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Più Irpef, più Iva e più guai

di Warsamé Dini Casali |30 Giugno 2011 10:39

ROMA – C’è una formula magica che nelle ultime settimane è stata ripetuta più volte da Giulio Tremonti, e non solo da lui, quando ha promesso l’ennesima riforma fiscale. La formula è “a gettito invariato” ma può essere sostituita senza colpo ferire con “nessuna riforma finanziata in deficit”. In altre parole, l’annunciata ristrutturazione delle aliquote Irpef (da ridursi a tre: 20, 30 e 40 per cento), che tanta parte dovrebbe essere del nuovo fisco targato Tremonti, verrà realizzata compensando fino all’ultimo euro il taglio delle entrate, dovuto alla limatura delle aliquote, con nuovi introiti fiscali per lo stesso ammontare. Si tratterebbe, insomma, di spostare la tassazione da una base imponibile a un’altra, parzialmente diversa.

Com’è noto i nuovi incassi dovrebbero venire principalmente da un aumento dell’un per cento delle aliquote Iva oggi al dieci e venti per cento e in parte anche da altre misure, come un drastico sfoltimento della giungla delle più di 470 voci di esenzioni, deduzioni e regimi speciali che oggi sottraggono all’erario oltre 160 miliardi. Di queste ultime ne ricordiamo qualcuna: l’Iva ridotta sull’acquisto della prima casa; le detrazioni per le ristrutturazioni edilizie; le deduzioni dei canoni di locazione; la riduzione dell’imposta di registro per la prima casa; la detassazione dei premi di produttività; le detrazioni sulle spese per l’acquisto di abbonamenti di trasporto, per asili nido, per spese sanitarie, per sostituire frigoriferi e congelatori con apparecchi a più alta classe energetica, per il rifacimento di infissi; le detrazioni sulle “erogazioni liberali” alle associazioni sportive dilettantistiche e per quelle di promozione sociale. Qui ci fermiamo, anche se l’elenco completo è tutt’altro che privo di spunti umoristici.

Diversi sono i motivi per cui in molti, anche in settori del governo, si oppongono a questa manovra, peraltro sganciata dal piano di rientro 2011-2014 e che verrà inserita in un Ddl delega di riforma del fisco che potrebbe non avere tempi brevissimi. Una corrente di pensiero, che accomuna parte della sinistra, i sindacati e però anche la Confcommercio e la Lega, respinge lo scambio Irpef-Iva, temendo un calo dei consumi, una crescita dell’inflazione e una dose di iniquità fiscale aggiuntiva. Sono critiche non del tutto condivisibili, perché la traslazione dell’accresciuta Iva sui prezzi non è molto agevole in una fase di ristagno come l’attuale e inoltre perché le impose indirette possono oggi colpire gli evasori-gran consumatori più della conclamata lotta all’evasione.

Piuttosto Tremonti dovrebbe spiegare dove sta la convenienza, per un reddito medio-basso, a fronte di tutto l’ambaradan della sua riforma. Per chi guadagna annualmente tra i 20 e i 30 mila euro lordi la riduzione della prima aliquota dal 23 al 20 per cento porterebbe un beneficio annuo intorno ai 500 euro, dai quali però andrebbero sottratte tutte le perdite legate all’aumento dell’Iva e quelle connesse alla riduzione di deduzioni e detrazioni: alla fine il saldo potrebbe risultare addirittura negativo. Certo, il sistema ne avrebbe qualche giovamento in termini di semplicità e trasparenza. Sospendiamo quindi il giudizio sulla riforma, almeno fino a quando non se ne conosceranno esattamente i termini: in fin dei conti è ben noto che soprattutto in campo fiscale il diavolo si nasconde nei dettagli…

Ma c’è un’altra questione che meriterebbe maggiore attenzione dai commentatori del Tremonti-pensiero. E’ certo sacrosanta la promessa solenne di una riforma a gettito invariato. Ma se per raggiungere questo obiettivo il ministro dell’Economia è costretto a raschiare ancora una volta il fondo del barile, rifacendosi sull’Iva e sulle detrazioni, cosa succederà quando si dovranno fare manovre finanziarie pesanti per ottemperare alle richieste dell’Unione europea e portare il bilancio in parità? Cosa succederà se, com’è già nell’aria, i tassi d’interesse cresceranno e il servizio del debito pubblico richiederà l’esborso di qualche miliardo di euro in più rispetto a oggi?

Cosa succederà nel 2013-2014, quando, grazie alla furbata di spostare le “lacrime e sangue” a dopo le prossime politiche, già “normalmente” si dovrebbero rastrellare 20 miliardi all’anno per attuare il percorso di rientro che ci chiede Bruxelles? Se una riforma fiscale timida, appena accennata e quindi anche non proprio indispensabile avrà già sfruttato alcuni degli strumenti più maneggevoli, come l’intervento sull’Iva e la riduzione delle detrazioni, cosa si dovranno inventare i successori di ser Giulio per azzerare il rapporto deficit-Pil e ridurre quello debito-Pil? Quel che è certo, si tratterà di un’eredità ancor più pesante di quella che si avrebbe oggi, aggravata come sarà dagli ulteriori vincoli connessi alla “riforma”. Ai posteri l’ardua impresa. Ma teniamo a mente soprattutto una cosa: le formule magiche “a gettito invariato” o “nessuna riforma finanziata in deficit” non promettono affatto un risultato “neutrale” per le future scelte dei policy maker. Piuttosto qualche volta promettono lacci e lacciuoli più stringenti e difficili da sciogliere.

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