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Il “diversamente tassare” di Tremonti parte dai 200 miliardi degli “agevolati”. La “parabola del commercialista”

di Mino Fuccillo |18 Aprile 2011 16:39

Tremonti (LaPresse)

ROMA – «Siamo tra i pochi paesi in Europa che stanno progettando una riforma fiscale», parola del ministro dell’economia Giulio Tremonti e volontà del premier Silvio Berlusconi. Iniziativa lodevole, giusta e meritevole quella di riformare il sistema fiscale italiano. Tremonti lavora da tempo a questo progetto, quattro commissioni sono insediate ed entro fine aprile dovranno consegnare al ministro i risultati delle loro indagini, seguirà poi un lungo iter parlamentare e non per realizzare effettivamente la cosa. La riforma non porterà però ad una riduzione della pressione fiscale, ma solo ad una sua razionalizzazione: è scritto nero su bianco nelle carte di governo. Anche se una generale “distrazione di massa” distoglie dalla realtà, anzi dall’ufficialità dei numeri di governo, tuto è maledettamente chiaro.

Deficit zero entro il 2014 vuol dire 35 miliardi di euro di minore spesa pubblica o di maggiori tasse, il conto lo ha fatto Bankitalia. Quindi, più tasse non si può, ma meno tasse nemmeno. E allora resta solo un “diversamente tassare” che non sarà facile, per nulla facile. Perché non c’è categoria o “territorio” che non chieda per sè una “fiscalità di vantaggio”. Ma poi si scopre che la “fiscalità di vantaggio” ce l’hanno quasi tutti e da decenni. E che “diversamente tassare” significherà dare ad alcuni e togliere ad altri.

Il Cavaliere ribadisce l’intenzione del suo governo di aprire una grande stagione di riforme, da quella della giustizia a quella istituzionale, senza dimenticare quella tributaria che, nelle intenzioni di Berlusconi, deve semplificare l’attuale sistema. Ma , se tutti lo sanno, nessuno lo ammette, specialmente durante i comizi: la riforma s’ha da fare, ma non significherà meno tasse. Non ci sono i soldi e i margini. Gli impegni internazionali impongono all’Italia di azzerare il deficit sul Pil nei prossimi 3 anni e poi di cominciare a ridurre il mostruoso debito contratto dal nostro paese. Per portare in porto questo progetto bisognerà mettere mano alla fiscalità oggi in vigore, toccare alcuni interessi che sono da anni dati per acquisiti. Bisognerà in primis riorganizzare, se non eliminare, quell’insieme di soggetti che potrebbero essere riuniti nella definizione di “agevolati”. Tutte quelle categorie cioè, che per le ragioni più disparate, godono di benefici fiscali e costano allo Stato, secondo un calcolo fatto dal Corriere della Sera, circa 200 miliardi di euro l’anno. Una delle 4 commissioni citate, quella guidata da Vieri Ceriani, sta studiando proprio come recuperare fondi dagli agevolati. In termini meno prosaici sta lavorando alla riduzione dell’erosione. Berlusconi sa che la riforma che si può fare, nella migliore delle ipotesi, è una semplificazione e una razionalizzazione del sistema oggi in vigore che porti nelle casse dello stato la stessa cifra che vi entra oggi.

Lo ammette, implicitamente, raccontando la “parabola del commercialista”. I cittadini si rivolgono ai commercialisti per pagare le loro tasse ma, alla fine, vista la mole di tasse, esenzioni, agevolazioni, condoni, fiscalità di favore, anticipi, multe, interessi e quant’altro, nemmeno i commercialisti sono certi che i risultati del loro lavoro siano corretti. Di certo il sistema fiscale italiano non è semplice e chiaro, ma nonostante questo i commercialisti potrebbero risentirsi se viene detto loro che non sanno fare il loro lavoro, perché questo in pratica ha detto il premier.

Ma la sostanza è vera, il sistema va semplificato. “vogliamo abrogare tutte queste leggi” ha detto Berlusconi. Quali leggi? Berlusconi non l’ha detto. Ma si parte, non si può che partire da interessi e agevolazioni che si sono accumulati nei decenni. Tremino quindi gli agevolati o comunque si aspeattino di incassare da una parte e rimetterci dall’altra: il saldo finale non può essere una riduzione delle tasse. Tra esenzioni, detassazioni e agevolazioni, regimi di favore fiscale, imposte sostitutive, tassazioni separate, i tecnici incaricati dal ministro Giulio Tremonti di individuare tutte le «scappatoie fiscali» in vigore, ne hanno contate oltre 400. L’obiettivo del governo è quello di sfoltire e razionalizzare i regimi di favore fiscale che sono troppi, e troppo costosi. Solo a livello statale si contano ben 242 forme di agevolazione fiscale, che valgono da sole la bellezza di 142 miliardi.

A fare la parte del leone sono le detrazioni e la riduzione dell’imponibile per il lavoro dipendente, che costano ogni anno oltre 55 miliardi, seguite dalle detrazioni per i familiari a carico, che valgono 12,4 miliardi. Gli altri 70 miliardi sono dispersi in una miriade di «bonus», generosamente concessi dai vari governi che si sono succeduti fino ad oggi a partire dal 1954, anno cui risale la più antica agevolazione fiscale in vigore, quella sulle imposte di registro, ipotecarie e catastali, per la piccola proprietà contadina. Poco importa che nessuno oggi chieda più quell’agevolazione e che quindi abbia un costo reale pari a zero, resta in piedi come tanti altri regimi che si potrebbero tranquillamente definire «inutili», come l’esenzione dell’accisa sui carburanti impiegati per la produzione di magnesio dall’acqua di mare, del 2004, o la detassazione degli utili reinvestiti nel settore cinematografico del 2007, la riduzione dell’Irpef e dell’Irap per tre anni ai docenti e ai ricercatori che rientrano per lavoro in Italia (del 2008 e riproposta nel 2010), o la fiscalità di vantaggio per il Sud prevista dal decreto di luglio dell’anno scorso.

Oltre alle agevolazioni inutili ma a costo zero, ci sono però anche detrazioni costose e ugualmente poco comprensibili. Lo sconto Irpef per le spese funebri, per esempio, che vale 120 milioni l’ anno, l’esenzione Irpef per gli ambasciatori, che ne costa 119, le detrazioni per le spese veterinarie, per il restauro delle case vincolate da una legge del 1939, per le erogazioni a favore dello spettacolo, delle onlus, dei partiti politici, delle associazioni sportive, le esenzioni Irpef per le borse di studio agli studenti e alle vittime del terrorismo, il credito di imposta per i tassisti. E così via, in un tripudio di sconti e bonus. Una tale quantità di esenzioni che finisce addirittura per alterare l’equità del sistema tributario e la progressività del prelievo, senza contare che queste creano discriminazioni tra i contribuenti.

Una riforma vera, in tal senso, sarebbe una buona cosa per l’Italia. Avrebbe però il risultato di scontentare tanti, se non tutti gli interessi particolari, a vantaggio della semplicità e chiarezza collettiva. Avrebbe il vantaggio di tener fede agli impegni internazionali dell’Italia, obbligo che poco paga come pubblicità in termini elettorali, e lo svantaggio di non abbassare le tasse che di certo non è un buon viatico per presentarsi agli elettori, soprattutto per una coalizione che ha sempre promesso di abbassare la pressione fiscale ma che di fatto negli ultimi due anni l’ha aumentata. Può il governo Berlusconi varare una simile riforma? I commercialisti e gli agevolati aspettano ansiosi.

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