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“Gli Usa pensarono a bombe atomiche contro Gheddafi nel 1980”. Intervista al giudice Priore

di Warsamé Dini Casali |28 Giugno 2011 9:45

ROMA – “La situazione della guerra in Libia è in un vicolo cieco. E la posizione italiana è particolarmente incomprensibile, oltre che scomoda e difficile. E pensare che il colpo di Stato che nel 1969 portò Gheddafi al potere lo hanno organizzato i nostri servizi segreti. Così come hanno contribuito al fallimento del tentativo degli egiziani di buttarlo giù nel giugno 1980. A dire il vero, hanno organizzato anche il colpo di Stato che portò al potere in Tunisia Ben Alì, oggi scalzato dalla “primavera araba”, e abbiamo finanziato la guerra di liberazione algerina contro i francesi”. A parlare è Rosario Priore, il magistrato che prima in qualità di consulente della Commissione parlamentare sulle stragi e poi in qualità di giudice istruttore sul disastro di Ustica ha accumulato una grande conoscenza della realtà libica. Ricordiamo che per disastro di Ustica si intende l’esplosione in volo sul cielo di quell’isola il 27 giugno 1980 di un aereo di linea dell’Itavia, scomparso in mare con i suoi 81 passeggeri. Esplosione molto probabilmente dovuta a un missile lanciato da un aereo o da una nave militare di nazionalità fino ad oggi sconosciuta per colpire il velivolo sul quale avrebbe dovuto trovarsi Gheddafi. Insomma, una strage dovuta a un tragico errore.

Dottor Priore, partiamo dall’inizio: cosa ci può dire di preciso riguardo al ruolo italiano nel golpe che portò il colonnello al potere in Libia?

“Se ne occupò la frazione filoaraba dei nostri servizi militari, che all’epoca si chiamavo Sid e se non ricordo male erano guidati dall’ammiraglio Eugenio Henke. Un particolare curioso è che molte cose vennero decise in un albergo di Abano Terme mentre l’ignaro re Idriss se ne stava in un altro albergo termale in Turchia. Alle terme il re della Libia e alle terme i golpisti. A voler fare dell’ironia potremmo parlare di golpe termale”.

E qual è stato il ruolo italiano nel salvare Gheddafi al potere nell’80?

“E’ una vicenda piuttosto complessa. A voler buttar giù Gheddafi erano soprattutto gli egiziani, o meglio gli Usa con l’aiuto degli egiziani. Tant’è che venne costruito rapidamente un grande aeroporto militare a ovest de Il Cairo, per accogliere gli aerei che avrebbero dovuto colpire la Libia e trasportarvi truppe e armi. Gli americani vi fecero atterrare anche aerei dotati di bombe atomiche di piccola potenza, credo più come arma di pressione che di eventuale utilizzo quando fosse iniziata la rivolta contro Gheddafi”.

Ha detto bombe atomiche?

“Sì, bombe atomiche. Della cui presenza venne a conoscenza in qualche modo l’Unione Sovietica, che protestò energicamente anche se in segreto con gli Usa. Che a qual punto ebbero delle incertezze. L’allora capo di Stato francese, Giscard D’Estaing, evidentemente al corrente del golpe imminente e ad esso favorevole, vedendo che non succedeva niente telefonò al presidente egiziano Sadat per chiedergli “Perché non vi muovete?”. E Sadat gli rispose che gli americani stavano cambiando idea a causa delle minacciose proteste russe”.

E che c’entriamo noi italiani?

“C’entriamo perché tra i congiurati anti Gheddafi c’era anche un gruppo di imprenditori veneti, guidati dal padovano Carlo Del Re, presenti a lungo in Libia per affari ma in contatto con gli egiziani per conto dei quali tessevano la tela anti Gheddafi sul suolo libico. I contatti con gli egiziani li tenevano tramite la loro ambasciata a Roma. Ignoravano però che l’ala filoaraba dei nostri servizi segreti li faceva pedinare e fotografare in tutti i loro spostamenti romani, passando poi le notizie a Gheddafi. Del Re e i suoi si sono salvati dalla condanna a morte solo perché a un certo punto sono fuggiti dalla Libia”.

Ma uno come Del Re, che non era certo un grande imprenditore, non poteva certo avere un grande ruolo.

“Non è così. Forse sperava di diventare un imprenditore molto importante quando gli egiziani si sarebbero sdebitati per l’aiuto nel golpe contro Gheddafi, sta di fatto che la sera del 27 giugno 1980, quando l’aereo di Gheddafi, diretto se non ricordo male a Varsavia, doveva essere colpito e lui doveva morire, Del Re era al Cairo nella situation room allestita dai militari per coordinare la sollevazione libica. Sta di fatto che Gheddafi, probabilmente avvertito dai nostri servizi, cambiò i suoi piani di volo e anziché morire ordinò una dura rappresaglia. A Tobruk i militari ribelli insorsero comunque e il colonnello non esitò a ordinare bombardamenti e fucilazioni”.

Riguardo l’Algeria, è ormai noto che a sostenere la lotta di liberazione contro il colonialismo della Francia fu il nostro Ente Nazionale Idrocarburi, meglio noto come ENI.

“Verissimo. L’allora presidente dell’ENI, quell’Enrico Mattei morto in seguito a causa della misteriosa caduta del suo aereo il 27 ottobre 1962, spediva periodicamente ad Algeri i suoi collaboratori Mario Pirani e Benito Li Vigni con valigie di soldi per i ribelli. In cambio della loro garanzia di concessioni per pozzi di petrolio e gas, concessioni quanto mai preziose per l’Italia”.

Conosco bene Li Vigni. Mi ha raccontato che Mattei nel ’66-’67 era volato a Teheran per stipulare un patto anche con il capo del governo Mossadeq, democraticamente eletto sotto il regime dello scià Reza Palehvi. “Mossadeq voleva nazionalizzare il petrolio, che le compagnie petrolifere d’Inghilterra e Usa, le famose Sette Sorelle, si portavano via per pochi soldi”, racconta Li Vigni, “e Mattei fu lesto a offrirgli di sostituire le Sette Sorelle con l’Eni a condizioni molto più dignitose”. Come andò a finire? “Andò a finire”, ricorda Li Vigni, “che Mossadeq rese nota troppo in anticipo l’intenzione di nazionalizzare il petrolio e accordarsi con l’ENI. E come è noto Washington e/o Londra reagirono organizzando un colpo di Stato contro Mossadeq e uccidendo così la neonata democrazia iraniana. Il regime militarista che ne prese il posto è stato così duro da provocare infine la rivoluzione che ha messo in sella l’attuale regime teocratico. Tuttavia l’Iran con la Libia e l’Algeria sono diventati i nostri principali fornitori di petrolio e gas. Ci coprono oltre il 50% del bisogno petrolifero italiano”.

Oggi però, grazie alla politica e alle azioni del governo Berlusconi, siamo riusciti a inimicarci sia l’Iran che la Libia: rischiamo perciò seriamente il disastro energetico. E se la primavera araba dovesse travolgere anche il regime algerino, la mancanza di una politica estera decente del nostro governo ci metterebbe ancor più nei guai.

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