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Rettifiche lampo e maxi multe rischio bavaglio per le testate web. Milella, Repubblica

di Gianluca Pace |10 Ottobre 2014 8:50

Rettifiche lampo e maxi multe rischio bavaglio per le testate web. Milella, Repubblica

ROMA – “Quando di mezzo ci sono i giornalisti – scrive Liana Milella di Repubblicala voglia di bavaglio è sempre dietro l’angolo. Adesso l’obiettivo è soprattutto il web, le testate online, considerate troppo libere e incontrollabili. Non solo dovranno rettificare subito, ma soprattutto dovranno cancellare tutto”.

L’articolo completo:

Per legge. Ci hanno provato con le intercettazioni a mettere il bavaglio, adesso passano per la diffamazione. Quel singolare ddl «Loch Ness» (come lo chiama Gasparri) che compare e scompare come lo storico mostro. Ora che rispunta al Senato, dopo un anno di misterioso sonno, rivela subito di che pasta è fatto. Pasta punitiva, tutta giocata su rettifiche capestro ad horas, su multe per migliaia di euro (fino a 50mila per un falso cosciente), sull’interdizione per sei mesi, sulla responsabilità dei direttori per qualsiasi notizia diffamatoria anonima. Come dice il Dem Felice Casson «di positivo, nel ddl, c’è che finalmente viene cancellata la previsione del carcere per i giornalisti…». Ma il prezzo da pagare per la cella (assai rara) che non c’è più è uno stillicidio pesante giornaliero che colpirà pesantemente anche le testate online. Ieri il testo, già votato alla Camera ma assai rimaneggiato in commissione Giustizia al Senato, è giunto in aula. Discussione generale. Se ne riparla tra un paio di settimane, ma bisogna dire subito che la legge, così com’è, proprio non va. Emendamenti compresi.
Il carcere non c’è più. E sia. Ma ci sono le multe. Normalmente fino a 10mila euro. Ma fino a 50mila «se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità». Rispondono anche, «a titolo di colpa», il direttore o il vice direttore responsabile. «La pena è in ogni caso ridotta di un terzo». Ma i due rispondono pure «nei casi di scritti o di diffusioni non firmati». E veniamo alle rettifiche, il comma dolente. È scritto che «il direttore è tenuto a pubblicare gratuitamente e senza commento, senza risposta e senza titolo, con la seguente indicazione ”rettifica dell’articolo (titolo) del (data) a firma (l’autore)” nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa, o nella testata giornalistica online (solo registrate, quindi niente blog, ndr.) le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità». Salvo che queste rettifiche non abbiano un risvolto penale, vanno pubblicate. Per le testate online va fatto «non oltre due giorni», «con la stessa metodologia, visibilità e rilevanza ». Se non si rettifica entra in scena il giudice che «irroga la sanzione amministrativa», avverte il prefetto e pure l’ordine professionale. Il quale sospende fino a sei mesi.
Ma non è finita qui. Siamo alla distruzione definitiva. Oltre alla rettifica e alla richiesta di aggiornare le informazioni, l’interessato «può chiedere l’eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o dei dati personali ». Non basta nemmeno. «L’interessato può chiedere al giudice di ordinare la rimozione delle immagini e dei dati ovvero di inibirne l’ulteriore diffusione ». Dulcis in fundo: «In caso di morte dell’interessato le facoltà e i diritti possono essere esercitati dagli eredi o dal convivente ».

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