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Chi succederà a Berlusconi? La coppia Tremonti-Montezemolo è la più gettonata. Anche dal Financial Times

di Warsamé Dini Casali |22 Luglio 2010 16:37

Silvio Berlusconi

Si sta facendo strada, complice forse la calura asfissiante, l’idea che Berlusconi sia bollito, o perlomeno che la cottura sia arrivata a buon punto. Più che un’impressione fondata assomiglia a una preghiera, un’altra pagina del libro dei desideri dei molti che non vedono l’ora che il quadro politico vada in frantumi. Gli scandali, le divisioni interne, l’agitazione a corte, la fronda finiana, sono tutti campanelli d’allarme che qualcuno ha già scambiato per campane a morto.

Il Financial Times scommette sulla caduta del premier italiano, conta i giorni e ha individuato nel leader dell’opposizione Bersani il killer mancato della maggioranza attuale, deprecandone l’ignavia e l’immobilismo colpevole. Intanto, interrogando la palla di vetro, l’autorevole giornale economico della City, intravvede già i potenziali candidati alla successione di Berlusconi. Il toto-nomi, evidentemente, è un giochino che appassiona non solo i frequentatori delle amate-odiate terrazze romane e i fan degli intrighi governativi, anche se comunque si tratta di un tipico gioco estivo, che puntualmente si accompagna all’arrivo del solleone.

Lo scorso anno, però, c’era un solo preferito ed era il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, mentre quest’anno se ne è parlato sì ma con meno intensità e il corrispondente da Roma di un giornale londinese non può che adeguarsi all’orientamento delle fonti. Così dal bussolotto del Financial Times sono usciti solo due nomi: Tremonti e Montezemolo. Una poltrona per due, quindi. Più giovani dell’attuale premier, sono diversi che di più non si può, hanno un’immagine ben definita, sondaggi e stampa non sono ostili, possono contare su stuoli di estimatori interessati e plaudenti.

In realtà l’ombra di Draghi incombe e nel campo berlusconiano i più addentro sono sempre convinti che si tratti dell’unico vero pericolo per Berlusconi. Draghi ha credibilità internazionale, è stato messo da parte nella corsa alla presidenza della Banca centrale europea non per demerito ma per giochi di potere tra tedeschi e inglesi, è portatore di un disegno politico, le privatizzazioni, totalmente antagonistico alla visione di Berlusconi, in fondo un po’ autarchica e retrò, nostalgica delle vecchie partecipazioni statali i cui resti difende con passione quasi incomprensibile: Eni, Enel, Finmeccanica.

A Draghi sono in un certo modo legati intimamente i due candidati del Financial Times: amico dall’adolescenza, compagno di liceo Montezemolo, rivale senza possibilità di remissione ma solo di duello Tremonti.

Montezemolo e Tremonti vengono considerati due riserve della Repubblica, da utilizzare evocando gli scenari politici più arditi: elezioni anticipate, larghe intese, governo di salute pubblica, di transizione o affidato agli immancabili tecnici, grosse koalition alla tedesca e via politicando. Temi e suggestioni che entusiasmano gli aficionados del retroscena, ma che risultano incomprensibili, se non irritanti, per l’opinione pubblica, quella che poi vota Berlusconi, per capirci.

Luca Cordero di Montezemolo è quello con l’appeal più alto, piace al centro e a destra e non dispiace a sinistra, è sufficientemente estraneo alla politica politicante, con un po’ di fantasia si può chiamarlo un outsider. Possiede il carisma del manager moderno, la sua immagine si confonde con le storie italiane di successo, come la Ferrari. Soprattutto i sondaggi, stavolta seri, lo danno come il più accreditato sfidante di Berlusconi, quello che la gente pensa abbia più possibilità di batterlo alle elezioni.

Molto di recente, il 13 luglio, l’Espresso ha lanciato un nuovo sondaggio per la serie: chi ci sarà dopo Silvio? e Montezemolo, puntualmente, si è piazzato primo: hanno risposto, fino alle 15 del 22 luglio, più di 6 mila lettori del settimanale, in testa c’è Montezemolo, con 1.320 preferenze, cioè più del 20%, seguito da Draghi, che ne ha raccolto 1.162. Seguono, con forte distacco, Bruno Tabacci, con 562, Tremonti con 127, Beppe Pisanu con 125.

In un precedente sondaggio lanciato a novembre 2009 dal sito dell’Espresso su 300 mila contatti, ben un terzo dei partecipanti lo indicava come futuro premier e anche facendo la tara ad amici e sostenitori che possono avere peccato di voto multiplo, sono numeri impressionanti.

Montezemolo non è ancora uscito allo scoperto: a Santa Margherita Ligure ha sostenuto la necessità che gli imprenditori si impegnino di più in politica, più o meno facendo capire che l’attuale classe politica ha fatto il suo tempo. Ma la “discesa in campo” per ora non è stata annunciata.

Montezemolo osserva i movimenti al centro, l’evoluzione dei rapporti tra i vari Casini, Rutelli ecc. ma è prudente, il rischio di essere bruciato è troppo alto e la fine della legislatura è ancora lontano. E non ha un partito alle spalle che lo sostenga: in genere è un handicap, ma chissà che al momento giusto non possa divenire un punto di forza. Il personaggio, poi, è di quelli per i quali ci si chiede sempre cosa farà da grande. Esaurite le numerose esperienze manageriali che gli hanno fornito l’attuale notorietà e apprezzamento (c’è stato un momento in cui assommava più cariche presidenziali di una collana) sembra naturalmente destinato ad un incarico di grande valore. La presidenza del Consiglio sarebbe il compimento di una carriera esaltante: nell’epoca della personalizzazione esasperata in politica, il suo curriculum è un viatico non trascurabile.

L’altro contendente, il “divo” Giulio Tremonti, ha tutt’altro profilo ma, come Montezemolo, per coltivare sogni di gloria, deve agire sottotraccia. Non fa mistero di considerarsi il successore “naturale” di Berlusconi e ha buoni motivi per pensarlo. L’ultimo scorcio di legislatura l’ha visto protagonista assoluto della scena politica italiana. Ha licenziato una manovra finanziaria impopolare ma necessaria che porta in primo luogo la sua firma, il suo pensiero.

Fa ombra addirittura al Re Sole Berlusconi, a cui andava bene defilarsi da un provvedimento lacrime e sangue fino a quando non ha intuito che quello sotto sotto gli stava sfilando la leadership. In fondo chi è il vero collante governativo, oltre il potere, beninteso? E’ Bossi, che con Tremonti ha stretto un patto di ferro. L’ex commercialista di Sondrio ha una smisurata considerazione di sè e questo può essere anche un vantaggio. Conosce la macchina organizzativa del governo, tiene le chiavi della cassa, al Tesoro è un monarca assoluto.

Ormai parla come un filosofo della storia che di passaggio deve reggere le sorti economiche di un grande paese, pur disprezzando pubblicamente gli economisti di professione. Presso almeno due grandi giornali vanta un credito fino a qualche anno fa insperato. Corriere della Sera e Sole 24 Ore ne hanno “scoperto” l’alta dottrina e spesso sembrano pendere dalle sue labbra. Forse perchè considererebbero il passaggio di consegne da Berlusconi a Tremonti poco traumatico, più morbido e digeribile.

Tremonti ha una sola bestia nera, un personaggio che non vuole neanche nominare: Mario Draghi, il governatore della Banca d’Italia. Nell’intervista a Massimo Giannini, di Repubblica, l’orrore di Tremonti per Draghi traspare in tutta la sua cupezza, aumentato dal fatto che alla famosa cena a casa di Bruno Vespa, con Berlusconi e Pierferdinando Casini, Draghi era stato invitato e Tremonti no.

Però è strano che il Financial Times non ne parli come di un possibile rivale della coppia Tremonti-Montezemolo. Per Tremonti il rigore nei conti è un suo appannaggio culturale, l’ha inventato lui, Draghi non è nessuno, se non un burocrate che usurpa un potere che nessun passaggio elettorale gli ha conferito. Vede dietro di lui i “poteri forti”, immarcescibile paranoia che evoca tutto per non dire niente.

Fantapolitica o scenari plausibili? Lo dirà il tempo, forse qualche nuova scabrosa intercettazione. Nel frattempo Berlusconi governa, il suo potere è intatto e la sua maggioranza, occorre ricordarlo, è la più ampia degli ultimi decenni.

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