Il caso, solo il caso ha voluto che i 73 anni del premier fossero “salutati” dalla notizia che la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate stimano in 300 miliardi di euro i soldi esportati illegalmente all’estero che sono “tentati” di rientrare puliti in Italia grazie allo scudo fiscale. Scudo fiscale sul quale il governo porrà la questione di fiducia, scudo fiscale che consente agli evasori di pagare il cinque per cento invece del 43 per cento. Trecento miliardi sono un sacco di soldi e non sono certo il totale di quanto evaso dai contribuenti italiani. Sono solo quanto potrebbe rientrare del totale. Totale incalcolabile ma comunque molto più ampio.
Trecento milioni che rientrano pagando il 5 per cento possono significare 15 miliardi per le casse dello Stato. Tremonti li aspetta, conta che siano almeno cinque. Servono per i contratti del pubblico impiego, per le ristrutturazioni delle case rimborsate al 36 per cento, per la cassa integrazione del milione che ha perso o sta perdendo il lavoro. Servono come il pane e l’aria e il governo fa sapere che questa pecunia non olet, questo denaro non puzza e non è il caso di fare gli schizzinosi. Inoltre questi soldi eventualmente rientrati senza danno e senza pena servono a imprenditori e aziende per rifinanziare l’impresa rimasta senza liquido e credito.
Insomma, cinque o quindici miliardi che faranno respirare l’Italia. E sia, ma non si può fare a meno di pensare e calcolare che, se avessero pagato le tasse al quaranta per cento, non cinque, non quindici, ma centoventi miliardi lo Stato avrebbe avuto in cassa negli ultimi anni. Cosa ci si poteva fare con 120 miliardi? Tutto: diminuire le aliquote Irpef per tutti, costruire strade e autostrade, e scuole e ferrovie. E pagare gli ammortizzatori sociali e… Il legno storto della società italiana che evade il fisco in massa poteva essere quasi raddrizzato, lo sostiene la matematica non l’opposizione.
La stessa entità del “rientro”, la “corte” che governo e Parlamento fanno agli evasori per mezzo dello scudo fiscale mostrano che il non pagare le tasse è pratica e costume di massa. Che nessun governo può correggere o punire in un colpo solo. Occorrono anni oltre che leggi e controlli. Bene, anzi male: che c’entrano gli anni, il compleanno di Berlusconi? Il premier festeggia una vita di successi, una tappa, la numero 73, di un’esistenza costellata di vittorie. Dall’alto di questa esperienza umana e politica una parola di circostanza la poteva spendere. Una parola contro l’evasione fiscale nel giorno in cui il maledetto e dispettoso caso gli mette sotto il naso trecento e passa miliardi con cui milioni di italiani hanno fregato altri decine di milioni di connazionali. Il compleanno è trascorso, il premier è andato in Rai e poi in Abruzzo, ha distribuito battute, consigli e nuove abitazioni. Ma quella parola non l’ha detta, ha lasciato che la candelina importuna dell’evasione fiscale restasse accesa sulla sua torta. Non l’ha spenta e non è che non abbia fiato. Peccato.
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