Berlusconi, principio e fine del rebus italiano, tra Fini e la Clinton, Obama e Putin

di Marco Benedetto
Pubblicato il 2 Dicembre 2010 - 10:50| Aggiornato il 4 Dicembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il rebus italiano ha il sapore della commedia e i temi della tragedia.

Il protagonista è Silvio Berlusconi. Lo scenario, che purtroppo è reale, la storia di questo mezzo secolo e il suo epilogo.

I destini suo e nostri sono incrociati in modo perverso quanto inesorabile.

Quelli che stanno sul ponte di comando, inclusi Bersani, gli altri capi della sinistra, i capi del sindacati ne sono consapevoli e per questo si muovono con estrema prudenza. Anche chi, come Fini, ha scelto questo momento per saldare una serie di conti anche personali con Berlusconi, ci va cauto quando il gioco condotto con inesorabile spregiudicatezza rischia di portare alla caduta libera.

Berlusconi ha forzato la mano al destino come è nel suo carattere, che è la forza e la debolezza di ogni giocatore, e ha superato il punto di rottura. Questo vale soprattutto sul piano dell’immagine e su quello internazionale soprattutto e mai come questa volta il prezzo di un disastro in apparenza solo virtuale può essere molto salato per tutti noi.

In Italia Berlusconi ha fatto poco o nulla, in aperta smentita del slogan da kit del venditore di Publitalia che recita, ormai come una giaculatoria da vecchia beghina, il governo del fare.

Certo va detto subito che è difficile attribuirgli colpa della recessione mondiale ha dato un brutto colpo alla flessibilità finanziaria pubblica italiana e l’attuale derivata negativa della nostra posizione sui mercati internazionali spiega l’estremismo rigoristico del custode della cassa nazionale Giulio Tremonti. Ciò ha messo le ganasce alla capacità di mantenere impegni come la riduzione delle tasse o di elargire soldi in libertà (a parte gli interventi dei carabinieri su operazioni immobiliar celebrative come quelle dell’unità d’Italia, peraltro parto della precedente maggioranza di sinistra).

Ingiusto, peraltro, è che Berlusconi si attribuisca il merito di una performance socialmente decorosa dell’Italia, perché essa dipende da un assetto dato nel corso di mezzo secolo dalle “convergenze parallele” tra Dc e Pci in materia.

In parte Berlusconi è stato anche paralizzato, ma solo nell’ultimo periodo e qui entriamo   nelle colpe che gli si possono attribuire, dalla rottura con Fini, che a sua volta ha dato il peggio trasformando in un ruolo tribunizio sguaiato e partigiano la terza carica dello Stato, che era stata servita con onore da Sandro Pertini e con sussiegosa dignità nell’avvicendamento tra Nilde Jotti e Irene Pivetti.

Non che in passato chi l’ha occupata non l’abbia usata tatticamente nell’interesse di parte, ma sempre con ossequio delle convenienze formali che distinguono un consesso civile da uno sguaiato dibattito televisivo del pomeriggio: è scolpito nella mia memoria come Luciano Violante dichiarò inammissibile un emendamento presentato da parlamentari della sinistra per limitare la pubblicità di Mediaset, così dando un altro grave colpo alle speranze dei quotidiani. Ma lo fece da suo pari, subdolamente, sotto traccia, salvando le apparenze, ci diede una coltellata, ma lo fece con decoro.

Berlusconi invece si è dovuto misurare con un Fini imbarazzante e un po’ squadrista che gli ha reso la vita parlamentare sistematicamente difficile. In extremis è passata la riforma dell’Università probabilmente perché era troppo tardi per Fini per tirarsi indietro, dopo che i suoi avevano lasciato parecchie impronte sul progetto, sarebe stato un boomerang elettorale.