Scienza

Siamo tutti italiani, liguri i nostri antenati comuni, nella loro lingua l’identità europea

Siamo tutti italiani. “Come ti chiami o bella indù? L’italiano non ci stette a pensar su” esordiva Faccetta Nera.

Poi, tra di noi, peste e corna, sardi contro veneti, genovesi contro napoletani, torinesi contro tutti. Ai tempi della prima guerra mondiale, mi raccontava mio padre, in trincea i giovani morituri, italiani da appena mezzo secolo, si rivolgevano ai commilitoni col nome della città di provenienza, tanto erano lontane le loro origini, dalle Repubbliche di Genova e Venezia al Regno delle due Sicilie al Granducato di Toscana allo Stato Pontificio.

Per Gianni Agnelli i piemontesi erano una specie di popolo eletto, per me, nel mio piccolo, il cerchio degli eletti si restringe dai genovesi a quelli nati nel mio rione, Castelletto, dove nacque Nino Bixio e abitano Franco Manzitti e Edoardo Rixi e a chi ha frequentato il liceo Colombo dopo Giuseppe Mazzini (Camillo Sbarbaro, Giulio Natta, il Nobel per la Chimica, Emanuele Luzzati, Giorgio Labò, Fabrizio De André, Enzo Tortora) e  i miei più cari amici: Andrea D’Angelo, Giamba Mattarana, Gian Maria Scofone, Manzitti.

La realtà è un po’ diversa e la risposta è forte e chiara: gli italiani sono tali da più di duemila anni e tali saranno finché esisterà il mondo, magari un po’ geneticamente modificati, così come si sono modificati prima e dopo quando Augusto unificò l’Italia.

I miti delle origini degli italiani

Siamo tutti italiani, liguri i nostri antenati comuni, nella loro lingua l’identità europea – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

La storia è intrecciata di miti, il più tenace dei quali è quello della discendenza romana, uno dei cardini dell’ideologia risorgimentale (basta ricordare il nostro inno nazionale scritto dal genovese-sardo Goffredo Mameli) portato all’estremo da Mussolini e dal fascismo.

Ed è anche intessuta di ombre, come la nebbia che avvolge le origini liguri dell’Europa, e di mezze bugie, come quella alimentata dai veneziani che attribuiscono ai genovesi di Giovanni Giustiniani la caduta di Costantinopoli.

Un fatto mi pare certo: la nostra identità si è formata nei secoli, ed è una identità culturale e ideale prima ancora che linguistica. Anche se i primi a poetare in lingua italiana albergavano alla corte siciliana (Ciullo d’Alcamo con la sua rosa fresca aulentissima), sono stati i dialetti a dominare la comunicazione a tutti i livelli sociali. Tutti parlavano dialetto, li distingueva l’accento: quello di Ravano o Costa era diverso da quello dei loro contadini.

Il concetto di Italia ci è stato tramandato fin dal ‘300 da Dante Alighieri (“non donna di province ma bordello”) e Petrarca (“Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno / a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo sì spesse veggio” fra “‘l Tevero et l’Arno e ‘l Po”) e poi Muratori e altri.

A questa visione si è contrapposta peraltro una idea che potremmo un po’ arditamente definire pre europeista, che vedeva nell’Impero, romano di nome ma tedesco di fatto, il nostro futuro. Così grandi generali come Raimondo Montecuccoli e Eugenio di Savoia guidarono gli eserciti europei dell’imperatore.

La nostra identità nazionale non soffoca le differenze fra regioni e città e perfino paesi limitrofi. Provo sempre meraviglia ogni volta che penso alla inconciliabile rivalità che divide due cittadine della provincia di Genova, Recco e Camogli: le separano venti metri di via Aurelia eppure quel che dicono gli uni degli altri è irripetibile.

Lo stesso vale per tutto il territorio italiano, dalle Alpi a Capo Passero ma vale ugualmente se si guarda agli altri Paesi e si pensa, ridendo, al film francese Sud al Nord o, tragicamente, all’odio sfociato in terrorismo che ha insanguinato l’Irlanda.

Sono tutti francesi, sono tutti britannici, eppure…

All’origine ci sono insediamenti di tribù rivali o invasioni dí popoli ostili per origine o religione (Irlanda, Bosnia, Kosovo).

Il DNA degli italiani

Parliamo di tempi in cui poche migliaia di persone facevano una tribù, un popolo.

Studiosi come Viola Grugni e Maciamo Hay su Academia.edu ci danno conferma delle nostre differenze con la prova del DNA.

Non esiste, scrivono, un solo popolo italiano, ma una moltitudine di gruppi etnici e culturali, spesso con una propria storia indipendente che risale a tempi antichissimi.

Innumerevoli popoli si sono stabiliti in Italia fin dal Neolitico: agricoltori del Vicino Oriente, tribù italiche, Liguri, Etruschi, Fenici, Greci, Celti, Goti, Longobardi, Bizantini, Franchi, Normanni, Svevi, Arabi, Berberi, Albanesi, Austriaci e altri ancora. Tutti hanno lasciato la loro impronta genetica sulle popolazioni delle regioni in cui si sono insediati.

L’Europa, ricorda Hay, è abitata dall’uomo moderno da oltre 40.000 anni. Due terzi di questo periodo corrispondono all’era glaciale, un periodo in cui gli esseri umani vivevano come cacciatori-raccoglitori nomadi in piccole tribù. Durante l’Ultimo Massimo Glaciale, che durò approssimativamente da 26.500 a 19.000 anni fa, gran parte dell’Europa settentrionale e centrale era ricoperta da calotte glaciali ed era praticamente inabitabile per gli esseri umani. L’Italia era uno dei rifugi temperati per i Cro-Magnon.

Quando i primi agricoltori e pastori neolitici arrivarono in Italia dal Vicino Oriente, 8.000 anni fa, la maggior parte della penisola era abitata da cacciatori-raccoglitori.

E qui entra in scena il popolo dei liguri, alle cui origini la Società Ligure di Storia Patria dedicò nel 1976 un volume di 477 pagine intitolato “Fontes Ligurum et Liguriae antiquae”: Nell epoca anteriore alle guerre romano-liguri, vi si legge, l’ethnos ligure sembra essere stato diffuso nella Gallia meridionale, nella penisola iberica, nell’Europa nord-occidentale e settentrionale, nel Lazio e nella Sicilia; persino nell’Asia Minore orientale e nel Caucaso si parla, impropriamente, di Liguri, spesso alternando tale termine a quello di Libi.
Successivamente il territorio abitato da quella popolazione si restrinse all’angolo nord-occidentale dell’Italia, finché, con l’inizio dell’impero e fino a tutto il VII sec. d. C., col termine Liguri si intendono soltanto gli abitanti delle successive entità amministrative denominate Liguria , la IX Regio augustea prima, e la provincia post-dioclezianea poi. (Forme attestate: Libies, Libiestini, Ugistini, Ligurae, Ligures, Ligustini, Ligyes, Lybyes, Lybyeslini, Lygires, Lygurii, Λίβυες, Λιβυστϊνοι, Λιγούρες, Λιγούριοι, Λιγοϋροι, Λίγυες, Λίγυρες, f Λιγυρίσκοι, Λιγυστανοί, Λιγυσιοι.

Un mistero nella preistoria

Origini, espansione e declino del popolo dei liguri costituirono per me il grande mistero nella preistoria d’Europa.

Ne fa parte anche il ruolo della lingua ligure nella formazione di quelle lingue europee che la retorica romanistica e la vista corta degli accademici ha definito come lingue romanze.

I liguri furono i primi abitanti sapiens sapiens dell’Europa. Poi arrivarono gli invasori indo-europei che, ai tempi del grande rimescolio, intorno al XIII-XII secolo a.C., definirono Europa e Mediterraneo orientale come a grandi linee è ancora oggi.

Il ruolo dei liguri, esaltato da due storici francesi dell’800, è stato letteralmente obliterato innanzi tutto proprio dai francesi, che non potevano accettare di discendere da una razza meno evoluta come furono i liguri. Non c’è libro di storia francese che ne parli, per tutti la discendenza è gallica, celtica anche se i galli furono praticamente sterminati da Giulio Cesare.

Fu lo studioso francese Henri d’Arbois de Jubainville a elaborare e diffondere, nel 1877, la teoria della predominanza ligure in Europa in un libro di oltre 400 pagine intitolato “Les premier habitant de l’Europe.

Fu un altro francese, Alfred Merlin, nel suo “L’Aventin dans l’Antiquite” a spiegare come i primi abitanti di Roma furono i liguri occupando l’Aventino, location ideale fra i sette colli. I più evoluti etruschi e latini ebbero gioco facile a sopraffare e ridurre in schiavitu quei poveri liguri, mantenendo poi l’Aventino nella disponibilità delle famiglie dominanti e fuori dal pomerio di Roma per mezzo millennio.

Ancora negli anni ‘30 un altro storico francese, Leon Homo, scriveva che i liguri sono “il popolo più antico di cui la tradizione ha conservato memoria” nonché “uno dei popoli più antichi dell’Occidente”.

I liguri e il mito di Roma

Ma anche in Italia il primato dei liguri non andava d’accordo col mito della nuova Roma.

Eppure molti sono gli autori greci e latini che ne scrissero. La fonte più antica che cita i Liguri è un frammento di Esiodo (fine VIII-inizi VII secolo a.C.), riportato da Strabone. Seguono Eschilo, nel V sec. a.C., che conferma la presenza dei Liguri in Francia in epoca antecedente la fondazione di Marsiglia nel VI secolo a.C., Sofocle (V secolo a.C.), che nel Trittolemo indica i Liguri come abitanti lungo la costa tirrenica settentrionale, Tucidide (V secolo a.C.), Erodoto(V secolo a.C.).

Il Periplo di Scilace, una descrizione delle coste del Mediterraneo e del Mar Nero datata tra il IV e il III secolo a.C., riporta la presenza dei Liguri mescolati agli Iberitra i Pirenei e il fiume Rodano e dei “Liguri veri e propri” sulle coste tra il Rodano e il fiume Arno. È poi Diodoro (IV sec. a.C.), Apollonio Rodio (III secolo a.C.), Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C.).

Nell’Eneide, Virgilio (I secolo a.C.), racconta che i Liguri furono una delle pochissime popolazioni che combatterono al fianco di Enea nella guerra contro i Rutuli. Tacito riporta nel “Germania” che vi abitavano parecchie genti “Lygiorum nomen”. Ne parlano Plutarco ( I secolo d.C.), Diodoro Siculo, Livio, Cicerone, Avieno.

In una Europa ancora mezzo ghiacciata, coperta di foreste e in cui le bestie feroci dominavano, i liguri si espansero fino agli estremi confini. Di spazio c’è n’era.

In un continente dove oggi vivono tre quarti di miliardo di persone, all’epoca si calcola vivessero fra 50 e 250 mila individui.

Parlavano la stessa lingua, pregavano gli stessi dei, seguivano le stesse regole di coltivazione della terra e allevamento del bestiame che i loro avi avevano appreso nelle pianure dell’est.

Non costituirono però una unità politica, un impero dei liguri.

Gente a guida matriarcale

Erano gente pacifica, forse a guida matriarcale.

Probabilmente furono loro a aprire le prime rotte commerciali, come la via dell’ambra, dal più profondo nord al più evoluto Oriente. La ricchezza di un’isola come Creta o in generale delle isole greche non si spiega se non con la collocazione sulla strada del commercio fra le attuali Germania e Cecoslovacchia e il medio oriente e oltre sui primi sentieri della via della Seta.

Gli ariani provengono dalle steppe o dal Caucaso o da qualsiasi altro posto, portano cultura, tecnologia, istruzione, dei.

Cosa è successo a coloro che erano già lì? Non è una grande preoccupazione per i professori universitari che dominano il pensiero e gli studi.

Ma, poiché vedo le cose da un punto di vista diverso, penso che siano stati per lo più ridotti nella sottomissione. Alcuni si ritirarono sulle montagne, altri trovarono rifugio in regioni inospitali come l’attuale Liguria. La stragrande maggioranza di quelli che erano lì rimase lì, a lavorare per i nuovi padroni. Ecco, tra l’altro, come sono andate le cose nella storia umana e come vanno ancora, non solo in politica ma ad esempio nella vita aziendale: sottomissione, integrazione, pulizia etnica…

Lasciatemi spiegare meglio, accettando che io guardi le cose dal basso, partendo da ciò che posso vedere adesso, oggi.

Ci viene detto che gli ariani presero due direzioni principali diverse, una a est e sud-est verso l’India, una a ovest in Europa.

Quando arrivarono, nelle terre che avrebbero dominato c’erano già milioni di persone. I nuovi arrivati ​​erano nell’ordine di poche decine di migliaia, forse centinaia di migliaia per invasione. Come potevano questi nuovi arrivati ​​sottomettere i residenti più anziani?

Possiamo supporre: tecnologia superiore, cioè armi migliori, organizzazione superiore. Cesare conquistò la Gallia con, all’inizio della conquista, 4 legioni, 24.000 uomini. I Galli conquistarono la Gallia nel 60.000: ma erano determinati, feroci, terribili da vedere. Guglielmo il Conquistatore sottomise l’Inghilterra con una forza stimata tra 7 e 12 mila. E i suoi discendenti sono ancora lì, quasi 1.000 anni dopo.

Se conquistare un paese è un problema, mantenerlo lo è ancora di più.

In India il sistema delle caste, sostenuto da una serie di credenze religiose, è in vigore sin dall’invasione indoeuropea. Le cose si stanno evolvendo un po’ ora, ma per diverse migliaia di anni non c’è stato modo di scappare. E puoi vedere la casta nel modo in cui le persone appaiono. Le vedi ora, non solo in India ma ovunque gli indiani siano migrati.

In basso hai individui bassi, con pelle, occhi e capelli scuri. In alto i Brahmini, alti ed eleganti, potrebbero essere nobili del Sud Italia. Ammetto di non avere conoscenze per collegare la lingua principale parlata oggi in India, l’hindi, da 4 quinti della popolazione, tra le 22 lingue ufficiali, con le conseguenze della conquista indoeuropea.

Una base comune

Ma posso osservare qualcosa sull’Europa.

Se seguiamo la linea degli scienziati, siamo una grande famiglia comune, con una base linguistica comune. Tutte le lingue parlate in Europa (o quasi tutte) derivano da una fonte comune, di cui le principali derivazioni oggi dovrebbero essere il gruppo nord-tedesco e il gruppo sud-latino. Nel mezzo, l’inglese ibrido, la lingua più parlata al mondo (dopo il mandarino: ma quanti non cinesi parlano mandarino, quanti cinesi parlano inglese?).

Questa è una conseguenza di un approccio top-down.

Ma, mi dico: cosa hanno in comune le cosiddette lingue neo-latine con il gruppo germanico? L’inglese, essendo una fusione di anglo-tedesco e normanno (ex vichinghi latinizzati in un secolo di douce France) conferma la diversità. Un passo avanti: siamo sicuri che il latino sia stato la matrice dell’italiano, del francese, dello spagnolo, del portoghese? Il rumeno è un’altra cosa: secondo la teoria che preferisco, i rumeni di oggi, o una parte importante di loro, discendono da popolazioni di lingua latina che si sono spostate dai Balcani nord-orientali alla bassa pianura del Danubio, quasi deserta dopo secoli di invasioni, sotto la pressione degli slavi da nord-est.

La mia prima osservazione è quasi banale. Sono di Genova, capoluogo della Liguria, e sono stato, come molti, spesso stupito dal fatto che il dialetto genovese e la lingua portoghese abbiano quasi lo stesso suono e molte parole in comune. Per fare un esempio, una parola, cimma, cima, in italiano cima, è la stessa in genovese, portoghese e spagnolo. I numeri sono quasi gli stessi.

Ecco perché penso che la matrice comune per le cosiddette lingue neolatine non sia il latino o l’indoeuropeo, ma la lingua ligure. Quando arrivarono gli indoeuropei (celti, latini, osco-umbri) e poi i romani, dovettero fare i conti con le popolazioni che avevano soggiogato. Di sicuro ci fu un’influenza con le parole. Ma quanto lontano, quanto profondo? Perché, mi chiedo da quando ho studiato il latino per la prima volta, la grammatica italiana (e francese, e spagnola e portoghese) è così diversa dal latino? Quando ho provato a leggere un po’ di russo, ho scoperto che il russo era più simile al latino che all’italiano.

La lingua ligure fu la base delle lingue dette romanze, non il latino. Lo sostenne, nel 1863, uno studioso ligure, Emanuele Celesia, patriota rivoluzionario e poi educatore, in un libro, “Dell’antichissimo idioma dei liguri”. Del libro si sarebbero perse le tracce, non fosse per Google, che ne mette a disposizione la lettura gratuitamente, usando una copia recuperata dalla biblioteca di una università americana, il Dartmouth College. Da noi è sceso l’oblio. A Roma è rimasta una strada a lui dedicata, a Genova ci sono una strada e un ospedale nella periferia ex operaia di Rivarolo. A Genova, in corso Firenze, c’era anche una scuola elementare, dove ho frequentato la prima e dove ho forgiato una amicizia durata una vita con Gughi Valobra. Ora c’è un misterioso Istituto Comprensivo da cui non hanno avuto il coraggio di cancellare il titolo della scuola femminile dedicata a Maria Mazzini, madre di Giuseppe.

Celesia ha pubblicato il frutto dei suoi studi nel 1863, con largo anticipo su Henri d’Arbois de Jubainville, il cui Les Premiers Habitants d’Europe è del 1877. Il lavoro di Jubainville occupa più di 400 pagine ma è fermo alla ricerca etnica. Il libro di Celesia è di sole 114 pagine ma dimostra, con precisi confronti, l’ascendenza ligure di italiano, francese, spagnolo, portoghese, nonché piemontese e ligure-genovese. Genova è Liguria fino a un certo punto: fenici, ebrei, valdesi, profughi e marinai di ogni razza, inclusi i primi immigrati dal Sud Italia, confluiscono nel nostro DNA. Nella nostra lingua ci sono tracce di arabo: gabibbo, usato per definire i nostri meridionali, viene da habib, amico in arabo. Al confine tra Siria e Libano, qualche anno fa, pensai per un attimo di essere a Genova mentre decine di camionisti si salutavano con una raffica di habib.

Per me la prova della connessione fra le lingue non tanto nelle parole quanto nella grammatica e nella sintassi. Le lingue romanze le hanno uguali, mentre il latino è del tutto diverso, come sa chi ha sofferto fin da bambino studiando Aurea Roma e altri sacri testi.

Le bugie di Dante

Dante Alighieri, che per primo, 700 anni fa, affrontò il tema della lingua italiana, mai sostenne che questa derivasse dal latino. Ma non andò oltre nella ricerca delle sue origini, limitandosi a teorizzare la superiorità del volgare fiorentino con argomenti un po’ da bar.

Basti citare quello che scrisse sui genovesi, che “se per un’amnesia, perdessero la lettera z, o diventerebbero del tutto muti o si dovrebbero inventare una nuova lingua. La z infatti tiene la più gran parte del loro linguaggio, ed è una lettera che si pronuncia con molta durezza”. Vero ancora oggi ma irrilevante.

Celesia, peraltro, porta (pag. 49) un bello elenco di parole genovesi usate da Dante nella Commedia.

Dopo questa lunga introduzione, ecco alcuni passi dal libro di Emanuele Celesia. Aggiungo ancora che il frutto di tutte queste teorie e ricerche è andato smarrito nella nebbia della retorica gallica e in quella romanistica risorgimentale e fascista. Ma la verità è sotto i nostri occhi. Leggiamo Celesia.

Origine del nome Liguri. Che i primi abitatori d’Italia , designati da noi col nome di Osco – montani ossia liguri , stanziassero sui dossi dei monti , anzichè sul basso delle pianure ammorbate da letifere esalazioni , non par cosa da chiamarsi più in dubbio , poichè i primi luoghi abitati furono al certo i primi luoghi abitabili .

Quindi torna agevole il credere che le primigenie tribù, le quali dall’alpi marittime calarono alle coste del Mediterraneo , dovessero attribuirsi un nome che accennasse al loro passaggio dai gioghi alpestri alle aperte marine , e in fatti si dissero Li – guri , ossia Equereo – montani .

Li teniamo sia derivazione di lix , licis , lica, antichissima voce degli Osci meridionali, che per testimonianza di Nonio Marcello significava aqua ; gur o gora , onde il greco oros , in tutte le vecchie loquele valeva alto ed alpestre. Questo vocabolo è ancor vivo fra i Baschi e gli Slavi .

L’idioma ligure serbava un’impronta speciale e apparteneva a quell’unico idioma che, smembrato in varii dialetti, sui primordi dei tempi storici propalavasi dall’Alpi allo Stretto . Quest’opinione a cui consentono i dotti Inglesi autori della Storia universale, non parrà fuori del verosimile, se si fa stima, che le schiatte aborigene o liguri venute prime in Italia dagli altipiani dell’Asia fra l’Eufrate ed il Tigri, dalla catena dell’Himalaia e degli Urali, ove forse stanziando confusero il primitivo linguaggio, doveano ritenere nelle lor parlature lo stampo di quegli idiomi, di che ci son testimonio gl’istessi nomi patronimici che fra noi trapiantarono, a memoria delle primigenie lor sedi.

Tale , per restringerci a pochi esempi , è il nome di Magra , fiume che lambe la città di Marsi Eloyum sul litorale siriaco, portato in più luoghi della Liguria, cioè nel Saluzzese, appiè dell’Alpi, dapprima, appresso nel noto fiume sul golfo di Luni , quindi nei campi omonimi del Modenese, da cui transitava fra i Marsi sul lago Fucino, i quali cosi vocarono un fiume della loro regione.

Alba e Aulon

Alba , città ligure , risponde ad una città della Mesopotamia ; Aulon è un paese di Palestina presso il Giordano , ed Aula è una terra ed un fiume fra noi : è pure un colle in vicinanza di Taranto .

Ad ogni piè sospinto troviam diramati nell’antica Liguria e da questa nell’Italia meridionale le appellazioni della penisola asiatica. In entrambe queste regioni si occorrono Albani , Iberi , Sardi , Eneti o Veneti ; troviam Susa , Cidno , Cre- mona , Gerra od Acerra : a Pergamon , a Berga , ad Oropo consuonano Bergamo , Berga ed Oropo dell’Italia superiore ; a Camarina di Assiria fanno riscontro Ca- merino fra noi , Camarina in Sicilia , i Camerti dell ‘ Um- bria e i Camerj della Sabina : ad Abella di Persia quel di Sicilia : ai Tauri del Libano i Taurini dell ‘ alpi che forse anch’esse , un di nomavansi Tauro dalla catena di questo nome nell ‘ Asia minore .

Al Pada fiume dell’India consuona il Padus italico . La città di Tuna nella Sabina ricorda il nome di quella che facea parte della tribù d’Issachar presso la Dora , di cui troviam cenno ne ‘ libri sacri. E Dora e Sabata ed altri derivarono pur dall’Asia fra noi.

Conclusione di Celesia

Ora le congetturate e in gran parte chiarite cose stringendo , parmi si possa fermare : Che l’osco – ligure fu nelle sue origini affine alle lingue arie . Che fu base e cemento delle altre favelle italiche . Che invaso da influenze fenicie , iberiche , etrusche , galliche , laziari e saracene , serbò nondimeno tal fondo etnografico e tale un tipo gramaticale ed eufonico , da mostrarsi a prima giunta linguaggio originale .

Che l’antico osco – ligure non era , vuoi nelle voci , vuoi nelle profferenze , che l’odierno volgare , con le modificazioni ed innesti che le ragioni del tempo e il progressivo lavoro della sintassi v ‘ hanno di necessità dovuto introdurre .

Che la medesimezza delle voci e dei nomi topici in Italia , in Ispagna , in Gallia ed altrove , accusa lo spargimento e la vitalità d’un linguaggio , che fu la scaturigine di tutti i loro volgari .

Sento l’arditezza e la novità delle mie conclusioni , alle quali per altro prepotentemente mi tirano tutti gli studi a tal uopo intrapresi . Forse Dante stesso nei suoi divini concepimenti presentia questo vero , quando cerniti e riprovati tutti i volgari d’ Italia , non d’altro appunta il genovese dialetto , che della asperità in lui derivante dalla lettera z.

È la lingua che in tutto a un dipresso il territorio che essi occupavano , conserva un ‘ indole meravigliosamente uniforme , se non che in Piemonte e in Lombardia ha più mescolanza di gallico e di longobardo , e a Venezia si abbella d’una cotal tinta greca dei bassi tempi ; del rimanente la sua somiglianza col ligure proprio , par tanto maggiore , quanto i due popoli son più divisi l’uno dall’altro . Che più ? anche oltre Varo suonava , e ancor suona il ligustico nel dialetto della Provenza e molto , io v ‘ aggiungo , tuttavia ligureggia l’idioma dei Catalani .

A questo nostro vernacolo così succinto , snodato e ubbidiente al pensiero , deve l ‘ Italia i più celebri esempi di laconismo . Costretto un Doge genovese ad ossequiare Luigi XIV in Parigi , ed ivi accolto con singolar pompa , a chi gli chiedeva quale fra le meraviglie del luogo reputasse la meraviglia maggiore – mi chi ( io qui ) rispondeva quel fiero .

Fanno riscontro a questi due mo- nosillabi- l’aigua alle corde e il che l’inse ? — memorabili nei liguri annali . Un popolo non si smentisce la sua lingua risponde alla sua storia

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Marco Benedetto