
ROMA – L’Aula di Palazzo Madama ha approvato con 183 sì la riforma che fa nascere il nuovo Senato e mette fine al bicameralismo perfetto. Nasce così il Senato non elettivo e “dei cento”. Ora il voto passa alla Camera. Ma al voto è mancata di fatto tutta l’opposizione, compresi i dissidenti del Pd. M5s, Lega e Sel infatti non hanno partecipato. Mentre il capigruppo di Fi Paolo Romani ha tenuto la sua dichiarazione di voto sulle riforme, tutti i senatori di M5S hanno lasciato l’Aula del Senato attraversandola platealmente in fila indiana dietro al loro capogruppo Petrocelli. Alcuni di loro hanno fatto il segno di Vittoria con indice e medio della mano a favore dei fotografi in tribuna.
La Lega Nord non ha partecipato perchè, come ha spiegato il capogruppo Gian Marco Centinaio “non possiamo essere complici di chi sta affossando questo paese”. Anche il gruppo Misto-Sel si è sfilato. “Questo è solo l’inizio della battaglia, voi vi illudete di aver vinto, ma alla fine la saggezza dei cittadini rimanderà al mittente questa riforma che rappresenta un dissesto dell’ architettura costituzionale”. Lo afferma la capogruppo del gruppo Misto-Sel, Loredana De Petri.
Non partecipano al voto neanche 16 dissidenti del Pd. “Io e alcuni colleghi del Pd che ci siamo ritrovati in questi mesi in una proposta alternativa di riforma, restando in Aula come nostro dovere, non parteciperemo al voto”, dice il senatore Pd Vannino Chiti. Diciannove, invece, i frondisti Forza Italia, ai quali si aggiungono 8 esponenti di Ncd e 2 del gruppo Per l’Italia.
Renzi esulta: “Ci vorrà tempo, sarà difficile, ci saranno intoppi. Ma nessuno potrà più fermare il cambiamento iniziato oggi #italiariparte #lavoltabuona”, scrive il premier su Twitter.
Ma come cambia il Senato? Lo spiega Sebastiano Messina su Repubblica:
I compiti e i numeri. Il voto del Senato è solo il primo passo di un complicato percorso che prevede due votazioni per ciascuno dei due rami del Parlamento e quasi certamente, alla fine, un referendum popolare confermativo. Dunque non è detto che la riforma resti così com’è, visto che sullo sfondo rimane un malumore diffuso – anche tra i banchi del Pd – per la scelta di sottrarre l’elezione dei senatori ai cittadini per darla ai consiglieri regionali, non proprio ai vertici della popolarità (“A questo punto sarebbe meglio abolirlo, il Senato” è stato in questi giorni il commento più ricorrente, nei corridoi di Palazzo Madama). Quella di oggi è in ogni caso una tappa fondamentale, per la riforma. Innanzitutto perché segna un punto di non ritorno nel superamento del bicameralismo perfetto, una particolarità tutta italiana che nel tempo si è rivelata un freno al processo legislativo. I nuovi senatori, come dicevamo, saranno solo 100 (95 eletti dalle Regioni tra consiglieri e sindaci più 5 senatori di nomina presidenziale) e – fatta eccezione per la prima volta – non saranno eletti tutti contemporaneamente ma in coincidenza del rinnovo dei Consigli regionali. Per loro non è più prevista l’indennità (che viene riservata ai soli deputati).
Quanto si risparmierà? Se si considera che oggi un senatore senza cariche particolari riceve ogni mese più di 14 mila euro – tra indennità, diaria e rimborsi forfettari per viaggi e assistenti – lo Stato eviterà una spesa di circa 50 milioni di euro. Altri risparmi saranno ottenuti unificando il personale di Camera e Senato e riorganizzando i servizi “secondo criteri di efficienza e razionalizzazione”, come recita una delle disposizioni transitorie, anche se nessuno sa quantificare esattamente di quanto diminuirà il costo di Palazzo Madama (il cui bilancio oggi si avvicina al mezzo miliardo di euro).
I nuovi poteri. Dunque saranno solo in 100, e senza indennità. Ma per fare cosa? Il Senato non voterà più la fiducia al governo, e solo per alcune materie conserverà la funzione legislativa e i poteri di sindacato ispettivo. Potrà per esempio interrogare i ministri, verificare l’attuazione delle leggi, esprimere pareri sulle nomine governative e nominare commissioni d’inchiesta sulle autonomie territoriali, ma da Palazzo Madama dovranno passare solo le riforme della Costituzione, le leggi costituzionali, le leggi sui referendum popolari, le leggi elettorali degli enti locali, le ratifiche dei trattati internazionali e – grazie all’emendamento leghista approvato a scrutinio segreto – il diritto di famiglia, il matrimonio e il diritto alla salute. Tutte le altre leggi saranno di competenza della Camera dei deputati.