Cronaca

Le foto dell’omicidio di Chiara Poggi sparite dal fascicolo: mancano delle immagini scattate nel villino di via Pascoli

Alcune delle foto scattate nel villino di via Pascoli a Garlasco il 13 agosto 2007, subito dopo l’omicidio di Chiara Poggi, risultano sparite. Mancano all’appello i numeri progressivi degli scatti della fotocamera utilizzata per immortalare la scena del crimine. Un problema da risolvere per la procura di Pavia, che tuttavia non è nuovo, perché la circostanza è già emersa nel processo a porte chiuse il 17 marzo 2009. Ne parla Rita Cavallaro in un articolo su Il Tempo.

All’epoca erano stati gli avvocati di Alberto Stasi a segnalare che gli investigatori non avevano fornito tutta la documentazione fotografica dell’omicidio, dopo essersi accorti che i numeri progressivi dei file saltavano. Motivo per cui la difesa aveva chiesto (invano) ripetutamente agli inquirenti di poterle recuperare. L’avvocato di Stasi aveva sollevato l’eccezione di nullità e inutilizzabilità del materiale. Quelle immagini avrebbero anche potuto rendere ancora più millimetrica la Bpa (Bloodstain pattern analysis), lo studio delle macchie di sangue, effettuata dai Ris di Cagliari, che potrebbe rivelare nuove orme e impronte all’epoca dimenticate.

Le impronte sul pollice di Chiara

Intanto è emerso che sul pollice della mano destra di Poggi è stata individuata una nuova traccia di Dna, ribattezzata con la sigla MDX1 dai Ris di Parma. Un reperto che riapre scenari inediti sull’omicidio avvenuto il 13 agosto 2007. Sulla stessa mano, e in particolare sul mignolo, erano già state isolate tracce biologiche riconducibili ad Andrea Sempio, il nuovo indagato nel caso. Sulla scena del crimine erano stati trovati anche altri tre campioni di origine femminile, a oggi non attribuiti. Il campione MDX1 venne inizialmente classificato come non utile. La menzione compare per la prima volta in una nota tecnica allegata alle attività irripetibili condotte a Parma il 10 settembre 2007. Nella relazione, il consulente del pm, il capitano Alberto Marino, descrive tre tentativi di amplificazione che rivelarono una possibile commistione tra due diversi Dna. Operazioni cui assistette anche il genetista Matteo Fabbri, consulente della difesa di Alberto Stasi.

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Francesca Ripoli