Carro funebre Casamonica. I veri mali: sicurezza, tasse e…

di Marco Benedetto
Pubblicato il 24 Agosto 2015 - 11:30 OLTRE 6 MESI FA
Il carro funebre di Casamonica emblema dei mali d'Italia

Il carro funebre di Casamonica: emblema dei problemi dell’Italia

Quanta indignazione per il sontuosissimo funerale di Vittorio Casamonica. Non dimentichiamo che era un funerale di zingari. Basta riguardare il capolavoro di Emir KusturicaIl tempo dei gitani” per capire che è nella loro cultura, sono fatti così. Se li accettiamo in strada mentre ci tormentano per l’elemosina, accettiamoli anche nelle loro manifestazioni di cordoglio. Non è negandone il nome, come l’ipocrisia dominante vorrebbe, che si cancellano millenni di vita.

Il problema dei Casamonica non è il funerale, ma la capacità di gruppi organizzati, militarizzati, per i quali la legge è un optional, di dominare pezzi della nostra vita. Non è il funerale che mi scandalizza, ma che Gianni Alemanno, quando era sindaco di Roma e Giuliano Poletti, quando era capo delle Coop, non abbiano obiettato a andare a cena con Luciano Casamonica e che Poletti, una volta uscite le foto, non si sia dimesso da ministro. Luciano Casamonica era incensurato, quindi si poteva fare? Anche il funerale non ha violato leggi, tranne forse l’elicotterista. E allora perché tutto questo caos? Se si può cenare con uno del clan tanto in odore di zolfo, perché non si può seppellire come voleva lui il leader di quel clan?

Il problema non è il funerale dei Casamonica, è che tutti si agitano per quel funerale e prendono per ineluttabile il fatto che un angolo di Roma sia stato trasformato in fortino con telecamere e vedette, una roccaforte dello spaccio, come Scampia, si è letto e scritto e su questo non ho letto un comunicato di protesta. Spacciare si può, seppellire in pompa magna no.

Il polverone dei Casamonica sembra quasi studiato a tavolino per distrarci dal fatto che l’Italia cade a pezzi: alcune delle più grandi squadre di calcio, Roma, Milan, Inter hanno padroni che vengono dagli Usa, dalla Thailandia, dall’Indonesia, alcune delle più grandi aziende hanno importanti azionisti cinesi (Snam, Pirelli), che si sono insinuati anche in banca (Intesa San Paolo); quando va bene sono francesi (Telecom, Mediobanca). Francese è diventata anche Parmalat, vero crimine di Berlusconi, che per questo avrebbe meritato l’esilio e la damnatio memorie piuttosto che per le sue intemperanze sessuali.

Ma l’Italia è Paese di paradossi. C’è il ministro dell’Interno Angelino Alfano che ha il coraggio di dire che “L’Italia è un posto sicuro“. Per lui che gira con la scorta davanti e dietro lo è di sicuro. Per 60 milioni di italiani, tolti i malavitosi che invece vengono qui anche dall’estero convinti dell’impunità, lo è un po’ meno.

Ora c’è chi dice che lo scandalo funerali Casamonica sia stato montato per fare fuori Ignazio Marino, sindaco di Roma. quando basta andare in giro per Roma per redigere un elenco di colpe chilometrico, dalla paralisi del traffico per i Fori pedonali alla guerriglia con i Vigili Urbani che ha lasciato le strade della Capitale in mano a questuanti, saltimbanchi, scippatori.

Sotto il polverone ci sono i problemi veri, gli insegnanti che vogliono la scuola sotto casa e un Ministero dell’Istruzione incapace delle più semplici decisioni organizzative, le tasse che ci devastano, il peronismo dilagante, 5 miliardi di euro della nautica al vento della vanità di Mario Monti, centinaia di leggi bloccate dai burocrati e via via l’elenco è infinito.

C’è anche quello della libertà di stampa. La gente ci detesta, lo ha sempre fatto ma non può fare a meno di noi. Ci davano dei bugiardi ma ci leggevano con avidità. Si comprano meno giornali ma con internet il consumo delle notizie è aumentato. I toni contro i giornalisti si sono fatti più aggressivi negli ultimi tempi, ma la linea l’ha data Beppe Grillo, vate del secondo (primo?) partito in Italia, quello del “vaffanculo”.

Come scrive Giuseppe Giulietti, l’aggressione a Alfonso Iuliano di Agorà, è l’ultimo caso di violenze contro giornalisti, in una lista sempre più lunga. Giulietti va oltre: non ci sono le violenze fisiche, ci sono anche quelle morali, come l’uso delle querele a scopo intimidatorio con richieste fuori del mondo che di solito i giudici respingono e riducono per mille.

C’è ancora di più, c’è la legge sulla diffamazione fresca fresca che rischia di mettere in ginocchio tanti piccoli siti. Purtroppo vi siete persi sulle rettifiche e non avete visto la vera minaccia, quella economica.

In autunno deve rivederla il Senato. Piero Grasso, ultimo presidente di un Senato che non ci sarà più, si distolga dallo specchio in cui si contempla e alzi la bandiera della libertà. Introduca la norma sulle querele temerarie che auspica Giulietti e definisca per i siti internet la sede del processo come per la carta stampata.

Anche Sergio Mattarella farebbe meglio a lasciar da parte la stucchevole demagogia del pauperismo del treno e dell’aereo di linea, che probabilmente ci costano in scorte e ritardi molti più del carburante dell’aereo di Stato. Farebbe invece bene a respingere la legge sulla diffamazione. Al suo esordio da Presidente della Repubblica parlò della libertà di stampa come di un valore fondamentale della democrazia. Le parole costano poco: compia un atto conseguente.

Un pensieri ai giornali di sinistra. Avete fatto le battaglie con i post it contro Berlusconi e per i giudici, ma ora che Berlusconi non c’è più vi siene accasciati spompati, rassegnati. Berlusconi non era il male ma solo una faccia del Male, impersonato dal Potere, quello vero, che fa paura.

Non crediate di esorcizzarlo con un po’ di can can contro un funerale zingaro. Il Male del Potere è dappertutto e i politici, anche quelli del vostro partito, sono i suoi Farfarelli.