:01

ROMA – L’ipotesi di stabilire una no-fly zone sulla Libia, ovvero l’interdizione dello spazio aereo per impedire a Gheddafi di bombardare i rivoltosi, rimane al momento lontana, a meno di colpi di scena, perché sia la Nato sia numerosi Paesi del Consiglio di Sicurezza, e tra questi anche Francia, Cina e Russia che hanno diritto di veto, giudicano indispensabile una nuova risoluzione ad hoc.

Per Pechino “la soluzione alla crisi libica va ottenuta solo con mezzi pacifici”. Mosca sostiene che con l’instaurazione di una no fly zone “si rischierebbe un nuovo Afghanistan”. Per la Turchia “sarebbe un’assurdità”.

Mentre il britannico William Hague non giudica obbligatorio il via libera dell’Onu, anche se auspicabile, il neo ministro degli esteri francese Alain Juppé, scettico su un eventuale ruolo dell’Alleanza Atlantica, pensa a un via libera esplicito dei Quindici. Ma per Washington il mandato Onu è indispensabile, considerato che la no fly zone è un’operazione militare, e senza i voti di Cina e Russia non sarà possibile.

In Italia chiede una risoluzione il ministro degli esteri, Franco Frattini, dichiarando la disponibilità delle basi italiane, e lo stesso fa il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, pronto a prendere in considerazione una richiesta per una zona di non volo da parte del Palazzo di Vetro per neutralizzare i Mig di Gheddafi.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, insistono sul carattere esclusivamente umanitario di eventuali future operazioni, se la situazione precipiterà. Il ministro della difesa americano Robert Gates ha detto che la creazione di una ‘no-fly zone’ richiederebbe un attacco contro la Libia. ”Diciamo le cose come stanno. Una ‘no-fly zone’ inizia con un attacco contro la Libia per distruggere le sue difese aeree”, ha detto Gates durante una audizione al Congresso. ”Solo dopo un attacco del genere sarebbe possibile far volare i nostri aeroplani sul paese senza la preoccupazione che i nostri piloti possano essere abbattuti”, ha aggiunto il capo del Pentagono.

Dubbi arrivano anche dalla US Air Force: “Le difese anti-aeree della Libia sono superiori a quelle dell’Iraq ai tempi di Saddam Hussein. La no-fly zone richiederebbe centinaia di cacciabombardieri”.

Queste avvertenze rende poco credibile anche l’offerta della Lega araba, che ha proposto di farsi carico della no-fly zone insieme all‘Unione africana. Due organismi i cui Stati membri non hanno certo flotte militari né aviazioni paragonabili agli Stati Uniti.

“I Paesi arabi – si legge nella risoluzione finale della riunione dei ministri degli Esteri dell’organismo panarabo- non possono restare a braccia conserte durante gli attacchi contro il popolo libico fratello e al suo spargimento di sangue”. I ministri fanno riferimento ad una ”concertazione” per cercare i mezzi ”migliori” per proteggere il popolo libico e garantirne la sicurezza. In questo contesto, afferma la risoluzione, i Paesi arabi tendono ”ad imporre una zona di esclusione aerea di concerto con la Lega araba e l’Unione Africana”.

Ma al momento i movimenti militari americani sono ridotti al minimo. Due navi, la Uss Kearsarge e la Uss Ponce con 600 marines e due elicottteri a bordo, hanno ricevuto l’ordine di spostarsi dal Mar Rosso al Mediterraneo, ma solo per essere in grado di fornire assistenza umanitaria. La portaerei Uss Enterprise resta invece nel Mar Rosso, per presidiare l’area mentre le navi militari iraniane rientrano dal canale di Suez. La Kearsarge e la Ponce, insieme alla Andrid, hanno attraversato ieri il Canale di Suez, e sono ora a 50 miglia al largo della costa libica.

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