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Cristiani sotto attacco in oriente, tra americani inetti e preghiere poco efficaci

di Marco Benedetto |8 Gennaio 2011 22:56

La strage dei cristiani di Alessandria d’Egitto non è che l’ultimo episodio di una lunga catena che unisce anche Iraq, Pakistan, India. La bomba di Alessandria ci ha fatto più impressione perché molto più numerosi sono quelli di noi che hanno visitato l’Egitto, i cristiani copti sono molto vicini agli europei, non sono scuri come i pakistani, le cui donne sono stuprate e uccise in nome della vera fede senza che nessuno dell’interventismo firmaiolo europeo si faccia sentire. Meno che mai dei neri del Darfur. Ora poi la vicenda egiziana entra in giochi politici planetari e questo può dare a quei poveri copti una speranza in più di non finire come gli ebrei dei tempi di Nasser o peggio come i cristiani dell’Iraq, dove i cristiani sono uccisi almeno uno al giorno (è pur vero che si sgozzano ancor più intensamente tra musulmani di credenze diverse) ma questo non cancella l’ingiustizia dei comportamenti, inclusa la nostra indifferenza.

Non è che l’Europa possa farsi molto vanto delle sue radici cristiane, fatte di battesimi a fil di spada, ebrei ed eretici bruciati, Galileo in carcere e Carlomagno imperatore con un carniere di alcune migliaia di tedeschi sgozzati per il rifiuto del battesimo. Cerchiamo le nostre radici nelle crociate, sono quasi quindici secoli di scambi di favori con l’Islam tanto che è diventata la storia dell’uovo e della gallina, anche se sotto il profilo della civiltà vince l’Islam ottomano, se civiltà è tolleranza. Gli ebrei fuggivano dalla cattolica Spagna per sfuggire alla morte e si rifugiavano all’ombra del gran turco, che rispettava la fede dei sudditi conquistati, come sanno greci e romeni. Chi si convertì all’Islam lo fece per convenienza e anche inseguendo un sogno di riscatto dal dominio dei cristiani invasori slavi.

Ma questo è passato, guardiamo il presente. I grandi cristiani che in nome della civiltà occidentale hanno scatenato l’invasione dell’Afghanistan e quella dell’Iraq, gli americani guidati da George Bush e dai suoi mentori, quelli proprio ne escono a pezzi, comunque la si giri: come cristiani, come conquistadores, come grandi giocatori sullo scacchiere che anticipa le mosse di una possibile guerra mondiale con la Cina.

Certo c’è stato l’11 settembre, con le sue migliaia di morti americani ed è inutile il confronto con le centinaia di migliaia di morti civili europei dell’ultima guerra mondiale, anche per le bombe americane, è passato troppo tempo. Ma trascinare il mondo intero in un conflitto globale con l’approssimazione e l’incompetenza di cui è stata capace la cricca Bush è colpevole quanto la guerra al mondo dichiarata da Mussolini.

Sarebbe sbagliato dire: gli americani. La colpa è di una visione politica fatta di arroganza, affarismo, senso di diritto divino, complesso di superiorità che purtroppo sembra troppo spesso fare da modello alla politica italiana e che ha distinto quel gruppo di politici repubblicani figli diretti dell’era di Richard Nixon, raccolti attorno allo studio ovale di Bush. Piegarono le evidenze delle loro stesse spie per andare al loro scopo ma non si accorsero che l’arroganza li rendeva ciechi e impediva loro di ripassare la storia. Avrebbero così scoperto che quei rammolliti comunisti della amministrazione di F.D.Roosvelt erano stati molto più accorti e abili di loro durante e dopo la guerra al nazi-fascismo europeo e nipponico (qui forse esagerando un po’ in prudenza), punendo i più visibili capi (tranne l’imperatore del Giappone), ma lasciando intatte le strutture statali, epurando quanto bastava ma contenendo regolamenti di conti e bagni di sangue. Se al posto di Roosvelt e poi Truman ci fossero stari i Bush, l’Italia sarebbe finita come l’Iraq.

C’era corruzione diffusa anche in quegli anni. Il romanzo Comma 22 di Joseph Heller la rappresenta come nel marmo. Con le scarpe di cartone, di cui furono dotati i nostri fanti mandati a morire nelle steppe dell’Ucraina, ci si potrebbe fare un monumento alla incompetenza e alla corruzione. Però gli affari erano una conseguenza della guerra; la crociata americana del terzo millennio è basata sul presupposto degli appalti, a partire dall’esercito.

Arroganza, supponenza, razzismo, su queste premesse l’occidente perde la sua missione di civilità in Afghanistan, anche questo è scritto nel muro, qualsiasi cosa dicano politici e politicanti occidentali. L’Iraq è un paese più strutturato, da lì e dintorni sono partite le principali correnti di civiltà per l’Occidente, ma da un punto di vista politico e anche militare il disastro è ancora più grosso. Il confronto fra l’accortezza di Roosvelt in Italia e in Germania e la dissennatezza di Bush in Iraq è clamoroso.

C’è di più: la stessa gente che ci ha portato dove ci ha portato in nome del cristianesimo, si è comportata con i cristiani iracheni abbandonandoli all’odio religioso e anche etnico (è verosimile che i cristiani in medio oriente discendano dalle popolazioni dominanti del passato, come i sumeri) con un cinismo pari a quello che dimostrò Bush papà verso i curdi ribellatisi a Saddam e abbandonati alla sua vendetta dopo la prima guerra del Golfo.

Spiace doverlo dire, ma una volta erano più capaci. Se qualcuno degli ideologhi falsari che circondavano Bush avessero fatto qualche ricerca in biblioteca, avrebbero trovato un libretto di memorie di guerra, scritto da un e maggiore inglese. John Masters (The road past Mandalay). Masters racconta che agli esordi della seconda guerra mondiale, gli inglesi, che all’epoca avevano a che fare con l’Iraq, non gradendo la piega presa da un governo golpista filo nazista, avevano rifornito di armi i cristiani, i quali, dire il vero con poca carità, si erano subito dati al tiro a segno dei miliziani arabi.

Pare che solo ora, finalmente, dopo decine di morti e migliaia di profughi, i cristiani dell’Iraq si siano decisi a organizzarsi per difendersi e i cristiani americani a aiutarli. Quanto poi c’entri la fede in tutto questo e non piuttosto le divisioni etniche che spesso coincidono con quelle religiose (si veda l’odio millenario tra sunniti e shiiti nell’islam) insieme con quelle di censo e di classe, questo è tutto da vedere, perché il demonio dell’invidia e dell’odio sa trovare tutte le strade per vincere.

La lezione del Sudan di oggi vale  qualcosa e conferma che le preghiere, le marce, le solidarietà sono importanti, ma chi fa da se fa per tre. anche perché le rock star e affini per qualche misteriosa ragione preferiscono i governi ufficiali ai disperati dei campi profughi. Se in questi giorni si sta per aprire una nuova era, magari sempre di miseria ma se non altro di speranza, per i cristiani del Sudan del Sud, non lo devono alle preghiere, ma a un esercito di 40 mila uomini che ha lottato per quasi trent’anni in quella terra disperata.

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