I 33 “onorevoli” che vogliono la pensione-vitalizio a 50 anni

di Riccardo Galli
Pubblicato il 20 Aprile 2012 - 15:36 OLTRE 6 MESI FA

Lapresse

ROMA – Roberto Rosso e Adriano Paroli, Pdl. Elisabetta Castellazzi, Franca Valenti, Roberta Pizzicara, Diana Battaggia, Enrico Cavaliere, Oreste Rossi, Alberto Bosisio, Francesco Stroili, Edouard Ballaman, Flavio Bonafini, Fabio Padovan, Salvatore Bellomi, Roberto Asquini, Giulio Arrighini, Paolo Tagini, Romano Filippi, Claudio Frontini e Mauro Bonato, leghisti ed ex leghisti. Ugo Malagnino e Giovanni Saonara, ulivisti. Emanuela Cabrini, Maria Gabriella Pinto, Michele Stornello, Vittorio Lodolo D’Oria e Paola Martinelli, forzisti. Domenico Basile, Mario Pezzoli e Daniele Franz, An. Martino Dorigo di Rifondazione, Mario Michelangeli dei Comunisti italiani. Sergio Andreis dei Verdi.

Chi sono? Sono i 33 parlamentari o ex parlamentari – inizialmente 35, poi il leghista Daniele Molgora e Giorgio Jannone del Pdl hanno ritirato i loro ricorsi – a cui la riforma delle pensioni non è proprio andata giù. La loro s’intende. Sono quella pattuglia bipartisan, anche se fortemente sbilanciata in zona leghista, che contro la riforma della loro pensione ha presentato ricorso. Tra una ventina di giorni sapranno cosa ne sarà, del loro vitalizio. Tre settimane circa infatti il tempo in cui dovrebbe arrivare la sentenza, e a pronunciarla sarà il Consiglio di Giurisdizione della Camera, presieduto da Giuseppe Consolo (Fli) in cui siedono anche Ignazio Abrignani (Pdl) e Tino Iannuzzi (Pd). Sentenza quindi che sarà scritta dai colleghi dei ricorrenti.

Ovviamente è legittimo rimanerci male e protestare perché è stata cambiata la norma sulle indennità dei parlamentari, soprattutto se si è parlamentari. Prima si potevano percepire già a 50 anni, e ora slittano a 60 o 65, e per di più dal 2012 saranno erogate col sistema contributivo. Stona però, in tempi di austerity e tagli, di crisi economica e crisi della politica, che proprio dei parlamentari facciano le barricate pur di non ridimensionare quello che è un privilegio, prima che un diritto. Chi altri infatti poteva sperare di avere la pensione a 50 anni con pochissimi anni di contributi? Nessuno ovviamente. E se questi 33 fanno ricorso, come dovrebbero comportarsi tutti gli italiani che fanno certamente lavori più usuranti rispetto al deputato o al senatore che hanno visto allontanarsi il loro traguardo pensione? E i cosiddetti esodati? Saranno certo scesi in piazza a manifestare, “i 33 della pensione ad ogni costo”, a fianco di tutti questi lavoratori appena citati. O forse no… Forse non difendono quello che ritengono un diritto leso, ma quello che sanno essere un privilegio e null’altro. E lo fanno allora magari sottotraccia. Tra una ventina di giorni sapremo, e sapranno, cosa deciderà la giunta. Intanto però è interessante conoscere i 33, anche perché tra le loro si nascondono storie davvero esemplari.

E la più esemplare è certamente quella di Martino Dorigo, che nel ‘95 era a favore della riforma delle pensioni, non la sua evidentemente, e ruppe perciò con Bertinotti, e ora contro la riforma presenta ricorsi. Folgorato sulla via della pensione. Al suo fianco però non certo statisti, la pattuglia dei 33 si distingue per l’assenza di grandi nomi, composta per lo più da personaggi che non passeranno certo alla storia per le loro opere e le loro idee, ma che resteranno al massimo nelle cronache per questo sciagurato ricorso.

Tra loro Roberto Rosso, Pdl, poi Fli, poi Pdl, che quando la storia del ricorso venne fuori sostenne che “il vero scandalo non sono i vitalizi, è il fatto che uno diventa deputato per come lecca il c… a Roma, non per l’attività politica che fa sul territorio!”. Oppure Edouard Ballaman, leghista, ex questore della Camera, ex presidente del consiglio regionale del Friuli, uno che gridava “contro gli sprechi useremo il fucile”. Uno che è stato da poco condannato a un anno per peculato, uso improprio dell’auto blu, in Friuli: la Corte dei Conti l’ha poi condannato a restituire diecimila euro. Uno a cui forse il vitalizio sta a cuore proprio perché deve ripagare i debiti con lo Stato.

E ancora Ugo Malagnino, un ex deputato ulivista che ha avuto il suo momento di gloria grazie a Bruno Vespa che lo cita in un suo libro: “Andai perché Ugo Malagnino, uno dei collaboratori di D’Alema, mi pregò di recarmi a una cena elettorale alla Pignata. Non avrei mai partecipato a quella cena se avessi saputo della presenza dei fratelli Tarantini”. Parole di Michele Emiliano, che commentava la famosa cena elettorale con Tarantini, quello delle escort del Cavaliere, e Massimo D’Alema tra gli invitati.

Adriano Paroli, ex deputato del Pdl che lasciò l’aula per fare il sindaco di Brescia e moralizzare: “Il governo romano vive di troppa burocrazia e spesa”.

E poi la folta pattuglia di leghisti ed ex leghisti che urlavano contro Roma ladrona ma che da Roma i soldi li vogliono eccome. Alberto Bosisio e Enrico Cavaliere, due leghisti super-secessionisti che inventarono il “servizio d’ordine chiamato camicie verdi”. Bosisio ora dice “lo Stato ci deve quelle pensioni”, ma pochi anni fa teneva comizi con Borghezio invitando i guerriglieri ceceni e arringando le folle, “o autodeterminazionedei popoli, o addio Italia”.

Tra i 33 ce n’è per tutti i gusti, destra, sinistra, centro destra, centro sinistra, Lega Nord. Tutti uniti nella lotta, dura e senza paura, a difesa della loro pensione. E che gli altri si…