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Educazione: punire i figli, atto di amore? La “madre tigre” cinese e le mamme italiane

di Marco Benedetto |18 Febbraio 2011 8:48

YALE, USA – Il piccolo asino bianco suona per sei ore di fila. E’ mezzanotte, Sophia e Lulu hanno saltato la cena. “Spazzatura”, si sono sentite chiamare: non si sono impegnate abbastanza, per questo ripetono l’esercizio per ore e ore, senza neanche il permesso di andare in bagno. Pazzia? Non secondo loro madre. Amy Chua, americana di origini cinesi, ha sconvolto gli Stati Uniti con il libro Battle hymn of the tiger mother (L’inno di battaglia della madre tigre) ancor prima che il volume arrivasse negli scaffali. Chua ha lanciato una sfida: i metodi educativi cinesi sono migliori di quelli occidentali. E vuole dimostrarlo.

Quarantotto anni, insegnante di legge a Yale, Chua porta la minigonna con disinvoltura, proprio come le sue figlie Sophia e Lulu. La sua teoria è tanto semplice quanto sconcertante: le madri devono essere spietate. Ecco che si spiegano le ore passate dalle figlie, che ora hanno 18 e 15 anni, a suonare il violino e il pianoforte. A fare esercizi di grammatica, di ortografia, di matematica. Anche nei weekend. Anche durante le vacanze. “I genitori cinesi sanno che nulla è divertente finché non sei bravo a farlo” spiega.

Proprio come suo padre fece con lei, Chua educa le figlie secondo i metodi tradizionali cinesi. “A essere onesta molti genitori asiatici, anche se non lo dicono, trovano orribili e sconvolgenti parecchi aspetti dell’educazione occidentale – rivela – . Per esempio, il fatto che sia permesso ai figli di sprecare ore e ore davanti a Facebook e ai videogiochi”. Qualcuno potrà definirlo anacronistico, ma per la mamma tigre è molto di più di semplice severità: è un modo di concepire la vita. Così facendo i ragazzi occidentali “arrivano impreparati al futuro. Il mondo è duro là fuori”.

Amy Chua non accetta mai che le sue figlie prendano un voto inferiore al massimo. Sophia e Lulu non possono giocare con i compagni, guardare la tv o divertirsi con i videogiochi, né tantomeno dormire fuori casa. Da loro pretende sempre e solo il massimo impegno, in tutte le cose. Tanto che una volta è arrivata a rifiutare un bigliettino che la piccola Lulu aveva disegnato per il suo compleanno. “Io questo non lo voglio – le ha detto riconsegnandole la cartolina – Mi merito di più. Perciò questo lo rifiuto”.

Politicamente scorretta, e orgogliosa di esserlo, Amy Chua crede fermamente nella superiorità delle mamme cinesi, mettendo in dubbio la preminenza del sistema educativo occidentale, in generale, e di quello statunitense in particolare. “Tutti sono speciali in un modo speciale. Se è per questo anche i perdenti sono speciali nel loro modo speciale”. Le sue cucciole di tigre, invece, sono state cresciute per il successo. Colpiti nell’orgoglio, leggendo le righe di Chua gli americani si sono chiesti: siamo noi i “loser” di cui parla?

E a pensarci bene la domanda è del tutto lecita. L’America dell’era Obama deve fare i conti non solo con la crisi economica, non solo con un altissimo debito pubblico in mano, si pensi un po’, alla Cina (che invece cresce a ritmi del 10% di prodotto interno lordo l’anno, e si conferma la seconda economia del mondo, sorpassando il Giappone), ma anche con un sistema scolastico sempre più malandato. Gli studenti asiatici, al contrario, vantano un primato per ore di studio e risultati nei test internazionali che non li rendono secondi a nessuno. Se lo si legge anche in chiave geopolitica si capisce perché il libro di Chua abbia scatenato così tante polemiche. I nervi, oltreoceano, sono scoperti.

Le cose non vanno meglio a casa nostra. Unici, coccolati dai genitori, viziati dai nonni. Corteggiati dalla pubblicità, esaltati dalla retorica politica ma, in fin dei conti, dimenticati un po’ da tutti. Sono i bambini italiani. Anche se ne nascono sempre di meno. Nel 2010 il numero medio di figli per donna è sceso a 1,40, perdendo lo 0,1 per cento rispetto all’anno precedente. E quando il Belpaese si guarda allo specchio si scopre non solo vecchio ma anche intollerante verso le nuove generazioni. Sarà perché non votano?

L’Italia è, infatti, all’ultimo posto della classifica dei Paesi Ocse per quanto riguarda il benessere dei bambini. In uno studio del 2009, che tiene conto del benessere materiale così come della qualità della scuola, delle case, della salute e degli stili di vita, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha scovato un paradosso, tutto italiano: facciamo meno figli e li trattiamo peggio.

Mediamente il nostro paese spende per ogni bambino, dalla nascita ai 5 anni, poco più di 20mila euro. Meno della metà della Francia (42.171mila euro), il 62,5 per cento in meno della Gran Bretagna (32.394mila euro). Poco, troppo poco, per un paese che vuole continuare a far parte delle sette economie più sviluppate a livello mondiale e portare a livelli più alti un Pil fermo a +1,1 per cento (dati del quarto trimestre del 2010).

Per non parlare del sistema educativo, che negli ultimi mesi è stato al centro di feroci polemiche. Basta scorrere i risultati dei nostri ragazzi nei test internazionali sull’istruzione. Secondo la classifica Ocse-Pisa (Programme for International Student Assessment) del 2009, l’Italia è al 30° posto (su 65) in lettura, al 36° in matematica e al 35° posto in scienze. Risultati mediocri che fotografano lo stato di salute del sistema scolastico italiano. E’ un’ipocrisia, poi, stupirsi che i migliori cervelli decidano di emigrare.

In un paese dove il welfare è praticamente nullo, la famiglia rimane il principale ammortizzatore sociale. Ne è soddisfatto quasi il 100 per cento degli italiani (indagini Demos-Coop: 2006-2007) che contano sulla sua protezione dei parenti per combattere disoccupazione e precarietà.

Ma la dipendenza è reciproca. Secondo uno studio della London School of Economics, in Italia l’80 per cento dei giovani fra i 18 e i 30 anni vive con mamma e papà. Bamboccioni? Non solo. La colpa è anche dei genitori che amano “avere i propri figli intorno e pur di convincerli a vivere con loro sono disposti a ‘corromperli’ a fronte di favori e soldi”. Parola dei ricercatori (italiani) Marco Manacorda ed Enrico Moretti. Poco importa se il prezzo da pagare, alla lunga, “è una scarsa indipendenza e, a lungo termine, poca soddisfazione nella vita”.

Tutto l’opposto della filosofia di Amy Chua. “Quello che faccio come madre si basa sull’amore e sul desiderio di capire le mie figlie” assicura. Amore, empatia e aspettative altissime. Sono questi gli ingredienti dell’educazione, cinese, americana o italiana che sia: questa ricetta per il successo è difficile da contestare.

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