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Nigeria, l’untore di Ebola che infettava per vendetta. Paolo Mastrolilli, La Stampa

di Gianluca Pace |6 Ottobre 2014 11:12

Nigeria, l’untore di Ebola che infettava per vendetta. Paolo Mastrolilli, La Stampa

ROMA – “Patrick Sawyer, il primo malato morto di Ebola in Nigeria, era un untore – scrive Paolo Mastrolilli per La Stampa – Uno che dopo il contagio aveva infettato altre persone, per vendetta, o perché aveva perso la testa. La sua storia è stata raccontata a metà, proprio per le implicazioni di sicurezza che porta con sé”.

L’articolo completo:

Torna attuale, però, dopo che ieri le autorità mediche di Dallas hanno annunciato di aver perso e poi ritrovato una delle persone sotto controllo, che potrebbe aver preso l’infezione dal primo malato negli Usa Thomas Duncan.
L’uomo era scomparso sabato, dopo che i medici gli avevano misurato la temperatura, e allora non presentava sintomi. Non faceva parte delle dieci persone ad alto rischio, che nel caso della famiglia di Louise Troh, la fidanzata di Duncan, sono state messe in quarantena. Era nel secondo gruppo di 38 individui considerati a basso rischio, ma era stato nell’ambulanza che aveva portato Thomas in ospedale e quindi va seguito ogni giorno, per ricoverarlo subito se si ammalasse. Ieri mattina le autorità gli hanno mandato appelli rassicuranti: «Non ha commesso reati – ha detto ieri il giudice della Dallas County Clay Jenkins – e non è nei guai. Vogliamo solo che ci contatti per continuare il monitoraggio, in un ambiente sicuro e confortevole». Poi si è scoperto che era un homeless, e nel pomeriggio è stato ritrovato. Ma è il primo caso di un potenziale contagiato che rifiuta di collaborare, e solleva un incubo che assilla le autorità: la scheggia impazzita che si trasforma in «untore», facendo saltare tutti i piani per il contenimento dell’infezione; oppure, peggio ancora, il terrorista che decide di usare il contagio come arma.
La prima ipotesi si era già materializzata in Nigeria, proprio con Patrick Sawyer. La versione ufficiale, quando era morto a Lagos il 25 luglio scorso, era stata che aveva contratto l’Ebola dalla sorella minore Princess, e senza saperlo era salito sul volo della Asky Airline per partecipare a una conferenza dell’Ecowas a Calabar. Sawyer era un cittadino americano di 40 anni che lavorava per il ministero delle Finanze liberiano, e non vedeva l’ora di tornare dalla sua famiglia in Minnesota, per festeggiare il compleanno di una delle sue tre piccole figlie.
La realtà, che solo pochi addetti ai lavori conoscono ed è stata resa pubblica in maniera limitata, è un’altra. Patrick aveva lasciato da un anno e mezzo la moglie, Decontee, mentre lei era incinta della terza figlia, e si era ricostruito una vita a Monrovia con la sua amante, da cui aveva avuto un bambino. Probabilmente aveva preso l’Ebola dalla sorella, morta il 7 luglio al Catholic Hospital di Monrovia, ma secondo alcuni medici che ci hanno parlato sospettava di essere stato infettato dalla nuova compagna, che lo tradiva con un giovane liberiano infetto. La conferenza che doveva seguire a Lagos era solo una scusa per scappare, nella speranza di essere curato meglio in Nigeria, o magari tornare negli Usa. Però si era sentito male all’aeroporto e lo avevano portato al First Consultants Hospital di Obalende, dove aveva mentito sulle sue condizioni, contagiando il primo medico che lo aveva assistito, Morris Ibeabuchi.
Alla fine i sanitari gli avevano imposto il test dell’Ebola, e quando era risultato positivo, Sawyer era esploso. Aveva rifiutato la diagnosi, si era strappato i tubi dal corpo, e aveva orinato sugli infermieri. Chi ha indagato sui suoi ultimi giorni, sospetta che prima del ricovero sia andato anche con prostitute per infettarle. I medici alla fine hanno fatto risalire a lui almeno 13 contagi, che sono un’enormità, considerato che la media per ogni malato è di due o tre. Un «untore», in sostanza.
Il punto non è tanto giudicarlo, quanto capire i rischi per la sicurezza che esistono in queste epidemie. L’uomo scomparso a Dallas magari ha solo ceduto alla tensione, ma poteva anche scegliere il comportamento irresponsabile di Sawyer. Per non parlare di chi potrebbe avere motivazioni politiche, in quella regione molto instabile dell’Africa, per usare il contagio come arma. Non a caso, quando nei giorni scorsi la Casa Bianca ha tenuto un briefing per tranquillizzare la gente, ha fatto parlare Lisa Monaco, consigliere anti terrorismo del presidente.
In Nigeria per fortuna l’infezione è stata contenuta, grazie all’efficacia dell’intervento dell’Oms e delle autorità locali: staremmo raccontando una pandemia, a questo punto, se il contagio fosse esploso in questo Paese di oltre 170 milioni di abitanti, con collegamenti in tutto il mondo. A Dallas Duncan resta in condizioni critiche, cioè peggiori di prima, e secondo il capo dei Cdc Frieden «combatte per la sua vita». I medici cercano di tenerlo in vita senza farmaci sperimentali, tipo lo ZMapp che è esaurito, fino a quando il suo sistema immunitario non reagirà all’Ebola. Ma tutto salta, se non tiene la rete di sicurezza.

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