ROMA – Cassa Depositi e Prestiti, nuova Iri? Sì ad Ansaldo e Telecom, no ad Alitalia. La moltiplicazione dei dossier (Telecom, Ansaldo, Alitalia, ma anche Metroweb, fibra ottica, Hera, utility bolognese) e l’interventismo di Cassa Depositi e Prestiti è sufficiente per gridare alla resurrezione dell’Iri, ovvero del simbolo del carrozzone che buttava soldi pubblici per comprare aziende decotte o fallite?
Qualche dubbio è venuto osservando la frequenza con cui Cdp viene sollecitata per ogni passaggio in cui a turno, sullo scacchiere economico nazionale, si invoca l’intervento pubblico per motivi occupazionali o per salvaguardare l’italianità delle imprese o l’interesse nazionale minacciato.
I primi a scansare con decisione l’accostamento con immagine e funzioni della vecchia Iri sono i vertici della stessa Cassa Depositi e Prestiti, che invitano a considerare la ragione sociale e lo Statuto di una società per azioni a controllo pubblico. L’Iri, è bene distinguere, utilizzava risorse provenienti dalla fiscalità generale, Cdp utilizza quelle del risparmio privato, ovvero quello postale (12 milioni di investitori). Cdp è controllata per l’80,1% dal ministero dell’Economia e per il 18,4% dalle Fondazioni bancarie: è un’istituzione finanziaria con una missione pubblica che non può investire senza rispondere agli azionisti risparmiatori.
No ad Alitalia. La differenza è chiara quando si spiega il rifiuto opposto dal Cdp al presidente del Consiglio Enrico Letta per partecipare alla ricapitalizzazione di Alitalia. Una fonte vicina alla Cassa chiarisce che “nell’ex compagnia di bandiera non potrà essere fatto alcun investimento. Non solo perché la società è in perdita, ma perché non si intravede un piano di sviluppo che possa dare garanzie nel lungo termine”. Insomma l’investimento deve essere in qualche modo remunerativo.
Ecco allora che per il dossier Telecom o per Ansaldo Energia (acquistata da Finmeccanica dal braccio finanziario di Cdp, Fsi) il discorso è affatto diverso.
La rete Telecom. Sul fronte Telecom, la partita che interesse la Cassa riguarderebbe la rete, e non la società in sè, appannaggio ormai degli spagnoli di-Telefonica e del risiko internazionale. Il problema riguarda però lo scorporo. Con la privatizzazione, infatti, la rete di telecomunicazioni non è rimasta nelle mani dello Stato. E, dunque, per potervi investire è ora necessario che l’Authority e il governo trovino un accordo con la società che, per ora, tiene in «ostaggio»l’infrastruttura. A prescindere dalla forma societaria che verrà trovata dalle parti, resta comunque alto l’interesse della Cdp. In questo caso, sarebbe proprio la Cassa a muoversi, perché quello nella rete sarebbe un tipico investimento da fare a debito. (Sofia Fraschini, Il Giornale)