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Marco Travaglio: D’Alema salvò Berlusconi rovinò l’Italia

di Marco Benedetto |29 Agosto 2015 14:10

Marco Travaglio: D’Alema salvò Berlusconi rovinò l’Italia

ROMA – La guerra a parole di Massimo D’Alema a Berlusconi e la sua sostanziale sudditanza sono rievocate da Marco Travaglio nel suo editoriale del 29 agosto 2015 intitolato “Max, pietà di noi”. La chiave è nell’ultima frase:

D’Alema “dice di aver sempre combattuto [Berlusconi]. Ecco: appena parla D’Alema, tutti capiscono perché c’è Renzi”.

La polemica è scattata con la sparata di Matteo Renzi al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, in cui Renzi

“aveva liquidato gli ultimi vent’anni come una lunga e inconcludente rissa fra berlusconiani e antiberlsconiani”.

Renzi non è lontano dal vero ma per Travaglio

“Dio sa quanto quella corbelleria meritasse una stroncatura”

salvo poi fornirne la conferma nelle righe successive. Massimo D’Alema, il Conte Max lo chiama Travaglio, ha risposto a Renzi, difendendo

“i presunti successi del centrosinistra, dipingendone i governi come l’età dell ’oro, rivendicando di aver “combattuto Berlusconi” e addirittura sventolando la bandiera dell ’Ulivo”

mentre, ricorda Marco Travaglio,

“nessuno –a parte Berlusconi –ha combattuto l’Ulivo più di D’Alema”.

All’inizio non fu così. D’Alema

“nel 1995 aveva inizialmente capito che la sua faccia da ex comunista mai e poi mai avrebbe convinto gli italiani a votare a sinistra, così si era inventato la candidatura di Romano Prodi, su consiglio di Nino Andreatta. E infatti il Professore fu il solo leader di centro sinistra che riuscì a scaldare i cuori di quella metà abbondante dell’Italia che detestava Berlusconi: prima con i Circoli dell’Ulivo nel 1995-’96, poi col plebiscito delle prime primarie del 2005 (4,3 milioni di persone ai gazebo, 3,1 milioni di voti a Prodi). Non a caso Prodi fu l’unico a sconfiggere Berlusconi, non una ma due volte, grazie al valore aggiunto “ulivista” che si aggiungeva alla somma dei partiti”.

Forse tutto rientrava in un grande disegno già prefigurato da D’Alema, mandare la sinistra al governo sotto la foglia di fico di un non comunista, per poi attuare un colpo di Stato indolore e andare lui al posto che, nella sua mente, competeva alla mutazione del Pci, Pds, Ds, partito dominante che nel frattempo, lasciata all’ex democristiano Prodi una piccola riserva di caccia, piazzava la sua gente nei posti chiave del potere.

Come che sia, rievoca Marco Travaglio,

“nel 1998, D’Alema gli diede [a Prodi] una bella mano a cadere: prima gli tagliò l’erba sotto i piedi con la Bicamerale e l’inciucio con Berlusconi, poi garantì la copertura a Rifondazione quando quell’altro genio di Bertinotti sfiduciò il governo Prodi, avendo la garanzia che non si sarebbe andati al voto. Infatti Max D’Alema andò a Palazzo Chigi con un’ammucchiata di trasformisti eletti con Berlusconi pronti a intrupparsi con lui al seguito di Cossiga, Mastella e Buttiglione.

[…] E dire che ave-va giurato che mai e poi mai sarebbe andato algoverno senza passare per le urne. “Di un nuovo premier si parlerà quando ci saranno leelezioni”(13.12.97). “Io a Palazzo Chigi al posto di Prodi? Veleni messi in giro ad arte. La mia candidatura non è mai esistita”(13.10.98, tre giorni prima di formare il governo). Quello fu il peccato originale che, a valanga, portò l’Italia alla rovina negli ultimi 17 anni: D’Alema considerava Prodi un usurpatore e una bestemmia il fatto che uno senza partiti alle spalle sedesse a Palazzo Chigi al posto suo.

Il Prodi-1 che defunse per un solo voto era un governo decoroso (Ciampi all’Economia, Di Pietro ai Lavori pubblici, Veltroni alla Cultura, Bindi alla Sanità): il migliore del ventennio. Forse, se avesse potuto lavorare cinque anni, ci avrebbe risparmiato il ritorno di Berlusconi nel2001, con tutto quel che ne seguì. Dopo la batosta del ’96, il Caimano –già scaricato da Bossi –era considerato bollito dai suoi, che infatti cercavano un leader alternativo tra Fazio, Di Pietro, Monti e Dini. Ma la Volpe del Tavoliere (copyright Rossana Rossanda) lo resuscitò, nell’illusione di inaugurare una lunga Era Dalemiana, che invece durò meno di 15 mesi: Max D’Alema ora accusa giustamente Renzi di aver perso 2 milioni di voti in un anno (dal 40,8% delleEuropee 2014 al 30 degli ultimi sondaggi), ma lui nel 2000 riuscì a perdere rovinosamente le Regionali e se ne andò con la coda fra le gambe.

Il resto è una collezione di fiaschi da far invidia alla sua cantina sociale. Candidato al Quirinale nel 2006, fu trombato da Napolitano. Aspirante presidente della Camera, fu scavalcato da Bertinotti. Nel 2007 studiava da leader del Pd, ma incappò nello scandalo Unipol e dovette cedere lo scettro all’odiato Veltroni, peggio che bere la cicuta. E così via, fino alla corsa per fare il Mister Pesc europeo a colpi di affettuosi scambi di sms con Renzi che, al dunque, lo umiliò preferendogli il nulla, cioè la Mogherini. Quanto al suo presunto antiberlusconismo, meglio l’oblio. D’Alema sapeva benissimo chi era Berlusconi e, quando stava all’opposizione, lo diceva pure: “È una via di mezzo tra Marinho, il padrone della tv Globo brasiliana, e Giancarlo Cito”.

Gli augurava di “fuggire all’estero in rovina”. Lo paragonava a Kim Il Sung e Ceausescu. Lo chiamava “buffone”, “squadrista della tv”, “barbaro”. Irrideva i suoi “tacchi alti alla Little Tony”. Lo minacciava: “Fa remo capire al signor Berlusconi e ai suoi lanzichenecchi che il Parlamento deve affrontare con assoluta urgenza il conflitto d’interessi e l’antitrust”, “Non riconoscerei Berlusconi come premier legittimo nemmeno se rivincesse le elezioni”.

Poi però, quando andava al potere e poteva emarginarlo, si sdilinquiva tutto”.

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