Lavoro. Fornero vuol abolire gli stage: se è lavoro deve essere pagato

ROMA – Mai più stagisti “a gratis”. Anzi la parola stage verrà proprio eliminata, se parliamo di lavoro. Se a dirlo è il ministro del Welfare Fornero forse c’è qualche speranza che almeno una delle richieste della generazione P come precari venga presa in esame, seriamente. “Lo stage può essere formativo, ma quando hai finito gli studi lo stage non è più consentito. Chi lavora deve essere pagato. La mia intenzione è eliminare gli stage post formazione”, si è impegnata Fornero, intervistata da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”. Si discuteva di nuove forme contrattuali, delle proposte avanzate dal governo alle parti sociali.

Sarebbe una rivoluzione nel mercato del lavoro, un terzo delle offerte di lavoro sono tirocinii: cioè tanto lavoro a zero soldi. Con l’aggravante che di formazione il più delle volte non ce n’è nemmeno l’ombra. Con il risultato di aver creato, grazie al ricorso sistematico al tirocinio, la sfortunata categoria degli stagisti a tempo indeterminato. Giovani e non più tanto giovani neo-laureati che passano di sei mesi in sei mesi da uno stage all’altro. Solo un terzo degli stage sono propedeutici alla stabilizzazione del percorso lavorativo. Gli altri si arrangiano rimbalzando da un’esperienza all’altra.

Gli “schiavi” del terzo millennio si autodefiniscono i precari organizzati. In Francia sono stati i più cattivi e con le richieste più stringenti. La fame di lavoro negli ultimi anni è cresciuta al punto che anche il bistrattato stage è stato visto come un’ancora di salvezza: nella stessa Francia, qualche studente si è accollato addirittura le spese per un corso di laurea fittizio, pur di accedere all’agognato stage, a zero euro. Il fatto è che il reclutamento tramite stage, la conferma in azienda per uno su tre funziona da calamita.

Da noi spesso non basta neanche essere iscritti all’università per avere garantito lo stage. E questo nonostante sia previsto dalla riforma entrata in vigore quattro anni fa. Ma le risorse di scuole e atenei scarseggiano e allora i ragazzi sono per lo più costretti ad arrangiarsi da soli: il più delle volte sono loro a cercare i contatti, a trovare l’azienda in cui fare lo stage e a metterla poi in contatto con la scuola o l’università. I casi di sfruttamento sono quasi la regola. La legge istitutiva dello stage, la Treu del ’97, non prescrive il compenso da corrispondere. Le aziende sarebbero tenute invece a indicare alle università come intendono utilizzare lo studente – precisando in un modulo l’incarico affidato e il tutor che lo affianca – ma poi di fatto negli atenei poi nessuno controlla i moduli e così aziende senza scrupoli se ne approfittano.

E infatti, invece di formare un potenziale candidato all’assunzione, lo stage serve per lo più a rimpiazzare la scarsità periodica del personale che magari è in ferie. Con il vantaggio di non dover utilizzare nemmeno i contratti a termine per le sostituzioni. Così succede che il neo-laureato in matematica svolga mansioni che avrebbe potuto espletare alle superiori, ma nessuno si preoccupa di approfittare di neolaureato in grado di capire prima e meglio di altri le istruzioni per imparare la professione. Un’occasione persa, con la beffa di una corrispettivo economico umiliante che nella maggior parte dei casi corrisponde a un forfait che a malapena copre le spese. Il principio che Fornero propone, augurandoci che non si rimangi la parola, è chiaro: lo stage ha senso solo in una prospettiva di formazione, in tutti gli altri casi si tratta di un lavoro, che, quindi, è obbligatorio retribuire.

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