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Andora, treno sospeso nuova Costa Concordia? No, Cassandra Crossing ligure

di Alberto Francavilla |23 Gennaio 2014 19:25

Andora, treno sospeso nuova Costa Concordia? No, Cassandra Crossing ligure (foto Lapresse)

GENOVA – L’Intercity 660 Milano-Ventimiglia, motrice e sette carrozze, rimasto appeso tra Andora e Cervo, sulla linea ferroviaria colpita dalla frana alle 12,40 di venerdì 17 gennaio, è la Costa Concordia della Riviera Ligure. La motrice è coricata sul fianco sinistro, le carrozze sono in bilico sui binari, i binari sono sotto la minaccia della frana, che pende dalle villette soprastanti, da un terrazzo sradicato trenta metri sopra, così come la supernave della Costa Carnival era sdraiata sugli scogli dell’Isola del Giglio. Ora l’hanno raddrizzata e la portranno via, non si sa ancora dove, ma sono passati quindici mesi.

Il treno non si sa quando lo porteranno via. Occupa il binario unico di una linea che la caduta della frana ha tagliato di netto, tra la collina e, trentacinque metri sotto, il mare, che si frange sulle pietre grigie di una spiaggetta di pochi metri. Blocca il traffico internazionale che collega l’Italia e la Francia, lungo il Meditterraneo, strangola i collegamenti locali, su cui vive una economia turistica molto importante in Liguria.

Il treno è in parte quasi coricato, come era la Concordia e non c’è un termine di tempo sicuro, entro il quale riusciranno a toglierlo di li, la motrice e le sette acarrozze, per liberare la linea.

Non c’ è un termine, neppure per capire quando quel binario unico, che corre tra Andora e San Lorenzo al Mare, i due comuni costieri “spezzati” dalla frana, tornerà agibile, dopo che ci levano il treno. La frana che ha tranciato la linea incombe ancora, si muove ancora.

Potrebbe anche precipitare e spazzare del tutto una linea ferroviaria che è proprio come il micidiale ponte di Cassandra Crossing, il film famoso che Blitz ha già ricordato nel giorno della sciagura: i binari che precipitano nel vuoto insieme ai vagoni. Non ci sono oramai vite umane in pericolo, come nel film, dopo che i duecento passeggeri del venerdi nero sono stati portati in salvo e i macchinisti feriti nell’impatto, prontamente curati.

Ma ci sono una Regione intera, la Liguria e due provincie, di Imperia e di Savona, che prendono una mazzata tremenda, perché i collegamenti con il resto delle linee italiane e francesi si interrompe e non si sa per quanto.

La Costa Concordia semirovesciata non stoppava un collegamento di trasporti. Interrompeva, semmai, una secolare tradizione marinara e diventava uno spettacolo a un tempo orrido, a un tempo epocale, quasi biblico, di uno scontro tra la natura e l’uomo con i suoi errori. La grande nave, costruita come una cattedrale, un grattacielo, che naviga e per sfida si va a schiantare, con il suo carico umano sugli scogli di una piccola isola-paradiso della costa italiana e fa morire i suoi passeggeri, solo per un vezzo scenografico: sfiorare l’isola, “inchinarsi” a un vecchio capitano che abitava nel villaggio sopra gli scogli.

Il treno Intercity 660 spezza un collegamento vitale per gli abitanti della Riviera e per i percorsi internazionali, che non possono prescindere dalla rapidità degli spostamenti. Quanti lavoratori pendolari, quanti studenti, quanti passeggeri quotidiani, avranno la vita stravolta da Cassanrda Crossing della Riviera?

La Riviera si sbriciola sotto le bombe d’acqua di un inverno amazzonico, che colpisce ogni angolo d’Italia, ma qua affonda una terra “occupata” dal cemento, dissestata dalle speculazioni edilizie. Vogliamo partire da Italo Calvino (con il suo capolavoro, appunto intitolato “La speculazione edilizia”), all’inizio degli anni Sessanta e andare in avanti, tra grandi scrittori, semplici cronisti, geologi, scienziati e contadini? Da decenni sono stati denunciati continui, irridenti, avidi scempi del territorio, ma nulla è mai cambiato e ora la Riviera è in ginocchio.

La sfida qua non è del treno che corre sull’unico binario e fa il suo lavoro di trasporto. Qui la sfida è di chi ha spolpato la collina sulla cui costa il treno corre e non solo questa, ma tutte le colline che si affacciano nell’arco ligure e che dal 1950 in avanti sono state traforate, peggio del formaggio gruviera con i buchi, per chilometri e chilometri quadrati, svuotando la terra, seccandola, tombandola, riducendola nel modo che la frana tra Andora e Cervo ora dimostra, quasi “urlando”, attraverso le foto, i filmati che perfino i droni violanti documentano.

Le villette bianche, penzolanti in mezzo alla colata di fango giallo-marrone, tra i cespugli e quello che è rimasto della vecchia trionfante macchia mediterranea.

Anche la strada Aurelia che corre lungo la costa ligure verso la frontiera francese è interrotta ancora in più punti. E quindi l’unico passaggio consentito per arrivare in Francia è l’Autostrada dei Fiori, la Ventimiglia-Savona, centoventi chilometri di ponti e gallerie nell’immediato entroterra, sulla quale corrono ogni giorno almeno 3500 Tir, una arteria di propietà in maggioranza del potente gruppo Gavio, che fa ricchi utili ogni anno con questi chilometri di asfalto.

O si passa di lì o non c’è niente da fare, a meno che non si voglia viaggiare via mare, come facevano i nostri antenati fino alla fine dell’Ottocento.

La Costa Concordia, con il drammatico tentativo di recuperare i corpi delle vittime rimaste dentro al relitto e con le sequenze del processo al comandante Schettino, diventato il simbolo capovolto dell’arte marinara italiana, della vigliaccheria e della insipienza, è rimasta sulla scena ed ancora c’è per mesi e mesi, inchiodata alle responsabilità di quel comandante e all’immensita della scena incancellabile di una nave che oscura l’orizzonte magico dell’arcipelago toscano. Innaturalmente semirovesciata sugli scogli, invece di profilòarsi all’orizzonte o di viaggiare maestosa sul mare blù.

Quanto resterà sulla scena il Cassandra Crossing della Riviera ligure? A Sanremo, che è la seconda stazione ferroviaria importante verso il confine, dopo quella di Imperia, dove da venerdì 17 non arrivano e non partono più treni, si strappano le vesti, calcolando i danni dell’isolamento. E urlano ancora di più, perchè tra poche setimane, nella mitica città dei Fiori, va in onda il Festival della Canzone, l’Evento degli eventi. Sanremo vive in quei giorni la sua stagionee ruggente, gli alberghi rimasti si riempiono, la città e le sue presunte bellezze si animano, dal teatro Ariston al mitico Casinò vengono spolverati, con una tradizione che affonda negli anni Cinquanta. Certamente gli ospiti, i cantanti, le supersar italiane e internazionali, a partire dal superpresentatore, Fabio Fazio (che è savonese) e dalla sua spalla, l’attrice Luciana Littizzetto e l’immane codazzo di discografici, il circo intero della musica, non hanno bisogno del treno per arrivare sul loro palcoscenico. Ma l’isolamento che il taglio della linea produce peserà anche sulla manifestazione.

Si susseguono vertici e riunioni sul binario maledetto, a Genova in Regione e a Roma, dove il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi e l’amministratore delegato di Rfi, Mauro Moretti, hanno preso in pugno un’emergenza che fa impallidire ogni sforzo italiano per tenere il passo dell’Alta velocità ferroviaria.

A che servono le Frecce Rosse che collegano i nodi italiani da Nord a Sud se in Liguria c’è il buco nero di un binario unico, roba da vecchio Far West? Una vera vergogna di fronte all’Europa e ai suoi corridoi ferroviari. Gli svizzeri di fronte alle nostre lentezze ci vogliono finanziare le tratte in ritardo. I francesi ora ci manderanno al diavolo: chi arriva da Nizza deve tornare indietro.

I tempi di recupero e di ripristino della linea si allungano ogni giorno e sono oramai fissati in almeno due mesi. I sindaci del territorio, come il giovane Mauro Zoccarato di Sanremo, che è il più toccato dal trancio della linea, levano alte grida, perchè vedono profilarsi non solo il danno immediato, ma la prospettiva di un disagio diffuso per le popolazioni della costa, che non potranno più pendolare.

E gli studenti, che hanno la loro scuola a Imperia o a Sanremo e abitano “dall’altra parte” della frana, come faranno? E i flussi turistici che arrivano dal Nord Ovest, i treni da Torino e Milano, bacino storico della Riviera Ligure di Ponente?

I treni merci che correvano lungo la linea, alleviando un po’ il traffico autostradale, dovranno fare il giro largo, passando per i valichi alpini, ma quale sarà la ricaduta economica, il costo di queste deviazioni?

I sette vagoni restano per ora sui binari, in attesa che l’operazione recupero parta, ma non esiste ancora un piano strategico e non si sa chi si incaricherà di mettere le mani sulla frana e chi rimuoverà il terrazzo sospeso come un vaso di fiori già rotto sul balcone, pronto a scivolare da basso. La vulnerabilità della linea e le responsabilità di chi ha lasciato le cose a quel punto sono di una evidenza quasi choccante. Il procuratore capo di Savona, Gianantonio Granero, uno dei magistrati che nel 1983 fece esplodere una delle prime Tangentopoli italiane, arrestando l’alllora presidente della Regione liguria Alberto Teardo, socialista, ha sorvolato la frana con un elicottero e poi ha emesso quella che è già una sentenza: “Ho visto la frana dall’alto e l’impressione è che si tratti più dell’opera dell’uomo che del fato.”

Un piano intero del palazzo comunale di Andora è stato sequestrato dall’autorità giudiziaria, che voleva scoprire che ha concesso i permessi di costruzione delle villette sulla collina della vergogna ferroviaria. Si tratta di operazioni immobiliari anni Settanta, ma il terrazzo che incombe è più recente. E il fronte della frana è di 300 metri. E le ferrovie si sono già rifiutate di rimuovere il treno, perchè il terreno della frana non è ferroviario. Chi mette, dunque, in sicurezza la frana?

I privati, proprietari delle villette, che quel venerdì 17 non erano, per fortuna loro, a casa? Ci vorrebbero anni. E quanti costoni di collina ligure, savonese e imperiese, sono nelle stesse condizioni, lungo il percorso scandalosamente a binario unico dei 19 chilometri tra Andora e san Lorenzo al Mare?

La Costa Concordia nei primi giorni dopo la sciagura preoccupava i soccorritori perchè non si sapeva se la sua stabilità di relitto “inchinato” si sarebbe interrotta, sprofondanddo il suo immane scafo tutto in mare e occludendo per sempre il Giglio. Il “relitto” dell’Intercity 660 pende allo stesso modo, ma bisogna toccarlo al più presto perchè la Liguria, un pezzo di Liguria, rischia di soffocare.

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