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Terremoto L’Aquila 2009-2019, l’intervista a Massimo Cialente: “Ricordo il fungo atomico arancione ma il terremoto i morti non li fece da solo”

di Gianluca Pace |20 Aprile 2020 14:22

Le mani dei Vigili del Fuoco proteggono la statua della Madonna rimossa dalla facciata pericolante della chiesa di Paganica (L'Aquila) recuperata dalle macerie del terremoto del 6 aprile 2009

Le mani dei Vigili del Fuoco proteggono la statua della Madonna rimossa dalla facciata pericolante della chiesa di Paganica (L’Aquila) recuperata dalle macerie del terremoto del 6 aprile 2009 (foto Ansa)

ROMA – Sono passati dieci anni dal terremoto di magnitudo 6,1 (fonte “INGV”) che a L’Aquila, alle 3.32 del 6 aprile del 2009, causò 309 morti. All’epoca il sindaco della città era Massimo Cialente. Sindaco che poi restò in carica fino al 2017.

Che ricordi ha di quella notte? “Forse – mi risponde – sarebbe stato meglio non averli. La scossa delle 3.32 fu preceduta da altre due scosse. Ricordo che verso le undici e mezza ci fu una grande agitazione per una prima scossa. C’era l’allora Questore Filippo Piritore che dopo questa prima scossa mi chiamò chiedendomi se non era il caso di chiudere le scuole. Confesso che non sapevo cosa avrei dovuto fare. Poi alla seconda scossa, intorno all’una, decisi di chiuderle. Poi chiaramente, alle 3,32, come tutti, fui svegliato dalla scossa. Vidi cadere il televisore e i quadri, di cui uno per poco non mi prese in testa e si incastrò nella spalliera del letto dove poi rimase per mesi e mesi”.

“Poi, chiaramente, al contrario di tutti gli altri – continua – dopo essermi occupato nei primi venti minuti di sistemare la mia famiglia andai al centro operativo comunale dove arrivarono tutti i miei funzionari. Funzionari che vennero accompagnati dai familiari. Quasi tutti in pigiama. Mi preoccupai subito per quelli che mancavano e infatti qualcuno non arrivò perché aveva i familiari sotto le macerie. Poi cominciò tutta la tragedia: le prime notizie, l’ospedale gravemente lesionato ed evacuato dai giocatori della squadra di rugby che portarono fuori i pazienti più gravi, i primi morti. Devo dire che ho un ricordo drammatico di quella notte”.

Cosa la colpì di più in quelle prime ore? “Ricordo che subito dopo la scossa, quando scappai fuori dalla porta del piano di sopra, vidi la città avvolta in un fungo atomico arancione. Era tutta la polvere dei crolli del centro storico. Di questo ho un ricordo nettissimo. Era una nuvola arancione. Le luci della città erano rimaste accese e c’era questa nuvola arancione che avvolgeva le macerie. Un fungo atomico. Ha presente un fungo atomico? Tutto questo avveniva uno, due minuti dopo la scossa. Poi mi ricordo la telefonata, rimasta anonima, che mi arrivò in quei minuti: ‘Sindaco, Onna non c’è più’. E subito dopo mi telefonò un collega per dirmi che era crollato il palazzo con dentro la cognata e la nipote”.

La Cassazione ha confermato l’assoluzione dei esperti della ‘Commissione Grandi rischi’. E’ stata confermata, invece, la condanna a 2 anni per l’ex vice capo della Protezione civile Bernardo De Bernardinis  Che ricordi ha dei quella riunione del 31 marzo? “Io venni chiamato all’ultimo momento, avvisato telefonicamente dal mio capo di gabinetto – mi spiega – e mi cadde un po’ fra capo e collo perché non sapevo che ci sarebbe stata. Venni avvisato all’ultimo e quando arrivai aveva già parlato Mauro Dolce. Capii che quegli scienziati non potevano dire niente su quello che sarebbe potuto accadere: i terremoti non si possono prevedere. Qualcuno provò a chiedere: ‘Ma che succede, cosa può succedere?’. Fino a che Boschi perse la pazienza e rispose molto bruscamente. Cosa inusuale per una riunione del genere”.

“Ricordo – prosegue – che Boschi disse: ‘Insomma, basta, qui è la zona più sismica d’Italia, il terremoto potrebbe fare stasera, potrebbe fare domani, fra una settimana, fra un mese, fra un anno. Preparate le aree di accoglienza’. Io allora mi arrabbiai: le aree di accoglienza servono per i sopravvissuti, perché il terremoto uccide. Da noi i palazzi collassarono, non è che ci fu il tempo di scappare. E questo la dice lunga su qual è la situazione del paese. Bisogna fare la prevenzione. Il mio libro, infatti, si intitola ‘L’Aquila 2009: una lezione mancata’. Una lezione mancata perché ancora non abbiamo capito niente. Lei si ricordi questa cosa: i terremoti sono eventi naturali periodici. Quindi dove hanno fatto, rifaranno. Periodicamente, ma rifaranno. A L’Aquila di solito il ritorno è tra i duecento e i trecento anni, a Roma ogni 1500-2000 anni. Noi, noi Italia, siamo in un’area sismica e non facciamo prevenzione. Poi chiamiamo la ‘Grandi Rischi’ e chiediamo: ‘Quando fa la scossa? Ci potete dire l’ora? E che ne sanno loro, che ne possono sapere”.

La città è sempre stata soggetta a terremoti nel corso della sua storia. Si poteva fare di più nella prevenzione e nella comunicazione? E cosa si poteva fare di diverso? “Mah, guardi. Cosa volevi fare? Evacuare una città? Noi abbiamo avuto credo 235 scosse durante lo sciame. Il vero problema è che avremmo dovuto tenere tutte le case sicure. In Italia nostri edifici dovrebbero essere in sicurezza. Noi abbiamo gran parte dei nostri edifici che non sono in sicurezza. I morti a L’Aquila li hanno fatti soprattutto i palazzi in cemento armato”.

Quali sono stati i giorni più difficili dopo la scossa? “Oltre il giorno dei funerali, il giorno in assoluto più difficile, o meglio la notte, fu quando il governo decise di svuotare la città. Volevano trasferire tutti gli uffici. Sarebbero rimasti solo gli uffici i comunali. Era previsto il trasferimento dei dipendenti pubblici, universitari, ospedalieri, d’ufficio, sulla scorta del danno riportato dall’abitazione. Quello è stato in effetti un momento molto drammatico. Sarebbe stata la morte della città. Fu lo scontro più grave con il Governo. Poi, per fortuna, Berlusconi alle due di notte annullò l’ordinanza”.

Che giudizio dà della governance della Protezione Civile di quel periodo? “Indubbiamente la Protezione Civile fece un’azione molto efficace. L’errore fu quando la Protezione Civile isolò il Comune per assumere un ruolo da protagonista creando, di fatto, una sorta di governatorato. E il Comune fu incolpato di tutto ciò che non funzionava. Ma c’erano 60mila sfollati, mica uno. Io dovevo muovermi con molta prudenza, avevo troppa responsabilità rispetto alla mia gente per aprire uno scontro aperto. Poi quando la Protezione Civile andò via ci fu il commissario e allora noi proprio non contavamo più… niente. Solo gestione dei ‘casini’. Ci fu una fase di vero e proprio governatorato. Con il governo Monti, appena insediato furono fatte ordinanze di cui non sapevo niente, sbagliate”.

“Io – continua – contestai duramente Monti in Consiglio comunale. Tanto che egli la sera stessa mi chiamò, erano le 23,30 circa, e mi disse: ‘Insomma, che cosa vuoi?’. Al che gli dissi: ‘Dacci un Ministro, possibilmente Barca, fate un’analisi e vediamo chi è che sta creando i problemi. Se dovessi essere io sono pronto a prenderne atto’. Allora, per fortuna, si passò ad una governance diversa. Ma fino al 2012 il Comune fu messo ai margini esattamente come sta avvenendo ora dopo il terremoto in Centro Italia”.

Ma com’è possibile che un terremoto di questa intensità abbia provocato così tanti morti? “Qui crollarono i palazzi in cemento armato. Io nel mio libro propongo il fascicolo del fabbricato per gli edifici. Lei avrà un’automobile. Ogni due anni, come tutti, deve fare la revisione. Se non fa la revisione la macchina e la fermano gliela sequestrano sul posto. Sul libretto di circolazione ci sono tutte le informazioni. Lei, come tutti, passerà però più ore negli edifici che in macchina. Sa qualcosa di questi edifici? Sa qual è la risposta sismica? Il livello energetico? Questo è”.

“Serve – spiega – un grande progetto pluridecennale. Devi creare una struttura nazionale. E soprattutto devi mettere in relazione i dati. Noi i dati li abbiamo ma spesso restano sepolti in qualche ufficio. Per esempio a Rigopiano forse la carta della valanghe c’era, ma stava in Regione, persa in qualche scaffale. E’ il computer che deve segnalare i pericoli. Che ti avverte. Come quando ti avvertono che l’assicurazione è scaduta. E bisogna mettere in sicurezza gli edifici. Non servono molti soldi. Per le case in muratura servono pochi soldi”.

Ma dal terremoto del 2009 in Italia qualcosa è cambiato o siamo ancora all’anno zero? “Ora è uscito il ‘sisma bonus’. Però il ‘sisma bonus’ è affidato al buon cuore delle persone e… per chi ha i soldi. Conosco dei miei colleghi medici – che non avendo fatto politica sono ricchi – che sulla loro casa possono permettersi di investire anche migliaia di euro che recuperano poi con credito d’imposta. Ma tu devi fare un’azione collettiva. Noi spendiamo tre miliardi l’anno per i danni del terremoto. Sarebbe meglio spenderli in prevenzione. L’Europa, se torniamo a fare meno i matti, ci permetterebbe anche un po’ di sfondare per investire in questo e forse recupereremmo buona parte dei 600mila operai che nell’edilizia stanno a casa senza lavoro”.

“E’ un modello di sviluppo diverso – continua – e che servirebbe alla messa in sicurezza del paese. Con questo contrasteresti anche l’espulsione dal lavoro provocata dalle nuove tecnologie. Perché questo è un lavoro che devono compiere le persone, non possono farlo le macchine, non sono attività ripetitive e di precisione. Servono testa e mani. Sono lavori d’arte, non ripetitivi e di precisione. Avresti così, soprattutto, un paese più bello, ricco di storia e di patrimonio culturale. E potresti rilanciare turisticamente i borghi dell’Appennino”.

La storia degli studenti morti nella Casa dello Studente è stata una delle storie più drammatiche del terremoto. Cosa non funzionò nella gestione della sicurezza di quell’edificio? “Quello che non funziona in tutta Italia. La Casa dello Studente non era diversa dagli altri edifici presenti in Italia. Si ricorda che a Roma cadde un palazzo perché per mettere una macchina tipografica avevano tagliato una colonna? Il problema riguarda tutta l’Italia. A 500 metri in linea d’aria dalla Casa dello Studente crollarono due palazzi prestigiosissimi. Lì, in quei due palazzi, ci furono quaranta morti. Ed erano fra le case più prestigiose della città. Erano le case della borghesia aquilana. Sono cascati anche gli edifici poveri, dell’edilizia minore ma anche i palazzi in cemento armato del centro storico”.

“G8” a L’Aquila. Che ricordi ha di quell’evento? “Fu uno show. Fu utile perché prendemmo un po’ di finanziamento da qualche Paese come la Francia e la Russia, che adottarono dei monumenti. Ma fu uno show che si fecero per conto loro. Mentre loro erano ai nastri, io ero a parlare con gli organizzatori delle manifestazioni degli antagonisti. Gli chiesi di non coinvolgere la città e devo dire che furono correttissimi. Per il resto fu una cosa tra loro. La città proprio non se ne accorse del ‘G8’ se non per le grandi misure di sicurezza”.

Silvio Berlusconi, con tanto di casco dei Vigili del fuoco, abbraccia un’anziana  (foto Ansa)

A dieci anni dal terremoto. A che punto è la ricostruzione? “Quella pubblica si può dire mai partita. In Italia è impossibile fare lavori pubblici. Quella privata si è quasi fermata. Si è fermata la ricostruzione e si è fermata l’idea di sviluppo della città. C’è stato un drammatico cambio di amministrazione e c’è stata una brusca fermata”.

Come mai tutti questi problemi per la ricostruzione del centro storico? “Perché mi fecero partire solo nel marzo del 2013. Perché nel ‘decreto 39’, pur di poter scrivere la parola sindaci, si inventò la storia dei piani di ricostruzione dei centri storici. Inutile perdita di tempo. Al maggio del 2015 in periferia, demolendo e ricostruendo, avevamo rimesso sotto un tetto 43mila persone. Questo è un dato. Poi noi lottammo con un altro problema: mancava una legge organica. Questo fu un altro errore. All’inizio forse qualcuno non pensava di ricostruire subito la città. E i soldi finirono presto. A Campotosto ancora non arrivano le casette e ormai sono inutili. Perché lì non c’è più nessuno”.

Che effetto le fa vedere questi paesini svuotati? “Una rabbia infinita. Stanno sparendo delle comunità. Vede, il problema è che in Italia fare un lavoro pubblico è praticamente impossibile. Ogni volta si fa una legge della ricostruzione diversa. Servirebbe sedersi a tavolino e tirare fuori una legge quadro seguendo i migliori modelli di ricostruzione. Io sono un medico. Un medico prima ti dice di fare la prevenzione e poi agisce, in caso di malattia, con le terapie. Ma noi medici abbiamo le ‘best practices’ da seguire. Un medico che non le segue finisce in galera. In Italia invece ogni volta cambia tutto a seconda di chi è al Governo”.

Di chi è la colpa? “L’incapacità del Parlamento. L’incapacità della classe dirigente. Il problema non viene proprio posto perché questo vorrebbe dire mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Il fascicolo di fabbricato non lo si vuole perché le case perderebbero di valore. Guarda L’Aquila oggi. Se le case non sono quelle ricostruite ex novo ora non le vendi. Quando si compra una casa a L’Aquila ora la prima cosa che si va a vedere non sono le dimensioni ma l’indice di vulnerabilità anti sismica. Si vede qual è il livello energetico. Solo dopo si vede se quella casa è vicina alla fermata del tram o al centro storico. C’è chi dice poi che il fascicolo di fabbricato è socialmente non necessario e lede la proprietà privata. Detto questo, le ho detto tutto”.

In molti hanno criticato il progetto C.A.S.E. Le cosiddette “New Town”. “Io l’ho voluto. Feci le trattative e dissi: ok me li prendo. Il mio obiettivo era quello di tenere gli aquilani qui. Nel 1703 il marchese Marco Garofalo fu inviato qui come commissario dal viceré per aiutare gli aquilani dopo il terremoto. Terremoto che fece più di tremila morti. E per non far scappare gli aquilani Garofalo mise le palizzate e chiuse le porte della città. Doveva salvare la città. Io non potevo fare questo. Parecchi aquilani non me lo hanno mai perdonato. Però la notte nel 9 ottobre del 2011 al censimento avevo nuovamente 66mila abitanti, solo ottocento in meno rispetto al 2001. Ce l’avevamo fatta. Sono riuscito a far restare gli aquilani nella loro città”.

Non c’erano alternative? “Sì, portare via gli aquilani dalla città per anni. Come aveva deciso il Governo. Mi dica: chi sarebbe tornato a L’Aquila? Ora anche i miei peggiori oppositori in privato mi riconoscono che all’epoca fui lucido. Avrei potuto dire: va bene, trasferiamo tutti. Me ne sarei andato anche io. Avrei seguito mia moglie a Roma, dove era previsto il trasferimento della facoltà di Medicina.. E L’Aquila ora sarebbe una cittadina di 15mila abitanti. Età media? Oltre i settanta. C’è anche chi mi ha criticato dicendo: bisognava costruire subito! Ma come cavolo ricostruisci subito, sai quanto tempo ci vuole per il progetto? Per i criteri? E la gente nel frattempo, dove la metti?”.

Qualche balcone è venuto giù. “Questa case sono state tirate su in sei mesi e quando fai i lavori trovi sempre quello che fa una pecionata. Su migliaia di balconi c’e stata una ditta sub appaltatrice che ha lavorato male. Va bene. Mi fa incazzare. Ma non è uno scandalo. Anche quando hanno rifatto la mia abitazione qualche problema è venuto fuori. Ma ricordiamoci che abbiamo riportato sotto un tetto 48mila persone”. L’Aquila ora è una città sicura? “Secondo me ora L’Aquila è la città più sicura d’Italia”.

SPECIALE TERREMOTO L’AQUILA 2009-2019

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