Risorgimento europeo è necessario per non diventare colonia di Trump, ecco le ragioni

Un Risorgimento europeo è necessario per non diventare colonia di Trump

Gli Americani hanno sempre mitizzato la figura del pioniere che affronta viaggi in terre sconosciute per portare civiltà e progresso.

La supremazia economica degli Usa si deve in gran parte all’intraprendenza dei semplici mercanti “i quali mettono tutta la loro gloria nel far denaro”, come affermava Napoleone.

Gli imprenditori americani del secolo scorso, considerando che non esistevano più pianure del Mississipi da sfruttare, cercarono nuovi territori per investire i loro capitali.

Essi guardarono alle aree del nord Ovest del Canada e dell’interno del Brasile. Così prestarono soldi per pagare le linee ferroviarie e stimolarono il potere d’acquisto di questi paesi che compravano attrezzature americane. Successivamente, si sono espansi nell’Oriente del mondo e stanno ora pensando di colonizzare l’Europa.

Del resto, la fine delle ideologie e la caduta dei muri si deve alla fame di nuovi mercati: al costruttore di impianti americano ed europeo non interessa conoscere la razza o le idee politiche del cliente, purché questo sia in grado di pagare il prodotto acquistato.

Importazioni e occupazione

Risorgimento europeo è necessario per non diventare colonia di Trump (foto Ansa-Blitzquotidiano)

A mano a mano che si sviluppano gli investimenti all’estero bisogna fare i conti con il problema occupazionale interno e, per questo, gli economisti di tutto il mondo hanno sempre sostenuto l’esigenza di tariffe protettive per le industrie nazionali.

Tuttavia i dazi possono avere un effetto stimolante soltanto se aumentano i prezzi di vendita dei prodotti, ma ciò determina un ridotto consumo interno.

Inoltre, le importazioni di un paese sono le esportazioni di un altro e i dazi diminuiscono le potenzialità d’acquisto dei prodotti americani esportati.

L’operaio italiano del dopoguerra non avrebbe mai potuto permettersi di comprare il whiskey che oggi ha soppiantato il cognac.

Per attenuare questi inconvenienti, invece dei contro-dazi sarebbe possibile l’aiuto governativo alle imprese esportatrici danneggiate dalle politiche protettive.

In questo modo sarebbero gli stati europei a pagare i dazi a Trump, come sta pensando di fare la Von Der Leyen su consiglio della Meloni.

Mi scuso per queste digressioni in campo economico, tuttavia necessarie per arrivare alla sola conclusione “concreta”possibile.

Tutti i paesi passano attraverso periodi di protezionismo e di libero mercato, ognuno dei quali diventa necessario per rimediare ai danni provocati dalle misure economiche adottate durante la fase precedente.

Il protezionismo meno appariscente adottato dagli Usa è quello dei “brevetti”. Le industrie europee che costruivano elicotteri, armamenti, turbine elettriche, hanno sempre dovuto pagare pesanti royalty agli americani per almeno 50 anni. Queste “tasse” occulte non sono considerate nei conteggi di Trump.

I perché di un nuovo Risorgimento

Gli economisti americani non avevano previsto che i paesi importatori delle aziende e delle tecnologie Usa, con il tempo si sarebbero affrancati dalla dipendenza e avrebbero realizzato gli stessi prodotti in casa propria. Come hanno fatto i cinesi e alcuni paesi orientali.

L’Europa non sempre è riuscita a trasformare in “prodotto” le sue scoperte scientifiche, anche perché i singoli paesi sono sempre stati in lotta tra loro.

Ricorderò un episodio emblematico del “conflitto” commerciale con la Francia, la Nazione che ha sempre protetto le proprie imprese al massimo grado.

Le organizzazioni pacifiste manifestavano a Parigi per denunciare le forniture di armi alle nazioni in guerra. La stampa locale riprese l’avvenimento e denunciò alcune società italiane che stavano consegnando armi a un paese belligerante. Il nostro governo intervenne e bloccò le forniture che pochi giorni dopo furono effettuate dai francesi. Il probema del protezionismo interno all’Unione non è mai stato preso in esame dai parlamenti europei.

Gli Usa sono stati i principali promotori del libero mercato globale durante il periodo in cui la loro supremazia tecnologica e finanziaria è stata indiscussa.

Alla base del “globalismo” sta il seguente principio: una nazione ha interesse ad acquistare all’estero ciò che le proprie aziende non sono in grado di produrre o che producono a prezzi eccessivi.

Se esci da questa logica e ne fai una questione di “occupazione” dei singoli comparti produttivi, sei contro le leggi del mercato, perché tutti i paesi al mondo hanno il problema del lavoro.

I disavanzi commerciali, che cambiano nel tempo, li puoi compensare se diventi più competitivo: quando il disavanzo aumenta è segno che il sistema produttivo è diventato inefficiente.

L’Europa compra dagli Usa gran parte della tecnologia civile e militare perché fa conto sugli acquisti degli americani dei propri beni e servizi. Se il popolo americano chiede di “bere” all’europea è perché paesi come l’Italia e la Francia producono vini migliori di quelli californiani.

Le nostre navi da crociera sono comprate dagli americani in forza della supremazia tecnologica di Fincantieri e anche grazie al contributo dei migranti che sostituiscono gli operai italiani che cercano maggior “tempo libero”.

L’altro principio del globalismo è che un’azienda deve mettere a disposizione del mercato i beni e i servizi prodotti senza imporre prezzi monopolistici: molti gruppi americani stanno subendo azioni legali per abuso di posizione dominante, vietata dall’antica legge sui “trust”.

I trust americani  assorbivano nuove imprese a velocità impressionante, ricorrendo a vere e proprie attività predatorie: i concorrenti venivano rovinati da prezzi sottocosto o dallo spionaggio industriale e i mercati cadevano in regime di monopolio.

Frequenti depressioni, rigorosi cicli economici e scandalose operazioni finanziarie continuavano a shockare il pubblico e distrussero la fiducia nei mercati non regolamentati. Nacque così lo Sherman Act che dichiarò illegali le concentrazioni e i monopoli. Si deve alle successive leggi antitrust e in particolare al Clayton Act se  la democrazia americana ha potuto resistere tanti anni.

Trump ignora le leggi antimonopolio e aggira le regole del libero mercato che, in casa propria, sono Vangelo. Egli sostituisce la “competizione” con la “contrattazione” ed è la presenza di venditori e compratori concorrenti ad impedire che uno di essi possa imporre la propria volontà. Nel confronto economico attraverso i dazi vince il paese con maggior potere condizionante-ricattatorio. La Cina ha messo il bavaglio a Trump per via delle terre rare.

Se l’Italia minacciasse di non esportare più vino o abiti di lusso in America, gli effetti per i cittadini americani sarebbero limitati. Se l’Europa applicasse le imposte sulle attività delleimprese esportatrici delle big tech e tali imprese decidessero di risolvere i contratti, sarebbe a rischio la sopravvivenza dell’intero continente. In conclusione, la capacità contrattuale dell’Europa è molto modesta, perché non esitono fornitori alternativi all’America di beni e servizi “essenziali”. Chiedere di applicare il bazooka nella trattativa con Trump è quindi roba da naif dell’economia e della politica.

Trump pretende i dazi “subito” e non è interessato a riportare aziende in America; l’idea di voler tutelare l’operaio è uno slogan elettorale per i gonzi, perché il processo di “reimpatrio”delle aziende richiede tempi lunghi. Il radicamento del capitale presuppone una mano d’opera adeguata e una classe dirigente qualificata; l’esportazione delle fabbriche ha come conseguenza la perdita diffusa del “patrimonio umano” non sempre sostituibile con i robot.

Questa situazione, tra farsa e tragedia, deve costituire una lezione per il futuro: se il fornitore ti ricatta perché puoi rivolgerti solo a lui, devi trovare un altro fornitore o ti devi costruire da solo tutti i prodotti “essenziali”.

Infatti, se i beni importati costeranno sempre di più e quelli esportati non daranno valore aggiunto corrispettivo adeguato, sarà conveniente farsi in casa i phon, l’hardare e il software di microsoft, i motori di ricerca su internet, i satelliti, i chip, i circuiti integrati, i computer e magari gli stessi armamenti come stanno progettando di fare i tedeschi.

 

Potremmo avere felici sorprese se gli europei acquisissero lacoscienza delle loro potenzialità e si togliessero la camicia di forza che ne limita i movimenti, come la burocrazia, la legislazione sui conflitti di interesse, la progressività spinta delle imposte, la politica green, le pruderie sul finanziamento ai partiti. Principi tutti di cui Trump ha fatto strame.

L’Europa non è nata ieri. Non dimentichiamo che la maggior parte delle leggi che governano la trasformazione dell’energia, la struttura fisica e chimica della materia, il comportamento dell’elettricità e del magnetismo, sono venute dall’Europa. La telegrafia senza fili, che fu la base della radiofonia, è dovuta a Marconi. Ma l’Italia non era in grado di sfruttare la scoperta sul piano commerciale per mancanza di imprenditori e di capitali di rischio.

La stessa cosa si è verificata nel campo degli armamenti: gli americani hanno copiato e migliorato i V2 tedeschi, il precursore di tutti i missili balistici e la bomba atomica sganciata su Hiroshima si doveva (purtroppo) agli scienziati tedeschi e italiani fuggiti dal nazifascismo.

L’Europa di oggi dispone delle risorse scientifiche e umanesufficienti per realizzare qualsiasi innovazione, come mai è avvenuto nel passato.

Il vero obbietivo eropeo dovrebbe essere quello di realizzare una tecnologia indipendente da quella americana e ciò può sarebbe possibile se le 27 “patrie” diventeranno “Nazione”.Una eventualità a cui Trump si oppone in modo palese.

Anche i sindacati, che scioperano ormai solamente contro lo Stato, devono capire che l’occupazione e i salari non sono più un problema interno.

Quando le agenzie di viaggio americane invitano i turisti a non venire in Italia dove ti aspetta la paralisi dei servizi pubblici edove gli scippi sono abituali, devi capire che è a rischio il turismo che rappresenta una fonte importante di ricchezza del paese.

Capisci che un sindacato non può più permettersi di essere corporativo e ideologico ma deve diventare “propositivo”, che le regole del gioco devono essere riviste in radice e che la pace sociale è diventata un fattore di concorrenza economica tra le Nazioni.

Capisci che la grande battaglia tra il vecchio continente e il resto del mondo è appena cominciata e che c’è bisogno di un Risorgimento europeo.

Published by
Giorgio Oldoini