Con Sala indagato non si salva neanche il "Salva Milano". Votato da (quasi) tutti alla Camera, rinnegato in Senato (foto Ansa-Blitzquotidiano)
Il cosiddetto ‘Salva Milano’, passato tra le polemiche alla Camera a fine 2024, da allora non ha fatto più passi avanti, rimanendo sostanzialmente bloccato in Senato.
Le “disposizioni di interpretazione autentica in materia urbanistica ed edilizia” – che avrebbero dovuto, tra l’altro, sbloccare la situazione di una serie di cantieri a Milano dopo l’impasse determinata dalle inchieste della Procura sull’urbanistica – nel passaggio a Montecitorio hanno visto le forze politiche dividersi secondo uno schema inedito.
Pd, Azione, Iv e Più Europa schierati con tutta la maggioranza per il sì; M5s e Avs fortemente contrari (e apertamente critici nei confronti dei democratici). Ma all’arrivo in Senato è sopraggiunta una novità: il tentennamento del Pd sulla norma che – via, via – si è sfilato dal fronte del sì.
A mutare negli ultimi mesi è stata anche la postura del sindaco di Milano: fino a febbraio ha perorato apertamente il via libera alla norma e incalzato il Pd, suo “azionista di riferimento” in Comune, per sapere cosa intendesse fare a Palazzo Madama.
Poi, a marzo, è arrivata la frenata dopo che le inchieste hanno iniziato a gettare ombre proprio sul ‘Salva Milano’ che, secondo la Procura, sarebbe stato dettato dagli stessi indagati. A quel punto, la giunta guidata da Sala, ha tolto il sostegno alla norma e il Comune ha annunciato la costituzione di parte civile.
Da questo momento in poi, con Sala e il Pd che si sono sfilati, il provvedimento si è impantanato definitivamente in commissione Ambiente del Senato. Con qualche crepa anche nel centrodestra. L’esito? Il Salva Milano è rimasto di fatto sospeso e – a maggior ragione dopo gli ultimi sviluppo giudiziari – potrebbe andare verso la decadenza a fine legislatura.
La proposta di legge partiva da un articolo della legge urbanistica del 1942 che individuava i limiti di volumi e altezze delle costruzioni in territorio comunale.
E forniva un’interpretazione autentica di due disposizioni normative tra loro collegate, consentendo il superamento di tali limiti (volumetrici e di altezza) per interventi edilizi effettuati anche in assenza di piani particolareggiati o di lottizzazione convenzionata.
Il cuore del provvedimento era che l’ok preventivo di un piano particolareggiato o di lottizzazione convenzionata non fosse obbligatorio in caso di costruzione di nuovi immobili su lotti che si trovano in ambiti edificati e urbanizzati, in caso di sostituzione di edifici esistenti o interventi su edifici esistenti in ambiti edificati.
La norma interpretativa non si sarebbe applicata solo a Milano ma in tutta Italia e in modo retroattivo, uno degli elementi più aspramente criticati dai suoi detrattori che puntavano il dito contro il rischio speculazione edilizia e cementificazione.