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Scontri ultras, Vittorio Feltri: “Non paga nessuno ma si indignano tutti”

di FIlippo Limoncelli |7 Maggio 2014 9:30

Scontri ultras, Vittorio Feltri: “Non paga nessuno ma si indignano tutti”

ROMA – Beppe Severgnini ha scritto un editoriale sul Corriere della Sera sugli incidenti all’Olimpico di Roma, sabato sera, prima della finale di Coppa Italia, Fiorentina-Napoli.

Il giornalista suggerisce la formula per trasformare le tribune e dintorni da arene per gladiatori estemporanei in salotti frequentati da signori perbene.

“Abolire qualsiasi reticolato, transenna, ingresso separato, treno speciale, presenza massiccia delle forze dell’ordine… Lo stadio è una festa, e alle feste non si va scortati dalla polizia. I biglietti si acquisteranno in rete o al botteghino, senza formalità, come al cinema o per un concerto. Ma se qualcuno sgarra deve essere immediatamente fermato e punito. Come accade in una piazza o in un qualunque altro posto”.

Vittorio Feltri sul Giornale si domanda:

“Mettiamo pure che sia possibile, in un ragionevole lasso di tempo, creare sugli spalti gli ambientini sognati da Severgnini. E se poi vi irrompono Genny ‘a Carogna e il suo seguito di descamisados pronti a spaccare tutto, inclusa qualche testa, che si fa? Li fermiamo immediatamente e li puniamo seduta stante? Già, ma come, se il progettino dell’editorialista prevede di escludere dalle gradinate la presenza massiccia delle forze dell’ordine? Provvede lui o sopraggiungono alcuni suoi amici a bloccarli e castigarli?”

I pazzi furiosi del calcio, definiti ultras, imperversano da anni negli impianti sportivi e sappiamo cosa combinano: distruggono, picchiano, feriscono e uccidono (dice niente il nome di Raciti?) nonostante l’intervento programmato dagli agenti. I quali ricevono ordini perentori: limitate i danni, non caricate, cercate di controllare la situazione evitando che degeneri. Essi eseguono pedissequamente. Provare il contrario. Risultato, vengono sputacchiati, malmenati, insolentiti. Se reagiscono, e s’infiamma la battaglia e magari ci scappa un ferito tra gli aggressori, addio: tutti addosso agli sbirri, che rischiano processi, condanne e licenziamenti. È ciò che succede con regolarità da mezzo secolo.

Se scoppia un casino e la polizia traccheggia, giù critiche al questore e al prefetto: vergogna, avete permesso a quella gentaglia di farne di ogni colore; invece di stare lì a rigirarvi i pollici, dovevate ridurla all’impotenza. Se però, poni caso, gli agenti ai primi disordini si mobilitano e, usando le maniere forti, provocano un’emorragia nasale a un teppista, si salvi chi può: polizia fascista, maledetti servi del potere, energumeni bastardi.

Questi discorsi li udiamo da sempre, anche in occasione delle manifestazioni di piazza, che si concludono puntualmente con scontri tra giovanotti che ribaltano vetture e sfondano vetrine (per tacere dei Bancomat) e i cosiddetti reparti mobili incaricati di sedare sommosse e affini. Vogliamo l’ordine, ma odiamo chi è comandato di tutelarlo. Non è solo una contraddizione: è scemenza pura.

Severgnini comunque non ha torto quando afferma che la calma e la buona educazione potrebbero regnare attorno ai campi di calcio. L’Inghilterra ha sconfitto gli hooligans con un metodo semplice: gli stadi sono privati e privatamente gestiti, gli spettatori sono selezionati come in un club e, pertanto, riconoscibili; i biglietti in libera vendita sono in numero esiguo ed è vietato l’ingresso agli ultras organizzati. Inoltre, le società non sono pappa e ciccia con i tifosi scatenati. Anzi, non si limitano a rifiutare loro agevolazioni, come viceversa avviene da noi, ma li combattono e li isolano, tant’è che si sono dispersi per scoraggiamento. Se un folle riesce a infiltrarsi tra il pubblico e commette una sciocchezza, lo afferrano per il bavero e lo trascinano davanti al giudice, il quale valuta quanto egli ha commesso e lo condanna lì per lì. Non c’è verso che il reo non sconti la pena. L’esatto contrario di quanto avviene qui: noi siamo indulgenti con i branchi violenti perché, poverini, certi ragazzacci risentono del disagio sociale, e siamo addirittura teneri con i tifosi, cui concediamo l’attenuante di agire per passione sportiva, che giustifica ogni nefandezza.

C’è dell’altro. Solamente lo stadio di Torino, della Juventus, è privato come quelli inglesi. Il Milan chiede da anni il permesso di costruirne uno (idem l’Atalanta di Bergamo), ma le autorità glielo negano. Preferiscono che si vada avanti alla vecchia maniera: quella dell’Olimpico capitolino, con annessi e connessi, per essere chiari.

I fatti di Roma saranno presto dimenticati. Al prossimo incidente riapriremo la polemica, ci lagneremo ancora e protesteremo, ma non muoveremo un dito per risolvere il problema. Siamo italiani, lingua sciolta e mani legate da lacci e lacciuoli politico-burocratici. Quanta pazienza.

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