
ROMA – Governo, Renzi e Letta ai ferri corti “Sono stati dieci mesi di fallimenti” “Ti sbagli, abbiamo fatto bene”. La Repubblica: “Incontro in serata tra i due. Lunedì la riforma elettorale”. L’articolo a firma di Giovanna Casadio:
«Nei mercati rionali, quelli che frequento io, questo è il giudizio sul governo…», che sono stati «dieci mesi di fallimenti». Matteo Renzi non fa sconti a Enrico Letta. Il premier ha appena commentato la relazione del neo segretario del Pd nella prima direzione dell’era renziana. Letta corregge e si difende: «Ovviamente ho un giudizio diverso sui nove mesi di lavoro in uno dei tempi più complessi e travagliati della nostra storia recente, però sì a un nuovo inizio». E Renzi raccoglie e sfida: «Enrico ha fatto una dichiarazione che ha una parte positiva e una negativa. La parte negativa la prendiamo come i messaggi di Krusciov a Kennedy sulla crisi dei missili…». Battute e strategia. Però in serata di due, Renzi e Letta, si incontrano a Palazzo Chigi.
Il segretario dem entra a gamba tesa. Assesta scrolloni al governo e al partito: «Ci giochiamo la faccia… non siamo riusciti a fare la legge elettorale e non abbiamo fatto le riforme, tema su cui abbondano i ministri ma i risultati non ci sono. O si cambia o si muore ». Poi però rassicura: «Io sono stato l’unico a non avere mai posto un termine finale all’azione di governo: finché si fanno le cose, si può andare avanti». Poco dopo di nuovo all’attacco: «Oggi il governo è al minimo storico di gradimento, questo non mi fa piacere è un dato che mi terrorizza, dobbiamo cercare di invertire la china… ». Una tattica da elettrochoc, tanto per vedere se qualcosa cambia. Ammette: «Facendo così rischio il tutto per tutto, non lo farei se non sapessi che, senza questa svolta, il Pd muore alle elezioni del 25 maggio».
La posta in gioco è alta. Lo scontro con Letta è inevitabile. C’è di tutto in questa prima direzione affollata di 185 membri (su 204) : la consigliera regionale bresciana che chiede se il Nazareno è il posto giusto; Fassina, l’ex vice ministro, “nero” d’umore; il segretario che ritwitta in diretta l’avvertimento di Formigoni “piccolo promemoria per lo stratega Renzi: la legge elettorale si vota a scrutinio segreto… la scottatura è dietro l’angolo”. Renzi avverte a sua volta i suoi che, se ci fossero franchi tiratori – il vizietto contagioso nel Pd – se ci fosse il meccanismo della fronda e del voto segreto, allora «salterà l’intesa stessa del patto costitutivo di una maggioranza». E qui si entra nel terreno minato della legge elettorale e delle tensioni con la minoranza per l’incontro conBerlusconi forse sabato (…)
L’avvertimento di Enrico a Matteo “Se tiri troppo la corda salta tutto”. L’articolo a firma di Goffredo De Marchis:
È arrivato il momento delle minacce. Succede tutto alla vigilia dell’incontro tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, fissato domani alla Camera. «La legge elettorale devi farla a partire dalla maggioranza di governo — è l’avvertimento di Enrico Letta al segretario del Pd — e bisogna ragionare sul doppio turno. Altrimenti vai a sbattere. Al Senato non hai numeri e si va a votare col proporzionale ». I duellanti del Pd si vedono alle 10 di sera, dopo una lunga direzione del partito e uno scambio molto polemico sul lavoro dell’esecutivo. Sono ore drammatiche e decisive. Il governo e il premier sono sotto assedio: oggi Nunzia De Girolamo riferisce in aula, incombe il vertice con il Cavaliere e estendono i timori del Nuovo centrodestra che si aggrappa a Letta immaginando uno show down nel fine settimana: «Se le cose vanno storte — paventano gli alfaniani — Enrico si dimette».
La partita è quella della legge elettorale. La coalizione regge solo se Alfano viene coinvolto e Berlusconi rimane ai margini.«Guarda che la maggioranza è una garanzia anche per te. Non ti porterai dietro Angelino sul sistema spagnolo o sul Mattarellum. Hai fatto male i conti, al Senato non puoi rispettare un patto con Forza Italia». Incontro a muso duro, quindi. Sulle dimissioni Letta le esclude, non crede che la voce possa uscire dal Ncd: «Sono veleni di qualcun altro, ovvio». Lui vuole giocarsela fino in fondo: «Mi difenderò senza cedimenti». Come? Con un rimpasto che sia l’avvio di una fase nuova. «Dobbiamo mettere un po’ di soldi nelle tasche degli italiani. Rilanciare la competitività del Paese per dare lavoro e reddito alla gente». A Renzi si chiede di partecipare attivamente, di mettere anche lui la faccia su un esecutivo di un anno che affronti gli effetti della crisi. Giorgio Napolitano è d’accordo. Si può, anzi a questo punto si deve, ragionare su un Letta bis, ossia dalle dimissioni e da un nuovo incarico. Così la ristrutturazione della squadra sarebbe radicale e il senso di una novità evidente. Ma basterà?
L’incontro con Berlusconi sta provocando una reazione a catena. Renzi vuole andare fino in fondo. «Devono capire che faccio sul serio, che voglio portare a casa la riforma. Mi gioco tutto su questo», spiega il sindaco al premier. Perciò il vertice è confermato. Non in un albergo («sarebbe ridicolo») ma alla Camera, in una sala neutra. «Io e Berlusconi da soli. Non voglio nessuno. Come ho fatto per tutti gli altri incontri». Ai suoi “Matteo” giura di aver già deciso: «O il sistema spagnolo o il Mattarellum». No al doppio turno, il sistema preferito di Alfano e di Letta. Lo dice chiaramente al gruppo di Fratelli d’Italia, a muso duro, senza giri di parole: «Sappiate che sono contro i partitini e i loro veti. Quindi contro di voi. Ma se si fanno le riforme istituzionali avete un anno per organizzarvi ». Incoraggiante, commenta ironico Guido Crosetto. «Attento a come ti muovi. Puoi rimanere con un pungo di mosche », insiste Letta nel colloquio notturno. «Io invece sono sicuro che alla fine ci staranno in tanti, quando vedranno che l’obiettivo è a portata di mano», risponde il sindaco. E i dissensi nel Pd, il pericolo di un fuoco amico, anzi la certezza di una rottura tra i democratici? Non davanti a Letta, ma Renzi fa spallucce: «Non temo i bersaniani. Non vanno da nessuna parte».
De Girolamo, incarico appeso a un filo “Mi gioco l’onore”. Il gelo di Letta. L’articolo a firma di Tommaso Ciriaco:
Sul ciglio del precipizio, Nunzia De Girolamo si gioca tutto: «Alla Camera è in programma la partita più importante della mia vita». Oggi, dalle nove, affronterà l’Aula di Montecitorio. E con ogni probabilità dovrà prendere atto dell’assenza del premier Enrico Letta, ormai pronto a sacrificarla con la scusa del rimpasto.
La pressione sul ministro dell’Agricoltura si fa sempre più insopportabile. L’interpellanza voluta dal Partito democratico, poi, è capace di spezzare l’assedio solo per un attimo. Incombe la mozione di sfiducia presentata dal Movimento Cinquestelle, ammesso che non arrivi prima un avvicendamento diventato quasi inevitabile.
La vigilia trascorre lentissima, al ministero dell’Agricoltura. La conferenza Stato-Regioni – alla quale partecipa anche De Girolamo – è una breve parentesi nel giorno più difficile. Solo ufficialmente il ministro fa sfoggio di sicurezza: «Sono molto serena, anche se molto stanca. E ho una grandissima fiducia nella magistratura. Domani dirò in Parlamento tutto ciò che ho da riferire». In realtà, è costretta a osservare crepe sempre più preoccupanti nel fronte governativo.
Scelta civica, ad esempio, rovina l’attesa della responsabile dell’Agricoltura. «Sono dell’avviso che quando un ministro crea imbarazzo al governo di cui fa parte – è il buongiorno di Stefania Giannini, segretaria dei montiani – dovrebbe valutare l’opportunità di dimettersi». E poco conta che il capogruppo Andrea Romano tenti di aggiustare il tiro: «Attendiamo con serenità di ascoltare le spiegazioni, poi decideremo». De Girolamo si aggrappa alla precisazione – «faccio fede a ciò che ha detto Romano, conta il partito per intero e non una posizione personale» – ma Benedetto Della Vedova torna a far calare il gelo: «Se vi fosse un motivo di imbarazzo per l’esecutivo, il nostro auspicio è che il ministro possa valutare le dimissioni».
Rimborsi in Piemonte, nuova tegola per Cota I pm: va processato. L’articolo de Il Corriere della Sera a firma di Marco Imarisio:
Ogni giorno ha la sua pena per Roberto Cota. Quella di ieri, per quanto scontata, addirittura preannunciata da una telefonata di cortesia dalla procura di Torino, non è di poco conto. I magistrati hanno chiesto il processo per il governatore del Piemonte e di altri 39 tra consiglieri e assessori regionali. Per tutti l’accusa è di peculato, che si traduce nell’aver effettuato spese personali con denaro pubblico provenienti dai rimborsi dei gruppi consiliari. Sul governatore pesano venticinquemila e 410 euro suddivisi tra ricevute di ristoranti, anche cinque al giorno, le celeberrime mutande verdi e altri ammennicoli come articoli di pelletteria e valigeria, sigarette, dvd Fair Game, cravatte, libro antico di Gerolamo Boccardo, orologeria, custodia di Ipad e regali di nozze che i pubblici ministeri non hanno considerato strettamente connessi alla sua attività politica.
Nella richiesta di rinvio a giudizio vengono appunto riepilogate le spese cosiddette pazze di ogni indagato. Il decreto di archiviazione per gli altri consiglieri che sono riusciti a provare la loro estraneità alle accuse contiene invece l’esposizione del metodo d’indagine. «L’accusa si è attenuta a regole di assoluto favor rei , sia per la valutazione dell’inerenza dei costi all’attività del gruppo, sia in riferimento all’elemento soggettivo. Dove non vi è traccia, o la stessa si è scolorita, di fatti di utilizzo personale di risorse pubbliche, c’è grande difficoltà nel dimostrare la sussistenza di un dolo appropriativo». Lo spartiacque era dato anche e soprattutto dalla buona fede, con la procura che, nero su bianco, si diceva pronta «perdonare» le spese «anche se non ammissibili» considerate tali dai singoli consiglieri.
Nei corridoi del consiglio regionale ieri si coglieva molta perplessità sui nomi dei consiglieri regionali archiviati. Uno in particolare. «Non si ritiene di poter raggiungere la prova della mancanza di un interesse in capo al gruppo dell’acquisto di tale materiale, atteso che lo stesso non consta di meri spot elettorali, ma illustra le prese di posizione di Mercedes Bresso su diversi versanti dall’attualità politica». All’ex governatrice era stata contestata la spesa di circa novemila euro per alcuni video realizzati durante la campagna per le Regionali del 2010 e poi messi a rimborso del suo gruppo, Uniti per Bresso. I magistrati la consideravano una forma illecita di finanziamento ai partiti, ma si sono ricreduti dopo aver constatato l’esistenza e l’effettivo utilizzo di quei video.
«La mini Imu? Il 10% della vecchia tassa». L’articolo del Corriere della Sera a firma di Mario Sensini:
Le imposte sulla casa spingono i sindaci ed il governo ai ferri corti. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, difende la mini-Imu del 2013, che costerà «meno del 10% di quanto sarebbe stato dovuto», ed escludendo un nuovo rinvio della scadenza del 24 gennaio, ma spiegando che il governo non poteva farsi carico delle decisioni «ad hoc» prese dai Comuni che hanno alzato l’aliquota sulla prima casa dopo la decisione dell’esecutivo di sospendere il suo versamento per il 2013. I sindaci attaccano invece sulle tasse del 2014: secondo loro con la riforma mancano 1,5 miliardi, «per avere le stesse risorse del 2013», e contestano la decisione del governo di concedere un eventuale aumento delle aliquote della Tasi per le detrazioni.
«Noi restiamo coerenti con l’impostazione del governo di non aumentare l’imposizione fiscale e soprattutto, se aumenta, non siamo noi ad aumentarla» dice il presidente dell’Anci e sindaco di Torino, Piero Fassino. I sindaci sollecitano 500 milioni per le detrazioni, più un miliardo per pareggiare i fondi del 2013, ma non vogliono chiederli loro ai cittadini. «Si possono ottenere — dice Fassino — ad esempio riconoscendo ai Comuni l’Imu che lo Stato percepisce sugli immobili strumentali delle imprese». Quindi con un trasferimento dello Stato centrale, che però dovrebbe essere coperto con altre entrate o tagli di spesa per non far sballare i conti pubblici. Il governo tiene la porta aperta al dialogo con i Comuni con il sottosegretario all’Economia, Pierpaolo Baretta, che conferma la disponibilità già offerta dal ministro Graziano Del Rio, ad un confronto sulle risorse «già all’inizio della prossima settimana». Anche se i sindaci confermano la mobilitazione. Un altro fronte di attrito per il governo, questo con il Parlamento, riguarda la rivalutazione del capitale Bankitalia previsto dallo stesso decreto della mini-Imu, che Saccomanni ha chiesto ieri alla Commissione Finanze della Camera di convertire, dati i tempi strettissimi senza modifiche. Per il ministro la rivalutazione delle quote a 7,5 miliardi (oggi hanno un valore nominale di 156 mila euro), con un limite di 450 mila euro alla distribuzione dei dividendi serve a dare certezza normativa e a rafforzare anche il patrimonio delle banche, «senza pregiudicare l’autonomia e l’indipendenza della Banca, senza dar luogo a conflitti d’interesse».