Di Maio, l’offesa a Salvini: Berlusconi ti paga? Salvini: ora querelo

di Lucio Fero
Pubblicato il 3 Maggio 2018 - 10:24 OLTRE 6 MESI FA
Luigi Di Maio, l'offesa a Matteo Salvini: Berlusconi ti paga? Salvini: ora querelo

Di Maio, l’offesa a Salvini: Berlusconi ti paga? Salvini: ora querelo

ROMA – Di Maio, l’offesa a Salvini: Berlusconi ti paga? Così correttamente si traducono nella sostanza e nel significato le parole testuali che Luigi Di Maio ha rivolto a Matteo Salvini e alla Lega. “Noi non abbiamo paura delle elezioni perché sostenuti dai contributi della gente…altri tra prestiti e fideiussioni magari hanno qualche problemino con i soldi”. E’ un’allusione esplicita a Salvini, e come tale Salvini l’ha intesa, commentandola così al Tg7 di Enrico Mentana: “Ora querelo”.

Querele a parte, quella di Di Maio più che un’accusa (molto difficilmente sostenibile in sedi giudiziarie) è un’offesa, un’offesa politica. Il capo politico M5S rilancia un’offesa vecchissima cucinata in casa M5S e che era stata dismessa, sempre dalla comunicazione-propaganda M5s, per un paio di mesi. L’offesa è: Slavini, Berlusconi ti paga? Dove il punto interrogativo è retorico assai.

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Fa parte della cultura profonda M5S: Di Maio al fatto che Salvini non abbia scaricato Berlusconi per fare un governo Lega-M5S non trova migliore spiegazione che quella dei…soldi. Un movimento come M5S nato e fattosi grande, non va dimenticato, con la protesta e l’astio verso gli stipendi dei parlamentari, un movimento d’opinione basato sì sulla voglia di cambiare ma ancor più sull’orrore per le retribuzioni altrui, un M5S da sempre attentissimo alla “roba” non poteva che leggere le mosse di Salvini in chiave di chi paga chi.

Di Maio-Salvini, insieme hanno eletto i presidenti delle Camere, insieme dovevano fare un governo. Ora sono al chi ti paga e al ti querelo. E allora che governo si fa, se si fa?

Non il governo M5S-Pd in cui, secondo l’astuta nomenklatura anti renziana  effervescente nel Pd come non mai, il Pd avrebbe fatto da badante democratica e prudente all’esuberante M5S populista. No, questa delicata architettura non si farà per merito-colpa (giudicate voi) della base M5S, della base Pd, di Renzi in tv e della contraddizion che… nol consente.

E allora? Allora Sergio Mattarella da domani può imboccare solo due strade: proporre ai partiti un governo di tregua che duri più o meno un anno, provi a tenere a battesimo una riforma elettorale in senso maggioritario (maggioritario a suo tempo dipinto come il diavolo in terra quando si chiamava Italicum), sieda al vertice Ue a fine giugno dove si decide niente meno che dei soldi europei e delle banche e del fiscal compact, faccia in autunno la legge finanziaria non fosse altro per non vedere aumentare l’Iva automaticamente di una ventina di miliardi e quindi si vota, anzi rivota, a primavera 2019.

Governo di tregua lungo o corto un anno a seconda di come la si vede. Ma Salvini e Di Maio ci stanno, diranno sì  un governo di tregua? Finora hanno detto no e se continuano a dire no, allora a Mattarella resta solo la seconda strada: Gentiloni fino a nuove elezioni alla fine del 2018.

Nota a margine, ancora su Salvini. Lui dice: “metterci la faccia”. Quando chiede di fatto incarico a formare governo, anche dovesse essere bocciato in Parlamento non avendo i numeri per far maggioranza, non è fuori dal perimetro di questa richiesta un fatterello da molti trascurato (ignorato?). L’incaricato forma comunque un governo e anche se questo governo viene bocciato dalle Camere è questo il governo che resta in carica fino alle elezioni. Dunque anche con un incarico destinato a naufragare, il governo in carica fino a quando si vota sarebbe il governo Salvini e non quello Gentiloni. Per questo Mattarella quell’incarico a Salvini non lo dà se Salvini gli porta solo la “faccia” e non i voti di una maggioranza in Parlamento.