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Filippo Facci su Libero: “Femminicidio, un obbrobrio. Gli uomini uccisi sono il doppio delle donne”

di Gianluca Pace |11 Ottobre 2013 11:17

Libero e la Boldrini

ROMA – “Un capolavoro progressista”, Filippo Facci, dalle pagine di Libero, attacca il decreto omnibus sul femminicidio, una legge che “non tutela le donne e discrimina i gay”.

Ecco l’articolo:

La Camera ha imboscato il decreto in un provvedimento omnibus (assieme a norme sui fuochi d’artificio e sui furti di rame) e il Senato ha tempo sino al 15 ottobre per approvarlo così com’è, pena un ritorno alla Camera che i più cercheranno di scongiurare. Non si capisce, parentesi, a che cosa serva il Senato, visto che non potrà apportare delle modifiche. Ma i problemi sono altri.

La legge, sappiamo, è figlia di una suggestione mediatica ingiustificata. Diversamente da quanto detto e scritto, il femminicidio in Italia non è in aumento, bensì in calo; in Italia si uccidono meno donne rispetto a tutto l’Occidente e ci sono paesi come l’Au – stria e la Finlandia che hanno tassi tre volte superiori ai nostri. Sostenere perciò che trattasi di «delitti per i quali l’Italia vanta un orribile record» (Corriere della Sera di ieri) è dire il fal- so. Parlare di «vera emergenza sociale» (come denunciato da Isabella Rauti, neo «consigliere per le politiche contro la violenza di genere») suona almeno come opinabile rispetto a emergenze assai più contingenti. Chi volesse controllare è sufficiente che guardi ai dati dell’Istat, dell’Onu e del ministero dell’Interno.

Ma proseguendo: che cos’è il femminicidio? Essenzialmente è l’omicidio di donne da parte di conoscenti o partner. Ma va aggiunto che il fenomeno è in costante diminuzione e che gli uomini ammazzati sono più del doppio delle donne: il rapporto è 7 a 3. Ciò non toglie che sia un fenomeno allarmante e ora ben individuato (sono migliorati gli strumenti per censirlo) e ciò non toglie che le casistiche per troppo tempo siano state sottaciute: ben venga ogni opera di sensibilizzazione a proposito. Ma l’impressione di una legge «toppa», fatta per placare ansie mediatiche, resta fortissima. Anzitutto perché una legge c’è già: è la legge che punisce l’omicidio, e con una giustizia che funzioni non dovrebbe servire altro. La pretesa che il «femminicidio» possa costituire un’aggravante dell’omi – cidio, oltretutto, introduce una discriminazione di genere che pare a rischio di incostituzionalità, ma questo ora lasciamolo perdere. È ben più grave che si introducano delle novità che sembrano fatte apposta per squilibrare il sistema e creare nuovi problemi, come sempre accade con le legislazioni d’emergenza. Discutibilissima, per esempio, è l’irrevocabilità delle denunce: una volta fatte non si può più tornare indietro, quindi addio mediazioni, ripensamenti e possibili ravvedimenti; conoscendo poi i livelli di conflittualità a cui può arrivare una coppia – laddove ad accuse vere se ne mischiano spesso di false, tanto per fare mucchio – il rischio di ingiustizie oggettivamente c’è. Così come un altro rischio, da Stato di Polizia, è quello per cui le forze dell’or – dine possano disporre l’allontana – mento di un uomo (perché solo di uomini si parla) anche senza il vaglio di un giudice. Ma poi c’è quanto segue.

Il decreto prevede due aggravanti in caso di violenza sessuale, roba da raddoppiare la pena da 6 a 12 anni: avere agito contro una donna incinta (il che pare ineccepibile) ma soprattutto «essere legato da relazione affettiva» con la donna aggredita: dunque esserne il marito, anche separato o divorziato. In parole povere, la pur biasimevole violenza perpetrata da un marito, o ex marito, è doppiamente grave rispetto a uno stupro fatto per strada da uno sconosciuto: perché quest’ultimo violenta una donna per mera concupiscenza o desiderio di sopraffazione, l’ex marito invece ha l’aggravante della «relazione affettiva», perché la donna aveva fiducia in lui. Quella che in altri tempi avrebbe costituito una sorta di ingiustificata attenuante, ora, diviene addirittura una conclamata ag- gravante. Spetterà a un giudice stabilire «con ragionevole certezza» le differenze tra affetto, desiderio, un misto tra i due, possessività, oppure follia, raptus, capacità o meno d’intendere o di volere eccetera. Non solo. Il decreto ha per oggetto il «femminicidio», ma se la violenza non è su una femmina? Il titolo del decreto parla di «violenza di genere», il che sembra implicare un genere diverso tra il violento e il violentato: ma la cosa non è chiara. Domanda: l’aggravante della «relazione affettiva» è applicabile anche agli omosessuali o alle lesbiche? A rigor di logica dovrebbe essere così, anzi, c’è ragione di pensare che un omosessuale, se violentato, abbia altrettanti motivi «sociali» per non sporgere denuncia. Ma il decreto non spiega e parla solo di «genere», lasciando presupporre che solo di uomini e donne si parli. Un modo come un altro per ribadire che le coppie omosessuali, socialmente e giuridicamente, non esistono. Un capolavoro progressista.

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