Cronaca

Niente rientro a casa per i figli della famiglia nel bosco, le contestazioni del Tribunale: dal rifiuto del sondino per i bimbi alla protesta della mamma che non si lava

La strada di una soluzione più morbida, come il ricongiungimento “monitorato” dai servizi sociali, viene esclusa dal Tribunale per i minorenni. A impedirla, secondo il provvedimento, è la “notevole rigidità” dei genitori Trevallion, giudicata incompatibile con un percorso di collaborazione efficace. Nelle sei pagine firmate dalla presidente Cecilia Angrisano, vengono nuovamente analizzate le circostanze che conducono, ancora una volta, alla scelta temporanea della casa famiglia per i tre bambini.

Il magistrato sottolinea come il comportamento dei genitori, nei rapporti con le autorità sanitarie e sociosanitarie, mostri un atteggiamento di chiusura difficilmente superabile: “Gli indizi — scrive il magistrato — che si ricavano dalla condotta tenuta dai genitori nelle interlocuzioni con le autorità sanitaria e sociosanitaria e nell’ambito di questo procedimento parrebbero deporre in favore di una notevole rigidità dipendente dai valori ai quali conformano le loro scelte di vita e dell’assenza di competenze negoziali che consentano loro di ottenere i risultati perseguiti e di farlo al minor costo possibile”. In questo quadro, ogni tentativo di compromesso appare destinato al fallimento.

La salute dei bambini come nodo centrale

Un punto decisivo riguarda la tutela della salute dei minori, considerata diritto primario. La giudice richiama episodi concreti che evidenziano l’intransigenza dei genitori, in particolare della madre Catherine. Emblematico è il rifiuto di alcuni trattamenti medici durante il ricovero dei figli per un’intossicazione da funghi.

“Significativo — osserva — appare il rifiuto del sondino naso gastrico (verosimilmente perché fatto di silicone o poliuretano) nel trattamento dell’intossicazione da funghi dei figli in occasione del ricovero in ospedale che denota l’assoluta indisponibilità dei genitori a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali; come del resto necessario insistere perché la madre abbattesse la sua contrarietà necessaria a trattare la seria bronchite con broncospasmo da cui era affetta la più piccola”. Anche l’uso di un antibiotico viene percepito come una minaccia all’equilibrio “naturale” perseguito dalla famiglia, aspetto che, per il Tribunale, non può prevalere sulla sicurezza sanitaria dei bambini.

Casa, stabilità e istruzione

Accanto alla salute, emerge il tema della stabilità abitativa. I genitori avevano promesso: “Miglioreremo la nostra casa”. Tuttavia, secondo la presidente Angrisano, la determinazione a stabilizzarsi resta dubbia, «restando incerta la determinazione dei genitori a stabilizzarsi nella nuova abitazione (il casolare messo a disposizione dal ristoratore chietino, ndr), considerato che già in passato hanno presto abbandonato altra abitazione messa loro a disposizione».

Non meno rilevante è la questione dell’istruzione e delle relazioni sociali. I servizi sociali segnalano “che nell’interazione con gli altri bambini presenti in comunità si denota imbarazzo e diffidenza” e che “il disagio maggiore si può osservare quando si attivano fra loro confronti sia per le proprie esperienze personali che per le proprie competenze”. Resta aperto l’interrogativo se il supporto dell’insegnante Rossella D’Alessandro e l’inserimento nel doposcuola possano davvero colmare queste difficoltà.

Ideologia, conflitto e diffidenza

L’approccio definito “ideologico” della famiglia, con Catherine in prima linea, si sarebbe accentuato proprio dopo l’ingresso dei bambini nella casa famiglia di Vasto. Da lì emergono segnali di ostilità verso le regole igieniche comuni, tra docce evitate e rifiuto dei saponi utilizzati dagli altri ospiti.

I giudici rilevano inoltre una forte insofferenza verso le regole condivise: “La madre pretende che vengano mantenute dai figli abitudini e orari difformi dalle regole che disciplinano la vita degli altri minori ospiti della comunità, circostanza che fa dubitare dell’affermata volontà di cooperare stabilmente con gli operatori nell’interesse dei figli”. A chiudere il quadro è l’atteggiamento conflittuale mantenuto durante il procedimento: “Nel corso del procedimento, a soluzioni concordate del minor impatto possibile, (i genitori, ndr) hanno preferito l’intensificazione dello scontro con gli operatori con reiterate manifestazioni di diffidenza nei confronti dei difensori, reiteratamente sostituiti”. Una diffidenza che, secondo il Tribunale, resta l’unica vera costante.

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Filippo Limoncelli