Cronaca

Emanuela Orlandi, il mistero sui media: da “Chi l’ha visto?” a “Lo Stato delle cose”. Dalla bufala di S. Apollinare alle piste sbagliate

Per 42 anni di fila il mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi ha allagato i tutti i mass media. E dal settembre 2005 con la famosa lettera anonima, che di fatto si è provvidenzialmente rivelata un colpo di genio pubblicitario, ha allagato sempre con piste fasulle e qualche grosso falso passato sotto silenzio soprattutto il programma “Chi l’ha visto?” condotto da Federica Sciarelli su Rai Tre. Grazie a quella telefonata, opportunamente tagliata nella parte finale altrimenti si sarebbe capito subito che – come del resto era ben chiaro a chi non abbocca facile – era una bufala di qualche goliarda o sciacallo, è durata anni la saga di “Emanuela sepolta nella basilica di S. Apollinare con il Boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, detto Renatino”. E così la tragedia della scomparsa di una quindicenne,  in questo caso Emanuela, è stata trasformata in uno show lucroso, sempre meno decoroso, man mano anche più cinico e con sempre più pelo sullo stomaco…

Emanuela Orlandi, il mistero sui media: da “Chi l’ha visto?” a “Lo Stato delle cose”. Dalla bufala di S. Apollinare alle piste sbagliate (foto Ansa) – Blitz Quotidiano

Finita quella saga, dilagata in tutte le tv e i giornali, è iniziata la saga del “flauto di Emanuela“: portato in dono più alla Sciarelli che al magistrato inquirente dal “reo confesso” Marco Fassoni Accetti. Saga iniziata col flauto portato in trionfo a Sciarelli da Pietro Orlandi e legittimato da sua sorella Natalina con uno storico ed epico romanesco “pò esse, pò esse” per dire che il flauto poteva essere davvero quello di Emanuela. E saga anche questa dilagata su televisioni, giornali, mass media vari e social per finire anche lei nel cestino della spazzatura.

Morto il “flauto di Emanuela”, ecco la lunga saga della “pista inglese”, infarcita con falsi di tutti i tipi accertati come tali, ma utili a stimolare l’audience sollevando dubbi e scandali di panna montata ai danni di Papi, vescovi, arcivescovi italiani e inglesi.

Ora siamo non più alla musica del flauto, ma a quella della Casa del Jazz, i cui lunghi sotterranei ovviamente nascondono chissà quali misteri, compreso l’immancabile mistero Orlandi. Non poteva mancare Pietro Orlandi, con la sua nuova favola dell’”ex membro della Ndrangheta”, che sul lago di Como gli ha “rivelato” (ogni nuovo peto è sempre e immancabilmente una “rivelazione” decisiva) che “De Pedis ha strangolato Emanuela con una cravatta nel sotterraneo della Casa del Jazz”. Ridere o piangere?

Come che sia, i lavori per ripulire il sotterraneo, non si capisce se lungo 30 metri o due chilometri, sono stati fermi non per la pioggia, che a Roma quando c’è “fa i goccioloni”, ma per volontà del Vaticano che deve avere il tempo di far sparire tutto quello che lo accusa di chissà quali misfatti, specie se in concorso con la onnipresente Banda della Magliana e annesso “Boss Renatino De Pedis”. La cui consorte, Carla Di Giovanni, ci ha rimesso la vita per i decenni di dolore provocato dalle diffamazioni, calunnie e accuse di tutti i tipi, tutte campate per aria contro suo marito, morto incensurata e senza carichi pendenti.

Questo interminabile carnevale e show sempre più putrido e laido, ha sempre creato nell’opinione pubblica una pressione sui magistrati che è servita solo a rallentare e impedire indagini serie e utili. Impedire soprattutto che si imboccassero piste diverse dalle balle colossali e statisticamente più probabili. Come per esempio la pista amical-parentale, che nel caso di scomparsa di minori è un classico.

In tempi recenti soprattutto, ma non solo, nel programma “Verissimo” di Mediaset, sono comparse le diffamazioni e le insinuazioni di responsabilità, complicità e omertà per la scomparsa di Emanuela scagliate da Pietro Orlandi perfino contro tre Papi – Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio – oltre che contro magistrati, giornalisti e chiunque non si limiti ad accusare il Vaticano e osi cercare piste meno lunari e meno scombiccherate.

E ora, con una inaudita, intimidatoria, grottesca, pretestuosa e iperbolica faccia di bronzo gli Orlandi hanno dato mandato al loro legale, Laura Sgrò, di chiedere per iscritto ai vertici della Rai e ad altre autorità di impedire a Massimo Giletti di continuare a informare il pubblico col suo programma “Lo stato delle cose” su quanto sta indagando la magistratura nei riguardi di Mario Meneguzzi. Cioè dello zio di Emanuela diventato famoso per le “attenzioni morbose” verso la nipote Natalina cinque anni prima della scomparsa di Emanuela. Gli Orlandi pretendono il rispetto cioè il silenzio sullo zio perché è morto incensurato e senza carichi pendenti. Esattamente come Enrico De Pedis. Che però, con l’uso di due pesi e due misure, è stato crocifisso e massacrato a ogni piè sospinto, dalla saga di “Chi l’ha visto?” iniziata nel settembre 2005 fino alla nuova follia, tuttora in corso, della Casa del Jazz. Provocando anche la morte della consorte Carla Di Giovanni. Due pesi e due misure indegne di un Paese civile. E di un giornalismo degno di questo nome, diverso dal giornalismo spazzatura.

Sgrò nella sua lettera pretende anche di dare lezione di giornalismo e chiama in causa i controllori della spesa pubblica accusando “Lo stato delle cose” di sprecare denaro pubblico. Ridere o piangere? Solo in un Paese della banane potrebbero prendere sul serio le richieste dell’avvocata. La salute reale della nostra democrazia e indipendenza della nostra azienda televisiva di Stato, cioè della Rai, sarà misurata degli esiti delle pretese degli Orlandi messe per iscritto dalla loro legale.

Quello che segue è il testo della lettera che l’avvocata Sgrò ha avuto il fegato di inviare ai vertici della Rai e non solo della Rai. Impudenza? Paura?

“La famiglia di Emanuela Orlandi è vittima e da tale deve essere trattata, non si può spettacolarizzare né amplificare la sofferenza di familiari di scomparsi né violare le norme poste dal nostro ordinamento a tutela della dignità delle persone solo per ottenere qualche spettatore in più in un programma televisivo, la signora Natalina Orlandi per mano della trasmissione ‘Lo Stato delle cose’ ha subito una grave forma di vittimizzazione secondaria, vittima di una deriva mediatica che trasforma il dolore delle vittime in spettacolo, esponendola già molto vulnerabile a ulteriori traumi attraverso una divulgazione assai decontestualizzata di informazioni relative alla propria intimità che aveva condiviso con i magistrati in un tempo lontano e che adesso vengono utilizzate contro di lei per colpevolizzarla, scatenando peraltro una feroce campagna d’odio nei suoi confronti e di tutti gli Orlandi che aggiunge altro dolore al dolore infinito che li accompagna da 42 anni”.

La Sgrò ha indirizzato la lettera a Roberto Sergio, direttore generale della Rai, ai direttori Giampaolo Rossi e Paolo Corsini oltre che alla Commissione di vigilanza della Rai. “Ciò non è in alcun modo ammissibile”, afferma la legale dopo aver ricostruito le varie puntate della trasmissione che hanno vista coinvolta la famiglia, “men che mai utilizzando il denaro pubblico dei contribuenti”. Per quanto riguarda il primo servizio proposto, la rappresentante legale evidenzia che “un servizio così costruito non può in nessun modo rientrare in quello che è il servizio pubblico della Rai” poiché “nessun pregio investigativo è emerso in quei 18 minuti ma solo accuse diffamatorie nei confronti della famiglia Orlandi” con fatti proposti “in modo suggestivo e fomentando odio”.

“Pertanto – afferma -, reiterando quanto già richiesto nelle comunicazioni del 24 novembre e del 15 dicembre nell’ambito delle sue competenze, le chiedo di procedere ad ogni opportuno e incisivo intervento con la necessaria celerità”. “Si invia tale istanza – scrive anche la rappresentante legale – anche alla procura generale della Corte dei conti e alla Agcom, affinché anche tali autorità possano farsi carico del caso e prendere dovuti provvedimenti nell’interesse della famiglia Orlandi che ritiene che tali servizi abbiano determinato rispettivamente un danno erariale e che abbiano violato la normativa tutela delle comunicazioni”.

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Pino Nicotri