Genova secondo Marco Benedetto e il poeta Caproni: "Genova tutta tetto, macerie Castelletto" (Fonte Ansa) - Blitz Quotidiano
In questi giorni di Natale, pensando a Marco, alla sua mancanza, ho girato per Genova che in questo periodo è un po’ speciale perché ha più luce, meno gente e quel sapore antico, che gli piaceva, un po’ immedesimandomi in lui.
Cercavo di vedere con i suoi occhi questa città tanto amata da lontano e da vicino, un po’ sospirata e sempre conosciuta. Anche attraverso i dialoghi, le lunghe telefonate che spesso grondavano nostalgia. Ma ben mascherata. Conoscete bene Marco, la sua riservatezza, quel pudore genovese ben trattenuto, dentro il quale c’erano sentimenti forti.
E così, girando soprattutto nei suoi luoghi preferiti, mi sono anche fatto guidare dalla meravigliosa “Litania”, che Giorgio Caproni, il poeta livornese, diventato più che genovese, dedicò alla città, lui cui se era invaghito: 180 versi in rima che sono veramente “il cantico di Genova.
E ho incominciato con quello di questi versi dal quale Marco sarebbe inevitabilmente partito: “Genova tutta tetto, Macerie, Castelletto, Genova d’ aerei fatti, Albaro, Borgoratti…”
Castelletto, la patria di Marco, la sua casa di origine e poi quelle nuove e poi quella sognata, che forse si sarebbe comprato se avesse avuto il tempo.
Quella terrazza sulla città, quella Spianata dalla quale si vedono, appunto, i tetti grigi del centro storico, la Lanterna, il mare, la costa e Portofino, il promontorio di confine. E poi quella possibilità di “abbracciare tutto”, le macerie che quando Marco era un bambino erano tante e visibili, perché le ferite dell’ultima guerra, i bombardamenti inglesi, soprattutto quello del febbraio 1941, avevano lasciato un scia profonda, ferite sanguinose e chissà come i suoi genitori gli avevano raccontato di quelle bombe che arrivavano dal mare e incendiavano le case.
Sotto Castelletto, che allora non era il paradiso di Caproni, ma un inferno di fuoco.
Poi c’è un altro verso, che forse è più moderno e meno nostalgico e riguarda come parlavamo negli ultimi tempi della città: “Genova, tutta cantiere, Bisagno, Belvedere, Genova di canarino, persiana verde, zecchino.”
Genova tutta cantiere, questo fermento lo elettrizzava, perché le novità che rovesciavano, dal giorno terribile del crollo del ponte Morandi, Genova la facevano apparire come immersa in una grande svolta del futuro.
Il giorno del Morandi restai in contatto con Marco per ore, raccontandogli la tragedia più grande, scrivendo un articolo che poi fu il primo capitolo di un libro, preceduto da quello che avevo scritto quasi quotidianamente per Blitz, fino a concludere un resoconto completo, intitolato “Cronaca di un crollo annunciato”, stampato da Piemme, il primo a uscire dopo la immane tragedia. Ma da allora lo spirito di osservazione di Marco si era come riacceso, perché il miracolo della ricostruzione di quel ponte era diventato la base di una rivoluzione che lui seguiva, fidandosi molto di Marco Bucci il sindaco di allora e della grande spinta. Così l’altro cantiere, di cui mi chiedeva sempre più spesso notizie era la grande diga, che avrebbe cambiato la faccia al porto, allargandolo di cinquecento metri per far entrare le super navi del futuro. E il porto per un genovese che lo osservava da Castelletto fino da bambino era, in un colpo, tutta Genova.
“Genova tutta colore, bandiera, rimorchiatore, Genova viva e diletta, salino, oro, spalletta”, scrive Caproni.
E dove se non dal porto Genova appariva e appare viva, con il rimorchiatore che porta le navi, con le bandiere che sventolano, con il sapore del salino che il vento ti porta anche lontano?
Ma il sogno del ritorno genovese poi “entrava” proprio nel cuore della città, nel suo magico centro storico, che era il terreno continuo di scoperte per Marco, dei suoi ritorni.
“Genova di Sottoripa, Emporio, Sesso, Stipa, Genova di Porta Soprana, d’angelo e di puttana.”
I versi che riassumono quell’identità contrapposta dei caruggi nei quali non si può non tuffarsi, sfiorando le vecchie chiese magnifiche e segrete, piene di affreschi angioleschi e accanto i “bassi” delle prostitute, che cambiavano razze e etnie, ma non postazioni nel corso dei secoli, come un percorso fisso, un parte di un panorama che non muta dai tempi di Andrea Doria ad oggi.
E poi, sempre seguendo il poeta, in questo caso Virgilio, per me che cercavo i ricordi di Marco: “Genova di barile, cattolica. Acqua d ‘Aprile, Genova comunista, bocciofila, tempista…”
La passione di analizzare dentro questa città i movimenti della sua politica, che nella gioventù di Marco era divisa dai muri anche ideologici, costruiti da un PCI forte, arroccato nelle grandi fabbriche, in quel grande porto, dove dominavano i camalli, della Culmv e poi i socialisti, nati proprio come partito in quel locale diventato cinema, e cresciuti anche nelle bocciofile, quei piccoli campi strappati qua e là negli alvei dei torrenti, tra gli orti di una terra avara di spazi e diventati anche luoghi di aggregazioni politiche.
Marco voleva sempre sapere che cosa si muoveva in quella politica. Fino alla Salis, la ragazza sindaca che lo incuriosiva e sulla quale era così perplesso.
E poi il vento, il tempo che cambiava e che Marco voleva conoscere quasi giorno per giorno nelle nostre telefonate. Che tempo fa oggi là? “Genova di tramontana, di tanfo. Sottana, Genova d’ acqua marina, aerea, turchina.”
I colori, gli odori che non ci sono altrove, perché vengono dal porto, dalle navi, dai caruggi, dalle spezie e sono profumi o anche tanfo e chi è nato lì non può dimenticare e ti chiede quale vento soffia e se l’aria è turchina e se sbuffa la tramontana nera quella che spinge la tempesta o soffia quella chiara, che spiana il mare e lo stira, pulendolo e rendendolo trasparente, di cristallo.
Cercavo di intrappolare Marco nella sua nostalgia con queste descrizioni e a Natale c’era quel di più delle tradizioni riassunte e emergenti, nelle luci, nei colori, in quell’atmosfera sospesa delle Feste, un po’ allegre un po’ tristi. La ricetta del panettone e i dolci più buoni e segreti da pescare nelle botteghe del centro storico.
Allegria di festa e appunto anche tristezza, il sentimento di come siamo noi oggi, vagando nei ricordi, nella memoria genovese di Marco. Per finire: “Genova di tutta la vita, mia litania infinita, Genova di stoccafisso e di garofano……..”
Genova mia e sua litania infinita. Ciao Marco Buon Natale.