Il Po non è morto. Dopo che siamo stati inondati da fiumi di parole sulla sua estinzione, il più grande e vero fiume italiano ha ruggito. Con i fiumi, e i torrenti che a migliaia solcano l’ Italia, è sempre così, a memoria d’uomo e oltre. Per un po’, per qualche misterioso capriccio della natura, si lasciano andare, diventano secchi, consunti. Gli uomini prendono confidenza, ci vanno a vivere dentro, non li curano più, tanto ormai…
Così le tante e intersecate autorità preposte si perdono nelle intricatezze burocratiche, le manutenzioni non si fanno, i detriti accumulati non si tolgono. Manca poco che si diano le licenze edilizie. Ma quelle, in Italia, non servono.
Poi un bel giorno il fiume alza la testa e dà una bella spazzolata che fa correre in un cantone i tanti che avevano diagnosticato la sua fine.
Fortuna vuole che nel caso specifico il Po attraversi una delle zone più civilizzate d’Italia, dove la gente con la forza e anche la violenza del grande fiume ha fatto i conti per millenni. E se la gente lì ha imparato, nei secoli, a fare conto su ste stessa, a non lamentarsi e a rimboccarsi le maniche, è anche vero che l’apparato pubblico, nelle sue varie manifestazioni, funziona meglio che altrove in Italia.
Poi c’è da tenere conto che queste sono zone lontane da Roma, sono veramente ancora Gallia, e anche l’impatto sui mezzi di comunicazione è meno sentito.
Forse è per questo che il capo della Protezione Civile, Bertolaso, può limitarsi al contatto telefonico e starsene invece in Abruzzo a preoccuparsi del G8, anche se l’emergenza lì è passata, qui è in pieno divenire.
Forse è per questo che crolla un ponte e dicono che non è il fiume, ma un cedimento strutturale.
Poi c’è da dire che questa è una zona (sempre meno) rossa. E allora poco importa al presidente del Consiglio andare a trovare quella brava gente del nord, laboriosa e silenziosa, che lui conosce bene perché da lì viene anche lui. Meglio il brio di Casoria. E lo si può anche capire, in termini di scelte elettorali e anche personali.
Ma l’unico personaggio della sinistra che si sia finora mosso, se non altro per doveri istituzionali, è il presidente della regione Emilia Romagna Vasco Errani, che ha chiesto lo stato d’emergenza. (Il suo collega lombardo, forse per ragioni politiche analoghe a quelle del primo ministro) non si è fatto proprio sentire.
Interessante sarà vedere quanti saranno al sole di Roma al concerto del primo maggio, quanti andranno in Abruzzo, a scimmiottare il premier, e quanti troveranno la voglia e il tempo di scendere in riva al grande fiume e dire alla gente: siamo con voi
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