La mano tesa dal mondo islamico all’occidente cristiano e speranza dí pace ma i dubbi e i rischi sono tanti - Blitzquotidiano.it (foto ANSA)
La mano tesa dal mondo dell’islam all’occidente cristiano fa bene sperare in un futuro dí pace.
La foto di Papa Leone che stringe la mano al presidente turco Recep Erdoğan, 10 anni dopo i due incontri fra lo stesso Erdoğan e Francesco ha un alto valore simbolico, ho scritto sul Secolo XIX di Genova.
Quella foto segna la fine di un mondo, non solo nelle nella sostanza, ma anche nell’immagine.
Conferma la volontà di chiudere 1500 anni di ostilità fra le due principali religioni del mondo. Francesco, dopo le chiusure teologiche di Benedetto, avviò il dialogo con l’Islam. Leone ha subito incaricato del dialogo un irlandese dell’ordine di San Colombano (quello di Bobbio).
Sul fronte musulmano siamo in presenza di un notevole attivismo. Lato turco, Erdogan vuole ritrovare il ruolo di grande potenza come era ai tempi dei grandi sultani, prima che la scoperta dell’America scardinasse le millenarie rotte mercantili e facesse saltare il prezzo dell’argento.
Gli arabi invece cercano nell’Occidente più laico che cristiano l’uscita dall’isolamento che li ha confinati ai limiti del mondo.
La foto di Giorgia Meloni accolta sul tappeto rosso all’aeroporto di Manama dal principe ereditario del Bahrein Salman bin Hamad al-Khalifa e la notizia che l’Italia da quelle parti gode di alta stima sono un altro simbolo positivo.
Anche se poi non ci sono tutti gli elementi chiari per bene sperare.
Pensiamo ancora all’attentato dell’11 settembre del 2001, speriamo nella pentimento e nella conversione alla coesistenza pacifica da parte degli arabi sauditi, assistiamo però a una espansione della propaganda islamica attraverso le serie TV turche sulle origini dell’impero ottomano e l’attivismo saudita.
Nei confini dell’Unione Europea, nonché in Gran Bretagna, dalla Germania alla Francia, dalla Spagna al Portogallo, vivono e lavorano milioni di musulmani.
L’assurda e ipocrita idea delle radici cristiane dell’Europa tanto cara a Ratzinger, viene definitivamente accantonata dalla cancellazione dei presepi e dalla constatazione che in molte classi la maggioranza non cristiana è schiacciante.
Per ora si accontentano di pregare nelle loro moschee e di uccidere qualche ragazza riottosa (ma noi, che un po’ di diritto pre e non cristiano lo abbiamo incorporato nel delitto d’onore, abbiamo poco da scandalizzarci).
Cosa potrebbe succedere quando quei milioni di persone, ormai parte integrante e portante del nostro sistema economico, chiedessero un ruolo adeguato per la loro religione?
Sono passati poco più 500 anni da quando il pirata Dragut devastò Rapallo e ne deportò come schiavi la maggior parte degli abitanti. A quel tempo Dragut e il suo maestro di pirateria Barbarossa erano il terrore delle nostre coste, per un periodo si erano installati dalle parti di Montecarlo, da dove partivano le scorrerie fino alle Cinque Terre.
Barbarossa e Dragut sono intrecciati con la storia ligure. Il primo è ricordato come il grande avversario di Andrea Doria, che, si dice, lo ricevette nel suo palazzo a Genova per trattare il riscatto di Dragut. Costui si vendicò di cinque anni al remo
Barbarossa, prima, e Dragut dopo furono insigniti del titolo di gran comandante della flotta ottomana, quando erano in porto a Istanbul partecipavano alle riunioni nel divano di Solimano, il magnifico, il quale, nei suoi sogni più estremi si vedeva seduto sull’altare di San Pietro.
Dí quella corte faceva parte anche un rinnegato genovese, Scipione Cicala, cantato da Fabrizio De André come “Sinán Capudán Pasciá”, arrivato alla suprema carica di Gran Visir.
I Cicala erano una nobile famiglia genovese di origini bavaresi il cui palazzo in San Lorenzo a Genova ospita oggi un hotel di charme. La Chiesa dei Genovesi, a Roma Trastevere, vive ancora sulla eredità di un suo parente, Meliaduce Cicala, corsaro in gioventù,
Ancora fino a metà dell’ottocento navigare fra la Sardegna e l’Africa poteva rivelarsi un’impresa molto pericolosa e ti potevi trovare venduto come schiavo al mercato di Tunisi.
Mentre il Sultano voleva conquistare l’occidente, il Papa a Roma tramava nuove crociate. Dovette accontentarsi della battaglia navale di Lepanto.
A fronte delle speranze ci sono alcune ombre che sembra bene evidenziare. I timori vengono dalle serie turche sulle origini dell’impero ottomano: sono concentrati di propaganda religiosa, in cui almeno una volta per puntata risuona il grido dei terroristi di oggi, Allah akbar.
E poi c’è l’espansione nei media del bravissimo principe saudita bin Salman.
Ha mandato, da sunnita, un messaggio forte al mondo islamico con una serie su Muawiya, grande personalità degli anni seguiti alla morte di Maometto, in odore di complicità nell’uccisione di Ali, riferimento capostipite degli sciiti. Ma il segnale è forte anche per noi infedeli. Nei vari ruoli ricoperti al tempo della grande espansione araba, Muawiya fu anche creatore e ammiraglio della flotta che conquistò Rodi e Cipro.
Più di recente bin Salman ha investito un miliardo a Hollywood, ha investito 220 milioni nel gruppo greco che si dice comprerà Repubblica.
Nell’elenco dei punti di accordo fra Trump e il saudita, c’è, all’ultimo posto, l’espansione nei media e nella comunicazione.
In cauda venenum.