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Emanuela Orlandi, 40 anni dopo, la moglie di Agca smonta la pista bulgara, l’ombra dei servizi di mezzo mondo

di Pino Nicotri |21 Giugno 2023 13:38

Emanuela Orlandi, 40 anni dopo, la moglie di Agca smonta la pista bulgara, l'ombra dei servizi di mezzo mondo

Emanuela Orlandi, domani è il 40 esimo anniversario dalla scomparsa, il 22 giugno 1983.  Il suo destino è sempre avvolto dal più fitto mistero, in cui si è inserita una serie di falsità, mitomanie e depistaggi.

Pino Nicotri ha intervistato Elena Rossi, la moglie italiana di Alì Agca, il turco che sparò, senza ucciderlo, a papa Wojtyla Giovanni Paolo II, figura costante nella leggenda di Emanuela.L’intervista è molto lunga (oltre 7 mila parole). La abbiamo divisa in 6 puntate, ecco le prime 4, uscite on line a partire da domenica 11 giugno

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Pino Nicotri continua l’intervista e chiede

Oltre alle promesse, Agca ha ricevuto anche minacce perché avvalorasse la pista bulgara?

Allo scopo di ottenere la sua collaborazione contro i Servizi bulgari, venne pesantemente minacciato di morte. Un giorno, al suo rientro in cella ad Ascoli Piceno, trovò un biglietto dove, tra l’altro, c’era scritto: «Ricordati che sei obbligato a mangiare quello che noi ti portiamo! » Quello fu un vero atto di terrorismo psicologico che lo fece cadere in un profondo stato di angoscia.

Era completamente solo, senza un soldo e privato anche di un’assistenza legale regolare poiché l’avvocato d’ufficio assegnatogli era legato al Sisde e non faceva certo gli interessi del suo cliente, bensì solo di un certo sistema, al quale obbediva. 

Gli consigliò sempre di insistere sulla pista bulgara perché rappresentava la sua unica speranza di uscire dal carcere, e gli parlò spesso di Emanuela e di Mirella, commentando insieme a lui ogni comunicato e telefonata dei rapitori che arrivava.

E sempre tutti gli dissero che Mirella ed Emanuela stavano bene, sotto la protezione del Papa in un convento di suore. Però dal momento in cui il telefonista annunciò che per Mirella non c’era più nulla da fare, smisero di parlargli di lei, limitandosi alla sola Emanuela. Era successo qualcosa o era solo una messinscena tale per cui gli interlocutori di Ali si adeguavano allo show mediatico dei rapitori? Sinceramente non lo sappiamo.

Mi può dire qualcosa in più sulla creazione della cosiddetta pista bulgara?

Vorrei richiamare la sua attenzione e quella dei lettori su di un passo tratto dal libro dell’ex giudice Ferdinando Imposimato, Attentato al Papa: «Il 28 giugno, appena sei giorni dopo il sequestro di Emanuela, prima ancora che il rapimento diventi ufficiale e in assenza di qualsivoglia rivendicazione, Agca, fino a quel momento decisamente collaborativo con le autorità italiane, sembra aver mangiato la foglia.

Improvvisamente cambia atteggiamento e comincia a demolire la stessa pista bulgara da lui costruita. Davanti a Martella, Agca fa marcia indietro. Nega di aver mai conosciuto Rossitza Antonova, moglie di Sergej, nega di essere mai stato a casa di Antonov, ritratta l’accusa rivolta ai bulgari di aver ordito l’attentato fallito del gennaio 1981 contro Walesa. Cosa è accaduto? Un fatto molto semplice.

Prima di chiunque altro, Agca ha capito che la scomparsa di Emanuela Orlandi è strettamente legata all’attentato al Papa e soprattutto alla sua decisione di collaborare con la magistratura italiana nel ricostruire la pista che porta ai mandanti della fallita eliminazione di Giovanni Paolo II». 

Però Agca a un certo punto ha fatto marcia indietro, cominciando a demolire un po’ tutto.

Innanzitutto Ağca non cominciò a “demolire la pista bulgara” ma semplicemente a ritrattare o smentire particolari inesatti che gli erano stati suggeriti. Il prof. Consolo, avvocato di Antonov, aveva scoperto, conducendo una sua personale indagine, che la moglie di Antonov non si trovava a Roma nel giorno indicato da “Ali” bensì a Sofia.

E che nell’appartamento di Antonov non era presente il tramezzo indicato da Ali, ma che era invece presente in tutti gli altri appartamenti dell’edificio. Il finto attentato a Walesa dovette ritrattarlo perché considerato da qualcuno “troppo fantasioso” e quindi potenzialmente invalidante dell’intera pista bulgara.

Inoltre, il capo della CIA a Roma aveva espresso parere negativo sulla questione poiché la simulazione di un attentato al sindacalista polacco avrebbe chiamato in causa troppo direttamente i Sovietici e questo avrebbe potuto comportare conseguenze gravi.

Poi, domando io, un povero detenuto, in stretto isolamento per tutto il tempo della seconda istruttoria, come avrebbe fatto, di grazia, a “mangiare la foglia” se qualcuno non gliel’avesse fatta mangiare di proposito?! Dobbiamo solo usare un pochino di quell’intelligenza che madre natura ci ha dato…..

Suggerimenti da parte dei nostri servizi segreti?

Ripeto: a parte D’Ovidio, Ali Ağca ha incontrato agenti dei Servizi segreti solo una volta durante tutto il periodo della detenzione in Italia: Petruccelli e Bonagura il 30 dicembre 1981 poiché lui stesso ne aveva fatto richiesta. Il generale Lugaresi del Sismi dichiarò al processo di avere prestato malvolentieri un suo uomo, il maggiore Petruccelli, all’Autorità inquirente (ripete questo termine almeno 20 volte) poiché gli era pervenuta richiesta in tal senso dal ministro dell’Interno Rognoni.

Si era mosso Rognoni in persona per accontentare le richieste di Ağca! I due agenti non gli suggerirono i nomi dei tre bulgari, gli portarono solo una rassicurazione dall’alto che se avesse accusato i Bulgari avrebbe ottenuto la grazia presidenziiale per mezzo dell’intercessione del Papa.

Appena usciti dal colloquio con Ali, i due agenti, andarono a riferire direttamente al giudice Martella che conduceva l’inchiesta. Questo è un dato processuale. (Radio Radicale, Processo per l’attentato al Papa). Ali non incontrò mai né Francesco Pazienza né il generale Pietro Musumeci !

Nel primo caso fu Ali a mentire, ispirato da un articolo di giornale tratto da Covert Action che parlava di Pazienza e della Sterling, magicamente materializzatosi nella sua cella.

Mentre nel secondo, fu Giovanni Pandico, ex camorrista “pentito”, a mentire, certamente imbeccato per allontanare i sospetti dai veri “soffiatori”.

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