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Dossieraggio, cos’è e come si fa? analisi storica e politica di una pratica che agita la politica

di Giorgio Oldoini |16 Dicembre 2023 17:35

Dossieraggio, cos'è e come si fa? analisi storica e politica di una pratica che agita la politica

Dossieraggio, cos’è e come si fa? Discutere in punta di diritto sul caso dell’anarchico Alfredo Cospito è del tutto inutile.

Il fatto che due organi della magistratura possano valutare le medesime circostanze in modo opposto, è ritenuto la prova suprema di un sistema giudiziario efficiente e “indipendente”.

Che ci vogliano dieci anni o più per capire come stanno le cose, gli italiani lo hanno ormai capito per i casi di ordinaria giustizia. 

E’ peraltro opportuno ricondurre l’episodio che ha consentito il rinvio a giudizio di Andrea Del Mastro a quello che è: un tentativo di dossieraggio abortito. L’intervento parlamentare di Giovanni Donzelli al quale avrebbe dovuto seguire la delegittimazione politico-giudiziaria dei deputati del partito democratico, si è rivelato un boomerang. 

Per costruire un dossier occorre professionalità ed esperienza, bisogna disporre di una struttura alle spalle e di ingenti risorse finanziarie, non è possibile fare da soli. 

Alcuni storici riconducono il fenomeno del dossieraggio agli inizi degli anni ottanta. In una intervista del luglio 1981 Berlinguer aveva sollevato la questione morale. Egli denunciava la degenerazione dei partiti, “macchine di potere che si muovono soltanto quando è in gioco il potere”. E riteneva che il partito comunista non avrebbe mai potuto essere intaccato da questa piaga, perché “aveva alle spalle 60 anni di storia”.

Il partito comunista, all’epoca all’opposizione, non aveva dunque altra possibilità che intaccare la credibilità delle istituzioni politiche per via giudiziaria. Per delegittimare l’amministratore di un ente pubblico, bastava raccogliere elementi di reati bagatellari, inviare il dossier alla procura.

E attendere l’esito di indagini basate su ipotesi di reato di carattere “innovativo”, che sconvolgevano una giurisprudenza consolidata da anni.

In quel tempo conoscevo un funzionario di banca (che si era laureato nel mio stesso anno), una “cellula” che raccoglieva informazioni all’interno di una cassa di risparmio.

Egli aveva rapporti personali e frequentazioni con le procure, era temuto e rispettato. Perché fai tutto questo, gli chiesi. La risposta fu disarmante: siamo in guerra e ogni mezzo è buono per sovvertire questo sistema corrotto.

Insomma, il mio collega di studi si sentiva un patriota come Mazzini o Garibaldi. Le attività di dossieraggio ebbero fine quando i vertici bancari furono occupati da questi “militanti” d’area, che evidentemente erano sempre rimasti silenti all’Interno del Monte dei Paschi di Siena, il massimo esempio di mala gestio e corruzione del paese.

I “produttori” di dossier hanno un effettivo potere solamente se l’apertura dell’indagine comporti il classico “passo indietro”.

Un principio contrario allo stato di diritto e anticostituzionale, istillato nella testa di generazioni di italiani da “giuristi televisivi” capaci di ammaliare le masse con slogan etici ad effetto. Il dossieraggio era praticato anche dalla destra di opposizione, vicina ai magistrati della procura romana (il cosiddetto “porto delle nebbie”).

Non parlerò di Mani pulite che avrebbe determinato una perdita economica per il paese pari a dieci Pil consecutivi e la distruzione della nostra credibilità internazionale. 

Non era inoltre vero che il partito comunista fosse stato privato di potere politico. La sinistra ha sempre gestito gli Enti locali, le Fondazioni e le banche e si era impadronita della “cultura”, diventata ripetitiva e incapace di rinnovarsi.

Nelle regioni e nelle città rosse, i Piani regolatori sono sempre stati appannaggio di assessori che distribuivano licenze edilizie a gruppi ristretti. Le stesse opere pubbliche statuali venivano spartite in “equa” misura anche alle cooperative.

Le privatizzazioni (avviate appena dieci anni dopo l’intervista di Berlinguer) furono gestite da uomini di centro sinistra, che favorirono il vecchio capitalismo familiare sull’orlo della crisi e i grandi gruppi finanziari anglosassoni.

Romano Prodi, nel 1999, venne designato alla prestigiosa carica di presidente della Commissione Europea; era stato il centro sinistra a stabilire il rapporto lira/euro.

Insomma, gli eredi del Pci e della sinistra cattolica, non avevano più interesse a destabilizzare un sistema che distribuiva loro tante risorse. Essi hanno ripreso, alla grande, la vecchia tradizione di sicofanti, non appena l’elettorato aveva guardato al centro-destra: l’uomo più dossierato al mondo per via giudiziaria, sarebbe stato Silvio Berlusconi, uno statista che sapeva guardare lontano.

Ho ricordato questi scampoli di storia per rilevare che in Italia, nessuno può pensare di abbracciare una carriera politica se non è nelle condizioni psicologiche di infischiarsene delle inevitabili azioni scandalistiche architettate ai suoi danni, una volta che egli dichiari il proprio schieramento.

E per rilevare che l’elettorato non ha memoria del suo passato, vota secondo gli interessi di “categoria” e considera soltanto gli eventi degli ultimi mesi. L’elettore che vota per una famiglia spirituale, come accadeva in passato, è ormai in via di estinzione.

Tutti i partiti utilizzano le armi del ricatto attraverso le interpellanze parlamentari. Si tratta di un vero e proprio disegno organico, perché l’interpellanza viene ritirata una volta raggiunto lo scopo, quasi sempre dettato da opportunismo o da motivi propagandistici. Si registrano casi di interpellanze nell’interesse di semplici cittadini.

Eccone l’esempio più ricorrente: un imprenditore che ha partecipato ad una gara per una commessa pubblica, aggiudicata a un concorrente, si rivolge ad un avvocato penalista il quale, a sua volta, chiede l’intervento del deputato di zona, che si finanzia così la campagna elettorale. L’interpellanza configura l’ipotesi di “turbativa d’asta”.

Il meccanismo è di solito potenziato dall’intervento di giornalisti che danno ampio risalto alla vicenda. Quando il reato risulta insussistente, l’imprenditore che ha avviato il dossieraggio non può essere chiamato a pagare i danni: non è stato lui a denunciare l’episodio, bensì un rappresentante delle istituzioni che ha avuto sentore della vicenda e che si è reso complice di un tentativo di truffa. 

I tecnici del dossieraggio politico sono molto costosi. Essi devono avere rapporti stabili con i servizi segreti, la fonte principale delle notizie riservate. I casi di spionaggio al servizio di interessi particolari si sono moltiplicati senza soluzione di continuità.

La fabbricazione di dossier ricorrendo alle intercettazioni telefoniche o ambientali, rappresenta uno degli abusi più noti di questi settori deviati delle nostre istituzioni.

Come era accaduto nel caso di Niccolò Pollari (rinviato a giudizio e infine assolto). L’indagine ruotava attorno ad un archivio riservato, contenente dossier su giudici, funzionari e giornalisti, che venne scoperto nel 2006 dalla Procura di Milano nell’ambito dell’inchiesta sul sequestro di Abu Omar.

Alla fine, quei dossier vennero distrutti: si trattò di una vittoria-cardine della Magistratura sulla politica.

Se ponessimo la seguente domanda agli attuali leader: siete disposti a rinunciare alla pratica del dossieraggio per delegittimare i vostri avversari? La risposta, univoca, sarebbe: “vai avanti tu che mi vien da ridere”.

Su queste basi, la perdita di consenso dei partiti e l’attuale forza della magistratura, non derivano dalle indagini giudiziarie, bensì dal basso profilo delle “forze democratiche” che utilizzano gli scandali come surrogato permanente della competizione elettorale.

 

 

 

 

 

 

 

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