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L’Italia di Berlusconi non è l’Egitto, ma il suo futuro è molto cupo

di Marco Benedetto |15 Febbraio 2011 20:31

Quel che è successo in Egitto porta a un paragone con l’Italia. Due paesi, con tantissime differenze e una cosa in comune: l’Egitto è stato governato da un autocrate che nel tempo ha assunto sempre più le caratteristiche degli antichi sovrani del Nilo, l’Italia da un uomo che vorrebbe tanto essere qualcosa di simile: re, imperatore, duce, faraone. L’ultimo dei faraoni egiziani ha dovuto lasciare il potere per una diffusa rivolta popolare. L’aspirante faraone, quello italiano, faraone forse già nella autostima e nella concezione dell’intima sua vita, è sotto costante attacco politico e giudiziario, per una serie di sue malefatte: non è una rivolta popolare, anzi una parte almeno del popolo è con lui, l’attacco viene invece da importanti componenti dell’establishment. Quale che sia il giudizio morale che si possa dare sulle sue azioni, di oggi e di ieri, resta incerto l’esito dei giudizi aperti e controverse le ragioni per quelli chiusi, mentre il giudizio politico è affidato per ora a continui ripetuti sondaggi d’opinione, in attesa della prova del fuoco, le elezioni.

Il paragone tra i due casi non è nelle cause delle proteste, estremamente diverse, al di là della visione imperiale che di se stessi hanno i due personaggi, ancorché quasi ieratico l’egiziano, buffonesco l’italiano. Il paragone è nelle illusioni che nutrono entrambi gli schieramenti che li hanno attaccati e attaccano. Gli egiziani sognavano la democrazia e si sono trovati sotto i militari, metà degli italiani sogna di “mandare a casa” Berlusconi incurante di sapere cosa li aspetta dopo: là come qua l’importante è rimuovere il faraone.

Il paragone è anche nel dibattito messo in moto nelle due ribellioni, sui limiti della democrazia, sulla sua legittimazione, sui suoi valori assoluti o la sua relatività. Si tratta di un tema delicatissimo, perché può scottare, è un tema che ha tormentato il mondo da quando la civiltà ci ha dato le leggi. Quali leggi sono assolute, quali sono contingenti, Socrate si sottomise alle leggi e anche Eichmann, chi aveva ragione e chi torto?

Se guardiamo all’Egitto forse è più facile, perché più remoto. Democrazia in quella parte del mondo vuol dire scivolare nella democrazia religiosa, che sempre democrazia è, perché se la sono voluti loro in libere elezioni, ma non corrisponde certo alle coordinate che noi in Occidente pensiamo. D’altra parte, mentre i bolscevichi sono andati al potere per via rivoluzionaria, nazisti e fascisti hanno visto i loro duce e füher legittimati dal responso delle urne.

E allora, parlando dell’Egitto, meglio andare a libere elezioni, come la logica degli ideali democratici assoluti porterebbe, per poi rischiare un’altra Gaza (leggi Iran) o ringraziare i militari, come, facendo finta di niente, è stato fatto per cent’anni in Turchia? L’esempio della Turchia porta a un’altra riflessione: che anche un partito filo islamico come quello che oggi siede ad Ankara non può fare proprio tutto quello che vuole in un paese cresciuto in questi ultimi cinquant’anni, in una società pluralista e articolata.

Ma l’Italia non è l’Egitto e nemmeno la Turchia. è un paese ricco anche se non ricchissimo, articolato e strutturato. Allora la domanda diventa se sia giusto negare legittimità democratica al governo guidato da un peccatore, non pubblico ma le cui colpe siano diventate pubbliche e contemporaneamente invocare il valore assoluto della legge, magari dimenticando che le leggi sono delle convenzioni e che nascono dalla volontà popolare e possono sempre essere modificate, con vincoli più o meno estesi di consenso.

Non è una questione da poco, perché nelle due posizioni ci sono principi sublimi e vizi assoluti, che portano a temi come la vita  e la morte, la legittimità di uccidere e di negare la vita, che ritornano e ritornano in quel videogame da incubo che è il cammino dell’umanità.

Sono temi affascinanti, di quelli  che ci stai su notti intere a discutere.

Ma intanto, mentre l’Italia scende in piazza, Savonarola accatasta la legna, il marchio dell’infamia si appresta a essere impresso, Sant’Agostino, stanco di una vita di dissipazione, ci spiega la meraviglia della castità, negli altri paesi si pensa a come uscire finalmente dalla crisi economica, come risanare i debiti accumulati nei paesi europei più deboli in mezzo secolo di lotta al comunismo e c’è quasi da pensare che tutto questo can can su puttane e minorenni l’abbia escogitato proprio la mente diabolica del faraone per allontanare i nostri pensieri dall’incubo che incombe su di noi: una stangata da cinquanta miliardi all’anno per i prossimi dieci anni, con vendita o svendita di altri pezzi del tesoro pubblico con l’illusione di ridurre i debiti, tasse sempre più alte, creazione zero degli unici posti che ci piacciono: quelli garantiti sempre, cioè quelli pubblici.

Per l’Europa si aggirano funzionari del Fondo Monetario e altre istituzioni finanziarie internazionali che, certo tutti degnissime persone, hanno ormai acquisito una certa fama di avvoltoi e di becchini. Quando un paese del terzo mondo ha subito le loro imposizioni, a cominciare dalla ex Unione Sovietica, gliene è venuta sciagura, quando li ha evitati, come la Cina, ne è derivata una florida crescita. Ora questi gentiluomini, che sono un po’ le avanguardie dei grandi capitali internazionali e delle grandi banche d’affari, hanno preso di mira la Grecia, ordinando al suo governo privatizzazioni per 50 miliardi di dollari, cui peraltro è stato risposto in malo modo.

L’Italia non ha molto più da privatizzare e ha anche la contraddittoria esperienza di quelle già fatte negli anni ’90. Alla fine il prezzo l’hanno continuato a pagare i cittadini: prima, per l’inefficienza del monopolio statale, poi per dare adeguato ritorno al crescente prezzo pagato da nuovi azionisti del rinnovato monopolio.

Allora il dubbio viene se un cittadino qualunque, uno di tutti noi, possa mai sperare veramente di vivere in un sistema dove ci si preoccupa di lui, come cittadino appunto, e non come pecora da tosare: da parte del faraone e dei suoi agenti, da parte dei nuovi eleganti civili presentabili anonimi ma altrettanto voraci padroni.

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