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Legge bavaglio e obbligo di rettifica: la norma è iniqua ma non ci deve essere differenza tra i piccoli blog e i grandi giornali

di Marco Benedetto |21 Ottobre 2010 20:39

Angelino Alfano

In questi giorni c’è molto fermento attorno a una norma della legge sulle intercettazioni che vuole estendere a tutti i siti internet e blog l’obbligo di rettifica, facendoli tutti rientrare nella grande famiglia dei mezzi di stampa di cui si occupò una legge del 1947 che a sua volta democratizzava, o meglio, adattava al nuovo clima democratico le precedenti e più stringenti norme fasciste.

La legge del 1947 è ancora in vigore e si applica a tutto quello che si stampa in Italia, manifesti e volantini inclusi. Già vi si prevede il diritto dovere di rettifica, solo che fino ad oggi i giornali l’hanno osservato fino a un certo punto e quasi sempre, fanno seguire la rettifica da una puntigliosa precisazione dell’autore dell’articolo contestato, a volte sacrosanta a volte solo arrogante. Questo forse spiega quel perentorio ordine che la rettifica si deve pubblicare senza repliche, come vorrebbe il ministro Angelino Alfano, a nome e per conto dell’intera classe politica, che su questa legge è divisa solo da opportunismi tattici ma unita dal fastidio per i giornali non amici (poche le eccezioni, che si contano sulle dita delle mani, con in testa il sempre coerente e perciò talvolta inviso Giuseppe Giulietti).

La norma che i politici di tutti i partiti ci stanno per infliggere è odiosa, perché favorisce i tanti personaggi che vivono al confine della legalità occupando posizioni di potere e di prestigio. Essi sono i primi destinatari dei vantaggi della legge bavaglio.

Anche se non è sulla legge bavaglio che vorrei intrattenere i lettori, vorrei comunque sottolineare il fastidio che provo quando leggo che tutti si agitano per tanti sacrosanti diritti: alla privacy, alle indagini, a punire i reprobi, il diritto di raccontare le malefatte dei potenti, senza che uno aggiunga alla lista il diritto a un processo equo e giusto, che è alla base della democrazia occidentale moderna. La sua evoluzione ebbe inizio circa novecento anni fa con la tanto citata ma poco approfondita Magna Charta: sanciva il diritto a essere processato di persona, a scanso di sorprese come la morte dell’imputato sotto tortura.

Nei tempi moderni chi ha a cuore la democrazia deve avere in cima alla lista dei diritti da tutelare quello al giusto processo e soprattutto che la tutela sia effettivamente estesa a tutti i cittadini, cominciando dai più poveri, gli emarginati, quelli che non possono pagare milioni di euro avvocati di grido, che non siedono in parlamento e nemmeno in consiglio comunale, non fanno i giornalisti o i magistrati, sono, come dicono gli americani, “underdogs”, meno dei cani, non sono né soggetto né oggetto di lotta politica, sono dei poveracci e basta, il diritto alla rettifica non sanno nemmeno cos’è. Infatti nessuno si agita per loro, ma per le scempiaggini che dicono al telefono Berlusconi o Fassino Ricucci o Consorte.

Il diritto alla rettifica, come il diritto di cronaca e il tentativo di impedirla sono tutti temi all’interno della classe dirigente, nelle sue componenti sociali, professionali, di potere. Come si configura in Italia è un diritto iniquo, perché non mette il giornale al riparo da successive azioni risarcitorie o penali. Permette solo alla vittima di una notizia di fare sentire la sua voce, che sia veritiera o mendace, in attesa che poi un eventuale processo accerti la verità. La differenza è che la rettifica è pubblica, quando il tribunale avrà assolto il giornale, come accade nella stragrande maggioranza dei casi, nessuno se ne accorgerà perché accade di rado che i giornali ammorbino i loro lettori con le notizie dei loro trionfi giudiziari.

Le due cose avvengono poi in tempi diversi, perché la rettifica è oggi, la sentenza per la presunta diffamazione forse non arriverà mai grazie alla santa prescrizione. Ecco perché penso che il diritto alla rettifica, come formulato dalla legge Alfano, serva solo ad aggiungere uno strumento in più al repertorio di armi di intimidazione dei ricchi potenti e prepotenti, che oggi include richieste di danni per milioni di euro, il più delle volte rigettate o ridotte a poche migliaia di euro.

A un certo momento, negli anni scorsi, i governi sia Prodi sia Berlusconi avevano giocato con l’idea che la rettifica potesse agire come la confessione per un peccatore, annullare il peccato e cancellare la possibilità di una ulteriore causa, ma poi la rabbia dei politici, tutti ma proprio tutti, è stata più forte di ogni nobile sentimento e il risultato è questa legge qua.

Ribadisco: la rettifica è un assurdo e lo è sempre stato e forse anche per questo per sessant’anni nessuno l’ha rispettata e applicata con rigore.

Oggi, nella sua estensione ai siti internet, è ancora più assurda, perché può applicarsi solo ai siti registrati in Italia. Come la mettiamo con un sito straniero, magari registrato a Georgetown, Cayman Islands? Avremo i siti esteri oscurati da Berlumao?

Ma c’è un ma e questo separa la mia modesta ma tenace opinione da quelle più autorevoli e altrettanto tenaci di Giulietti e di Franco Siddi, capo del sindacato dei giornalisti, la Fnsi. Il ma è che la lotta non va fatta per difendere i sacrosanti diritti dei blog, bensì per difendere tutti i mezzi di informazione senza distinzione.

Credo sbagliata la tesi che la norma sulla rettifica non si possa applicare ai blog perché sono piccoli e deboli e non sono in grado di rispettare la legge nei tempi brevi in cui la rettifica si deve diffondere.  Quella dei tempi è una fastidiosa innovazione della nuova legge, ma Giulietti da anni sostiene che i piccoli siti vanno esentati, lo fa almeno da quando lo sviluppo e la diffusione di internet hanno reso ragionevole estendere anche a questo mezzo le stesse regole che si applicano alla tipografia che stampa biglietti da visita.Lo ha fatto con costanza e coerenza, ma credo che il suo approccio sia riduttivo e ingiusto verso tutti gli altri.

Il punto da cui partire è la capacità di offendere l’onore, non la capacità di rettificare l’offesa, in un sistema di diffusione anzi di disseminazione dell’informazione determinato dai motori d ricerca, i quali nel proporre una notizia non fanno distinzione alcuna di nobiltà, importanza, diffusione del sito e possono, come spesso accade, proporre notizie di un oscurissimo blog e non quelle di un grande quotidiano con decine di redattori e milioni di visitatori. Così, per me diffamato, che differenza fa se la notizia falsa appare su un oscuro blog invece che  sulla home page di Repubblica.it?

La lotta deve essere a favore di tutti, contro la rettifica, perché è una norma ingiusta, e anche questo vale per tutti, per il piccolo Blitz blog come per il grande Corriere.

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