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Economia e cervello non vanno d’accordo: scelte irrazionali, non piace perdere

di admin |4 Settembre 2013 9:29

Economia e cervello non vanno d’accordo: scelte irrazionali, non piace perdere

ROMA – Se perdiamo 100 euro la mattina e ne troviamo 100 la sera, il “dolore” della perdita non sarà mai compensato. Per sentirci fortunati dovremmo trovare tra i 225 e i 250 euro, dopo averne persi ben 100. Un comportamento irrazionale, e inconscio, che emerge dalla ricerca di otto neuroscienziati cognitivi del San Raffaele di Milano. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista The Journal of Neuroscience e Massimo Piattelli Palmarini ne spiega i risultati sul Corriere della Sera.

Tutto si basa sulla “teoria del progetto“, spiega Piattelli Palmarini, che è valsa il premio Nobel per l’economia del 2002 allo psicologo cognitivo Daniel Kahneman. Una teoria semplice: se perdiamo una somma di denaro, qualunque somma, la perdita pesa sul singolo individuo molto più della vincita della stessa somma persa:

“In circa 35 anni di ricerche nelle scienze cognitive applicate all’economia, questo dato, cioè un’asimmetria di un fattore tra 2,25 e 2,50 tra guadagni e perdite, è tra i più consolidati. Il fenomeno psicologico va sotto il nome di «avversione alle perdite» (loss aversion). Si noti, nessuno psicologo, nemmeno un premio Nobel, sarebbe autorizzato a criticarci per il fatto che perdere denaro «fa male» e che vincere denaro, invece, «fa bene». L’intoppo, cioè l’irrazionalità economica, si manifesta nella nostra tendenza a rifiutare una scommessa nella quale c’è il 50% di probabilità di perdere 10 e il 50% di guadagnare 15 o 18 o perfino 20. Eppure così siamo fatti”.

La ricerca può ovviamente essere applicata anche alle dinamiche dei mercati internazionali, perché spiega che per quanto un individuo si ritenga razionale nella gestione dei soldi, è lo stesso cervello a livello spesso inconscio ad influenzarci. Matteo Motterlini, fondatore e direttore del Centro di ricerche Cresa di psico-economia al San Raffaele, spiega al Corriere della Sera:

“«Il nostro cervello non traffica con guadagni-perdite allo stesso modo. Li tratta come fenomeni distinti. Non è “progettato” per fare quello che vuole la teoria economica neoclassica, cioè soppesare razionalmente la combinazione di probabilità, in particolare di rischio, e rendimenti attesi. Il cervello non fa naturalmente tale tipo di operazione, ma tratta il rendimento come anticipazione di guadagno — il centro cerebrale responsabile è il nucleo accumbens —; e elabora il rischio con altre aree, tipicamente aree della corteccia frontale e l’incertezza con l’insula».

Dietro all’incapacità di razionalità si cela l’amigdala, la parte del cervello che gestisce le emozioni e in particolar modo la paura e il rischio, come spiega Nicola Canessa, autore dell’articolo e ricercatore al Centro di Neuroscienze cognitive del San Raffaele:

«Il sistema dopaminergico si attiva per anticipare i guadagni e si deattiva per anticipare le perdite, mentre un sistema “emotivo e somatosensoriale” centrato sull’amigdala si attiva per le perdite e si deattiva per i guadagni. A parità di somma in gioco, le risposte associate alle perdite sono più intense di quelle associate alle vincite, e la forza di questa asimmetria, che varia da persona a persona, riflette la propensione individuale all’avversione alle perdite. Ma quest’ultima è anche correlata al volume di materia grigia nell’amigdala. Le differenze individuali nella dimensione dell’amigdala, invisibili a occhio nudo, emergono con le analisi assai sofisticate che abbiamo condotto».

I soggetti coinvolti nello studio sono stati sottoposti ad una risonanza magnetica funzionale e ad un processo di scelta su una lotteria, spiega il Corriere della Sera:

“Negli esperimenti i soggetti, tutti volontari, venivano posizionati nell’apparato di risonanza magnetica funzionale ed erano liberi di accettare o rifiutare, una dopo l’altra, numerose lotterie simili a un «testa o croce». Quelle accettate avrebbero portato a vincere o a perdere, con probabilità 50%, somme di denaro. Poiché queste somme variavano tra le diverse lotterie, le scelte dei soggetti hanno consentito di stimare un indice individuale di «avversione alle perdite» che rivela quanto ciascuno, nel prendere decisioni, sovrastima il peso delle possibili conseguenze negative rispetto a quelle positive”.

Per Motterlini la ricerca dimostra quindi che essere razionali in campo economico è irrealistico:

“«I presupposti dell’economia della razionalità sono neurobiologicamente falsi o irrealistici. Possiamo imparare a essere razionali nelle scelte economiche, ma non lo siamo naturalmente, quando si attivano i processi automatici e in larga parte inconsci. Ciò non può non avere conseguenze su come progettiamo interventi di politica economica e sulle nostre istituzioni finanziarie»”.

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