Meloni, il piano impossibile per Gaza, così lei (e con lei tutti noi) si affida a San Francesco - Blitzquotidiano.it (foto ANSA)
“Giorge Meloni”, nome (e cognome) registrato presso l’ufficio marchi e brevetti di Pechino. Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti accaduti è puramente intenzionale. Per mera logica commerciale, s’intende. Dietro la brandizzazione selvaggia, brand traducendo marchio, c’è la riconoscibilità, e quindi la profittabilità, assolute di un nome evocativo che trasforma una persona in simbolo. E che giustamente la Jiyun (Xiamen) Trading Co. Ltd, azienda domiciliata nel distretto di Jimei della provincia del Fujian, usa come suo marchio di fabbrica nel mondo.
Made in China, vale a dire quanto di più allogeno e lontano da ogni significazione possibile di patria almeno secondo i gusti di una fervida nazional/sovranista come l’attuale nostra presidente del Consiglio. Quel “Giorge Meloni” è una mezza nemesi, il calcio dell’asino di un sistema diffuso di relazioni commerciali che si ostina a pensarsi globale a dispetto dei suoi volenterosi sabotatori.
L’agenzia di stampa AdnKronos, che ha fatto lo scoop, ci informa che il “Giorge Meloni” – effetti collaterali nell’eccesso di personalizzazione in politica – sarà nome applicato verosimilmente su, a leggere i registri della camera di commercio, “scarpe; stivali; pantaloni; pantofole; scarpe da uomo; scarpe da donna; abbigliamento per bambini; scarpe per bambini”. George Meloni, made in China.