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Berlusconi, principio e fine del rebus italiano, tra Fini e la Clinton, Obama e Putin

di Marco Benedetto |4 Dicembre 2010 9:33

Il rebus italiano ha il sapore della commedia e i temi della tragedia.

Il protagonista è Silvio Berlusconi. Lo scenario, che purtroppo è reale, la storia di questo mezzo secolo e il suo epilogo.

I destini suo e nostri sono incrociati in modo perverso quanto inesorabile.

Quelli che stanno sul ponte di comando, inclusi Bersani, gli altri capi della sinistra, i capi del sindacati ne sono consapevoli e per questo si muovono con estrema prudenza. Anche chi, come Fini, ha scelto questo momento per saldare una serie di conti anche personali con Berlusconi, ci va cauto quando il gioco condotto con inesorabile spregiudicatezza rischia di portare alla caduta libera.

Berlusconi ha forzato la mano al destino come è nel suo carattere, che è la forza e la debolezza di ogni giocatore, e ha superato il punto di rottura. Questo vale soprattutto sul piano dell’immagine e su quello internazionale soprattutto e mai come questa volta il prezzo di un disastro in apparenza solo virtuale può essere molto salato per tutti noi.

In Italia Berlusconi ha fatto poco o nulla, in aperta smentita del slogan da kit del venditore di Publitalia che recita, ormai come una giaculatoria da vecchia beghina, il governo del fare.

Certo va detto subito che è difficile attribuirgli colpa della recessione mondiale ha dato un brutto colpo alla flessibilità finanziaria pubblica italiana e l’attuale derivata negativa della nostra posizione sui mercati internazionali spiega l’estremismo rigoristico del custode della cassa nazionale Giulio Tremonti. Ciò ha messo le ganasce alla capacità di mantenere impegni come la riduzione delle tasse o di elargire soldi in libertà (a parte gli interventi dei carabinieri su operazioni immobiliar celebrative come quelle dell’unità d’Italia, peraltro parto della precedente maggioranza di sinistra).

Ingiusto, peraltro, è che Berlusconi si attribuisca il merito di una performance socialmente decorosa dell’Italia, perché essa dipende da un assetto dato nel corso di mezzo secolo dalle “convergenze parallele” tra Dc e Pci in materia.

In parte Berlusconi è stato anche paralizzato, ma solo nell’ultimo periodo e qui entriamo   nelle colpe che gli si possono attribuire, dalla rottura con Fini, che a sua volta ha dato il peggio trasformando in un ruolo tribunizio sguaiato e partigiano la terza carica dello Stato, che era stata servita con onore da Sandro Pertini e con sussiegosa dignità nell’avvicendamento tra Nilde Jotti e Irene Pivetti.

Non che in passato chi l’ha occupata non l’abbia usata tatticamente nell’interesse di parte, ma sempre con ossequio delle convenienze formali che distinguono un consesso civile da uno sguaiato dibattito televisivo del pomeriggio: è scolpito nella mia memoria come Luciano Violante dichiarò inammissibile un emendamento presentato da parlamentari della sinistra per limitare la pubblicità di Mediaset, così dando un altro grave colpo alle speranze dei quotidiani. Ma lo fece da suo pari, subdolamente, sotto traccia, salvando le apparenze, ci diede una coltellata, ma lo fece con decoro.

Berlusconi invece si è dovuto misurare con un Fini imbarazzante e un po’ squadrista che gli ha reso la vita parlamentare sistematicamente difficile. In extremis è passata la riforma dell’Università probabilmente perché era troppo tardi per Fini per tirarsi indietro, dopo che i suoi avevano lasciato parecchie impronte sul progetto, sarebe stato un boomerang elettorale.

Se però andiamo a cercare cosa ha scatenato la schiumante rabbia di Fini ecco che cominciamo a trovare un cesarismo che per nostra fortuna non ha generato un dittatore se non negli atteggiamenti dentro e fuori il Pdl. Se guardiamo il film dalla fusione Fi-An a oggi è evidente l’impazienza, al limite del fastidio, con cui Berlusconi tratta Fini: proprio come, dopo che hai firmato il contratto, un  venditore si allontana frettoloso da te,  il sorriso smagliante si trasforma in ghigno, dagli occhi evapora la luce ammaliante e subentra un duro riflesso.

Ma l’opposizione di Fini è stata un fenomeno dell’ultima ora, per usare un termine in voga ai tempi di Mussolini. La causa principale della inazione di Berlusconi è però nel fatto che l’intera attività legislativa è stata imperniata sui problemi parte personali parte aziendali di Berlusconi nei confronti dei pubblici ministeri, dei giudici e dei giornalisti. In realtà il distinguo è una astrazione, perché nel corpo mistico della sua divinità Berlusconi non distingue le singole parti. In principio era Lui, poi venne la Tv, poi vennero i Comunisti che gliela volevano portare via. In questa visione da Genesi, riscritta da un Giovanni in doppiopetto blu e cravatta a pallini, l’ingresso in politica di Berlusconi è un atto di necessità, è il Supremo che surroga i vari angeli e arcangeli (i politici di cui si è servito da sempre e non solo Craxi) nella lotta contro il Male Comunista.

Se questa è la chiave per interpretare la politica di Berlusconi, il passo logico successivo è stato fare ruotare intorno a se stesso, trasformato in vittima, ogni atto significativo. Prendiamo il caso della Giustizia. Non è stata affrontata come una riforma necessaria all’interesse di tutti gli italiani, ma come un castigo divino da imporre ai diavoli ribelli. Il risultato è tragico, la riforma non ci sarà, contribuendo a perpetuare così il paradosso italiano delle lunghe carcerazioni dei presunti innocenti e delle inesistenti pene per i conclamati colpevoli.

Lo stesso silviocentrismo ha trasformato in un vano sforzo rabbioso anche il tentativo di imporre un “bavaglio” alla stampa. Qui più che altrove cade il mito di Berlusconi che outsmart sempre tutti. Outsmart è una espressione molto efficace per rappresentare uno come Berlusconi, che, si sarebbe detto una volta, ne sa una più del diavolo e anticipa sempre gli avversari, superandoli non solo in astuzia, ma anche in brillantezza, outsmart, appunto.

Invece Berlusconi è riuscito a impantanare in una lotta per la democrazia quello che era in sostanza, per una parte, un inasprimento di sanzioni che sono nei codici italiani da sempre, anche se mai applicate per la loro inefficacia e erano già a metà strada di un percorso parlamentare avviato dal precedente governo di sinistra. Per una parte, è a che vero, la nuova legge portava a un imbavagliamento non tanto dei giornali quanto della autorità giudiziaria e su questo si possono fare i peggiori pensieri. Ma, anche in questo caso, all’origine del fallimento c’è l’eccesso di protagonismo, il rifiuto di dovere dividere con l’avversario un qualunque merito, anzi anche un biasimo.

Il massimo del peggio lo ha dato sullo scenario internazionale, trasformandosi in “figure of fun”, personaggio da barzelletta. Anche in questo caso probabilmente ha giocato il senso di invincibilità che certamente verrebbe a tutti noi se avessimo inanellato tanti successi professionali, ci fossimo risollevati dall’abisso (ai tempi di Gardini, che invece ci sprofondò in eterno), fossimo diventati dal nulla primo ministro all’età in cui i più passano a coltivare l’orto.

Anche la frenesia erotica senile che tanto ha contribuito a aumentare tirature e traffico internet rientra in questo schema. Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu. Sono invincibile, perché più smart di tutti, e ora anche insostituibile.

La grave situazione finanziaria italiana, che dovrebbe essere all’origine di un comportamento acconcio, viene trasformata da Berlusconi in un elemento di ricatto verso i suoi oppositori: dopo di me i diluvio, ma quello universale.

I “tweet” di Wikileaks mettono in piazza quello che i più malpensanti, o solo pensanti, di noi avevano sempre sospettato: affari personali intrecciati sotto i legami politici con gente della risma di Putin, Erdogan, Gheddafi. Si tratta, è ben vero, di cose che sono sempre successe, solo che chi ha per qualche ragione avuto a che fare con la capacità creativa, senza limiti di pregiudizio né confini filosofici, di Berlusconi, si è spinto a immaginare impensati e indicibili scenari. Questa volta, però, a pensar male è la burocrazia americana del Dipartimento di Stato, una confraternita così intrecciata, ramificata e potente che difficilmente spara a vuoto.

Questi sospetti probabilmente sono all’origine della circolare di Hillary Clinton che fa la sua rogatoria, con le sue ambasciate, dopo che l’Italia, nei consessi internazionali, invece di stare allineata e coperta col gioco americano, giusto o sbagliato, nel Caucaso, ha messo in fallo laterale per non fare subire il gol alla Russia.

Il rapporto con Putin si è fatto più intenso in coincidenza con la presidenza di Barack Obama, il cui esordio è stato salutato da Berlusconi con la clamorosa gaffe dell’abbronzato, imperdonabile fuori dei bar notturni.

Obama e la Clinton non sono boy scout, lui è cresciuto nelle strade di Chicago,  che danno una pista alle borgate di Palermo, lei, appena laureata, era nel gruppo di legali che determinò la caduta del presidente Richard Nixon. Sono gente dura, spietata, che gioca in maniche di camicia e lascia i capelli in caduta libera, niente blazer, trapianti o cerone.

Per questo il Governo italiano venerdì 31 novembre sembrava un termitaio impazzito, guidato da Franco Frattini, ministro degli Esteri incapace di una reazione emotiva nemmeno quando una fidanzata mette in piazza i suoi fatti di letto a colpi di sms.

Quelli del girone più interno di Berlusconi sanno molto più e molto meglio di noi cosa può venir fuori e hanno perso la testa.

Purtroppo se l’Italia scivola nel caos a pagarla saremo tutti, con tasse ancora più alte, servizi più  limitati per fronteggiare interessi sul debito pubblico sempre più alti.

Questo, come scritto all’inizio, spiega la cautela degli avversari di Berlusconi e probabilmente spiega l’imbarazzata pantomima della Clinton esibita da tutte le tv di regime in apertura mercoledì sera. Sembrava di essere a scuola, quando un bambino, giustamente insultato da un compagno, corre dalla maestra e si lamenta. La maestra accarezza distratta il piangente allievo e rimprovera, con tono complice, il resto della classe: “Non dovete avercela con lui, è così bravo”. E il bambino Silvio, tutto gongolante, si guarda attorno e gode il suo finto trionfo.

Berlusconi appariva tronfio come un tacchino, ma se trovate una registrazione guardatela bene e controllate la Clinton, i suoi occhi, il suo eloquio impacciato, la mezza papera quando non ricorda più le parole.

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Intanto, spietati, i leaks continuano a uscire, proprio come le perdite, di un recipiente ammorbante.

Dobbiamo solo essere consapevoli che in gioco non c’è solo il destino personale, politico e forse aziendale di Berlusconi, ma c’è anche il nostro.

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