Il gioco delle tre tasse: destra vince, sinistra perde

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 7 Gennaio 2010 - 16:17| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il segretario Pd Bersani

Al gioco delle tre tasse la destra tiene il banco e vince, la sinistra fa sempre la sua puntata e perde. Va avanti così da almeno venti anni.

Ecco la destra, di governo o d’opposizione non importa, non cambia. Da dietro il banchetto chiama l’opinione pubblica a “giocare”. Sotto quale annuncio c’è la riduzione delle tasse? Il primo, il secondo o il terzo? Le mani e le voci della destra agitano e gestiscono la giostra: Dov’è la riduzione? Eccola, eccola, c’è, si è spostata, trovatela”.

La riduzione delle tasse non c’è, sotto nessuno dei tre annunci, con i governi di destra la pressione fiscale resta sempre lì, tra il 42 e il 43 per cento del Pil.

Ma il gioco funziona, davanti al banchetto delle tre tasse gestito dalla destra sempre si affolla in quantità gente curiosa e speranzosa. Tasse che la destra non ha mai diminuito davvero ma ha sempre dato l’impressione che basta “indovinare” l’annuncio giusto.

Carta vince, carta perde… la destra incassa sempre speranza, non paga mai e il suo “banco” non salta mai. Ancora pochi giorni fa Berlusconi ha riproposto la “tattica della giarrettiera”: lasciar volutamente vedere un po’ di “lingerie fiscale” (la frase, qui lo dico e qui lo nego, sulla “riforma fiscale nel 2010”)  e poi subito ricoprire. Nulla di più vecchio, nulla di più efficace.

Efficace anche perchè al gioco delle tre tasse la sinistra gioca sempre. E sempre gioca male. Sono settimane che la sinistra politica e sindacale rumina, mastica e diffonde ipotesi di aumento delle tasse. Fa così da decenni. E ora in Italia si sente rilegittimata a farlo perché di aumento di alcune forme di imposizione fiscale si parla negli Usa e in Europa.

Tassa patrimoniale, tassa sulla rendita finanziaria, tassa sugli alti redditi. Sono formule verbali che affascinano, ipnotizzano la sinistra. E non sarebbero follia, se soltanto la sinistra avesse la pazienza civile di pensare l’effetto che fanno nel paese in cui vive, l’Italia.

L’effetto economico e sociale, non quello psicologico e di umore. Redditi alti? Il fisco italiano considera medio-alto un reddito annuo di circa 30 mila euro e infatti lo tassa con aliquota marginale del 38 per cento. Considera decisamente alto un reddito annuo di 75 mila euro e lo tassa con l’aliquota del 43 per cento.

Secondo questa geografia, anzi questa cultura del reddito che la sinistra sposa in pieno e di cui la sinistra è difensore e genitrice, duemila euro netti al mese sono agiatezza e tremila sono la soglia della ricchezza.

Quindi chi gode di questi redditi può pagare ancora: pagare più tasse sui soldi investiti in banca o sulla casa di proprietà. Al riparo è solo il popolo dei 1500 euro al mese. Non è quello della sinistra solo errore di propaganda, è errore, grave, di sostanza.

La geografia dei redditi reali non corrisponde alla mappa della società che la sinistra ha sempre in testa e sempre tira fuori dalla tasca. Quella parte d’Italia che le tasse le paga è gravata da aliquote pesantissime, troppo pesanti. Sommamente ingiusto e insopportabile è aggiungere a questo gravame anche il peso di una piuma. Quando gioca al gioco delle tre tasse la sinistra annuncia che chi paga le tasse ne pagherà un po’ di più.

Aggiunge, è vero, per indorare un po’ la pillola che un po’ di tasse le pagheranno anche quelli che le tasse non le pagano. Quindi ottiene l’ottimo risultato di subire l’efficace fuoco di sbarramento dell’Italia, della tanta Italia che evade ed elude e di spaventare fino all’esasperazione chi le tasse le paga.

Sfugge alla sinistra la regola prima della politica: cambiare le cose in maniera tale che per tanti che ci rimettono almeno altrettanti ci guadagnino. Nuove imposte sui consumi o sui patrimoni dovrebbero essere accompagnate, anzi legate dalla sinistra ad un calo delle aliquote Irpef.

Calo non solo per i redditi, dichiarati ma non reali, fino a 20mila euro annui. Calo anche per i redditi da due, tremila euro al mese. Solo questo legittimerebbe in termini sociali e renderebbe praticabile in termini politici la patrimoniale o l’aumento dell’imposta sulle rendite finanziarie. Infatti lo stesso soggetto chiamato a pagare di più di tasse sui Bot o sulla casa lo troverebbe “giusto” perché contemporaneante il suo salario o stipendio non viene più saccheggiato dal fisco. E una tassa sui consumi invece che sul reddito apparirebbe a quel punto “equa”.

Ma perché la sinistra non “pensa” così, perchè, nonostante Fondazioni e Centri Studi, si rifiuta di sapere come si distribuisce il reddito reale, come si spalma davvero l’imposizione fiscale, quando e dove davvero cominciano agiatezza e ricchezza? Sono pigri di mente? Colpa dei dirigenti tardi e attardati? No, la sinistra fa così perché “è” così. Sono così i suoi dirigenti, i suoi partiti, la sua gente, i suoi blog.

Hanno smesso da tempo l’arte e la scienza della politica, quel calcolare come il contrasto e sovrapporsi degli interessi crea, smonta e rimonta ceti sociali. Senza più alcuna “critica” della società (critica vuol dire ragionato esame e comprensione, non “opposizione e denuncia”), la sinistra prova a trovare i soldi, anche e soprattutto per via fiscale, per difendere e finanziare gli interessi di tutte le corporazioni.

E, inevitabilmente, al gioco delle tre tasse fa bancarotta. In fondo per lo stesso motivo di fondo per cui gioca male e sbagliato all’altro gioco. Quale? Un clic sul “Gioco delle tre riforme” ci darà forse la risposta.