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Sud Sudan al referendum, presto indipendente: miseria, petrolio e corruzione

di Marco Benedetto |8 Gennaio 2011 10:56

Pag'an Amun, dalla mimetica alla cravatta

Dopo anni di guerra e di violenze, milioni di morti e di profughi, i quattro milioni superstiti di abitanti del Sudan del Sud a prevalenza cristiana voteranno per un referendum destinato a sancire il distacco e l’indipendenza della regione dal Nord musulmano (capitale Khartum).

Le urne saranno aperte domenica 9 gennaio e lo resteranno per una settimana. Il risultato appare scontato e così tra poco il Sudan del Sud (capitale Juba) sarà uno Stato ricco di petrolio, uranio e anche della materia prima della Coca cola, ma abitato da gente poverissima, tra i più poveri del mondo.

La Stampa.it pubblica un articolo di Jacopo Arbarello che analizza la situazione del Sudan del Sud senza la retorica che spesso pervade in momenti come questo.

Infatti, se molte sono le aspettative e le speranze, moltissimi sono anche i timori di nuove catastrofi che già promettono di tormentare questi poveretti.

Arbarello traccia un efficace ritratto di un politico del nuovo Sudan meridionale. Si chiama Pag’an Amun, è segretario dell’Splm (Sudan people liberation movement), partito di primaria importanza tra i 13 esistenti nel paese anche perché forte di un esercito di 40 mila uomini, che hanno combattuto contro il Nord, di cui è il braccio politico. Amun, dalla pace del 2005 che ha portato all’attuale referendum, siede anche nel governo di Karthum come ministro. Arbarello descrive il suo arrivo, in campagna elettorale, in un paese nella foresta. Amun arriva “con 4 ore di ritardo, preceduto da decine di fuoristrada e in compagnia di almeno una trentina di soldati armati di Kalashnikov che lo proteggono a ogni mossa”. Amun dice: “La grande sfida è costruire una nazione partendo così dal basso, dopo essere stati schiavizzati, colonizzati, marginalizzati. Dopo che il Nord ci ha negato tutte le possibilità di sviluppo. Noi ci stiamo provando”.

Mette in guardia Albarello: “La vulgata che gira per le strade e nei mercati è questa: è tutta colpa dei nemici del Nord”. La parola d’ordine è infatti che “il Sud manca di tutto, di strade di ospedali, di case, di scuole perché il governo di Khartum non li voleva costruire anche se il petrolio è a Sud e non a Nord”.  Alla domanda sulla mancata redistribuzione dei redditi del petrolio in questi ultimi 5 anni in cui il governo del Sud ha ricevuto il 50% dei proventi, i nuovi politici spiegano: “Khartum ci escludeva dalla vendita del petrolio e ci arrivavano meno soldi. Adesso che la gestiremo noi la gente vedrà i risultati”.

Gli operatori umanitari che hanno base a Juba e nelle province del Paese la vedono diversamente e, riferisce Albarello, parlano di “un governo locale già gravemente intaccato dalla corruzione, fatto di ex combattenti che una volta deposte le armi non riescono a gestire la macchina di uno Stato. E dell’assenza di una giovane classe dirigente in grado di rimpiazzarli”.

Un altro problema che appare destinato ad affliggere il nuovo Stato è quello dei profughi di ritorno: “La seconda guerra civile sudanese ha provocato 4 milioni di rifugiati e sfollati, per la maggior parte scappati a Nord dove la maggioranza vive ancora in enormi campi alle porte di Khartum”. Sono discriminati perché cristiani in un Paese in cui vige la sharia. Molti sono tornati dopo la pace nel 2005 ma moltissimi stanno tornando adesso. Il ritmo è di 2000 al giorno: arrivano in aereo, con le chiatte sul Nilo e in estenuanti viaggi in autobus.

L’articolo cita Giovanni Bosco, capo dell’ufficio dell’Onu che coordina gli aiuti umanitari: “Sono già arrivate 140 mila persone ma ne potrebbero tornare 800 mila, e tornano per restare perché hanno paura di come possono andare le cose al Nord dopo la secessione. Non sanno dove andare perché le terre che hanno abbandonato durante la guerra sono occupate”.

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