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Il Giornale: “Sorgenia ha un buco di 1.8 miliardi”

di Gianluca Pace |5 Dicembre 2013 14:00

Il Giornale: “Sorgenia ha un buco di 1.8 miliardi”

ROMA – Un buco di 1,8 miliardi affliggerebbe Sorgenia, società del Gruppo Cir e creatura di Rodolfo De Benedetti, figlio di Carlo. Lo afferma Marcello Zacché sul Giornale di Paolo Berlusconi, fratello di Silvio. Mancando conferme dalla società e dalla banca d’affari Lazard che sarebbe stata chiamata a risolvere il problema dei debiti, appare difficile capire se si tratti o meno di una nuova puntata della guerra mediatica fra le due famiglie De Benedetti e Berlusconi, anche se l’articolo di Marcello Zacché appare molto informato.

Perfida, proprio da acerrimi nemici, la conclusione, velenosa e ingiusta: Secondo il Giornale, Carlo De Benedetti (il quale peraltro ormai con la Cir non c’entra più nulla) non avrebbe alcuna intenzione di perdere un centesimo nella iniziativa del figlio Rodolfo,
“magari grazie a qualche operazione di sistema da organizza­re nel 2014. Dopo la vittoria alle prima­rie del Pd di Matteo Renzi, il candidato sostenuto dalla sua Repubblica”.
L’articolo di Marcello Zacché:
Una voragine profonda come quella di Alitalia, Telco-Telecom o Tassara-Za­leski. Si chiama Sorgenia ed è il gruppo energetico controllato dalla Cir della famiglia De Benedetti, che negli ultimi 10 anni ha accumulato debiti su debiti, fino a raggiungere la soglia da allarme rosso di 1,8 miliardi. E qui ha dovuto chiedere alle banche una moratoria e una ristrutturazione del debito. Il grup­po, fondato nel ’99 dall’Ingegnere in vi­sta della liberalizzazione del settore, da un lato non riesce più a rispettare le scadenze; dall’altro dovrà far fronte nel 2014 e 2015 (tra linee «corporate» e «project») a rimborsi per oltre un mi­liardo. Le banche tremano. Mentre la Cir chiede uno «sconto» sui debiti sen­za però voler metterci del suo. Il che, specie dopo il fresco ingresso nelle cas­se dei De Benedetti dei 350 milioni net­ti pagati da Fininvest per il Lodo Mon­dadori, sta irritando non poco le ban­che coinvolte nella faccenda.
Tra queste,prima fra tutte c’è il Mon­te dei Paschi di Siena che, per non farsi mancare niente, è la maggiore sosteni­trice creditizia del gruppo Sorgenia, leader di vari pool di finanziamento erogati negli anni della gestione di Giu­seppe Mussari. La banca guidata da Alessandro Profumo, interpellata, non ha voluto fornire alcuna indicazio­ne per «policy aziendale». Ma secondo voci di mercato Mps dovrebbe essere esposta per circa 600 milioni (un ordi­ne di grandezza pari a un quinto del­l’aumento di capitale da 3 miliardi che la banca senese ha in cantiere). Intesa è la seconda più esposta seguita poi da Unicredit, Mediobanca, Banco Popo­lare, Ubi Banca, Bpm e in misura mino­re anche Carige, Bnl, Cariparma, Pop Etruria e qualche estera. Il debito è di­stribuito tra le diverse società del grup­po, ma essenzialmente sta in capo alla holding per 800 milioni, a Sorgenia Power (650 milioni) da cui dipendono tre delle quattro centrali elettriche e al­la collegata (quindi non consolidata) Tirreno Power (800 milioni), una delle tre «Genco» cedute dall’Enel, di cui Sorgenia detiene il 39 per cento. La si­tuazione è per di più appesantita dal fallimento di una delle banche creditri­ci, la tedesca Portigon (ex WestLb).
Nei soli primi 9 mesi di quest’anno Sorgenia ha annunciato una perdita di 434 milioni, in gran parte dovuta a sva­lutazioni. Il nuovo manager operati­vo, Andrea Mangoni, arrivato a luglio, deve ora negoziare con le banche, che gli hanno chiesto un piano industria­le, in calendario per martedì prossi­mo, nel quale oltre a qualche dismis­sione ci sarà la richiesta al governo di sovvenzioni (il capacity payment ). Ma il punto è che la società si trova in que­ste condizioni per un errore di fondo commesso dai De Benedetti: quello di investire miliardi nelle centrali a «ci­clo combinato» (quelle che funziona­no a gas) e di averlo fatto fino a pochi anni fa, quando il crollo della doman­da da un lato, e la priorità nel dispaccia­mento delle energie rinnovabili dall’al­tro, hanno reso la tecnologia di Sorge­nia marginale. Centrali programmate per lavorare 7-8mila ore l’anno si trova­no a funzionare per 2.500. Per il resto stanno ferme, non producono ricavi, tanto meno margini, ma solo costi fissi (appesantiti dai famigerati contratti «take or pay») e di ammortamento de­gli investimenti effettuati. E Sorgenia, a differenza di altri produttori, ha po­che o nulle possibilità di diversificazio­ne.
Le banche si trovano quindi di fron­te un mix di fattori tutti negativi: il peso del debito e la crisi del settore, a cui si aggiunge un azionariato frammenta­to: la Cir dei De Benedetti controlla il 52% delle attività Sorgenia con gli au­striaci di Verbund al 48%; mentre in Tir­reno Power Sorgenia ha il 39%, con il 50% dei francesi di Gdf. Per risolvere il rebus Sorgenia ha chiamato Lazard, che se ne occupa con l’ad Marco Sa­maja e il partner Igino Beverini. An­ch’essi, interpellati, non hanno voluto fornire chiarimenti sulla situazione, a conferma della cintura di protezione che si sta stringendo intorno a una vi­cenda esplosiva. Gli scenari sono diversi e arrivano fi­no a quello, estremo, secondo il quale il socio Verbund sarebbe deciso a chie­dere il concordato preventivo per fer­mare l’emorragia.
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