Il presidente della seconda Corte d’Appello di Milano, Raffaele Martorelli, non ha potuto tenere l’udienza ed è stato costretto ad avvisare il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e a congedare la schiera di avvocati in parte provenienti dalla Calabria, da Roma e da Bologna. L’episodio ha provocato le lamentele dei legali.
Il pomeriggio del 20 dall’istituto di pena era arrivata una nota in cui si segnalava che, a “a causa delle gravissime difficolta”, non si era in grado di assicurare la “traduzione” degli imputati al palazzo di giustizia.
In aula mancavano solo i detenuti di Opera, mentre quelli rinchiusi in altre carceri della Lombardia erano presenti. Il giudice Martorelli è stato costretto a aggiungere un’udienza in più (fissata per giugno) a quelle già in calendario (la prossima è il 27 maggio) per permettere ad alcuni difensori di tenere la loro arringa. Inoltre il giudice ha trasmesso il verbale di udienza a Roma al Dap per segnalare quanto accaduto.
“È inammissibile – ha protestato l’avvocato Franco Gandolfi – che imputati in attesa dell’arringa dei loro difensori, insieme a giudici, legali e agli altri detenuti e ai loro agenti di scorta, debbano sopportare i disagi di un disservizio censurabile”.
Il processo con 35 imputati riguarda un clan della ‘Ndrangheta che operava in Lombardia, in particolare nel lecchese, e guidato da Emiliano e Giacomo Trovato, rispettivamente figlio e nipote del boss Franco. In primo grado erano state inflitte pene dai 5 ai 22 anni di reclusione.